Di tappeti persiani e squali doppiogiochisti

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Epilogo

New York, 9 Luglio 2013.
Un anno dopo.


Alec era appena uscito dalla doccia quando il cellulare, abbandonato sopra il tavolino in salotto, prese a suonare con una certa insistenza.
Le temperature erano notevolmente aumentate quella settimana, in proporzione al suo malumore.

Ad Alec l'estate non piaceva, forse a causa della sua carnagione fin troppo chiara, o per la sua poca - se non addirittura inesistente - propensione a mostrare al mondo lembi di pelle oltre i minimi consentiti, o ancora, forse per la sua oramai risaputa avversione nell'attirare l'attenzione, cosa che, accadeva ogni qualvolta si ritrovava in costume.
Jace, reagiva gonfiando il petto nello stesso identico modo in cui un pavone si dilettava ad aprire la sua coda, Izzy sorrideva serafica, passando tra l'orda di gente con la disinvoltura che l'aveva da sempre contraddistinta.
Alec invece, preferiva lasciare le luci della ribalta ai suoi fratelli, di fatti, di fronte alle occhiate curiose o interessate della gente si limitava semplicemente ad abbassare il capo dileguandosi il più velocemente possibile.
Ad Alec l'estate non piaceva affatto, preferiva di gran lungo l'aria fredda e pungente dell'inverno, anche perché, a detta sua, almeno non era costretto a trascinarsi per casa grondante di sudore e con la stessa vitalità di un porcospino.
Quando succedeva - più spesso di quanto desiderasse - non gli rimaneva altro che rinchiudersi in bagno, sotto il getto di una lunga e rinvigorente doccia fredda.
Il più delle volte lo aiutava, così com'era successo quella mattina.
Alec si sentiva decisamente più rilassato e molto più bendisposto verso il mondo una volta terminata la sua attività ricreativa, per questo, quando il cellulare riprese a squillare, si guardò bene dal roteare gli occhi ed imprecare pesantemente.

Strofinò i piedi sul tappeto blu in microfibra e da un cassetto accanto alla porta afferrò un asciugamano di cotone bianco, avvolgendosela dalla vita in giù, poi ne prese un'altra - dello stesso colore, ma molto più piccola - e la poggiò distrattamente sui capelli, per evitare che le gocce d'acqua sporcassero il pavimento.
Attraversò la stanza ed ignorando il telefono si diresse in cucina, mentre con una mano continuò a frizionarsi le ciocche bagnate.
Si versò un bicchiere d'acqua, fissando assorto la macchinetta del caffè spenta e ricordandosi - complice anche il brontolio del suo stomaco - di non aver ancora fatto colazione quella mattina.

Poggiò il bicchiere di vetro sulla penisola e fece per dirigersi in camera a cambiarsi quando la suoneria del telefono prese di nuovo a rimbombare intorno a lui.
Si bloccò a metà strada, sospirando affranto.
Non avrebbe dovuto lavorare quel giorno, aveva appositamente fatto gli straordinari in ufficio per riuscire a prendersi un giorno libero, si era anche ripromesso di chiudere il dannato aggeggio elettronico quella mattina, ma ovviamente - come per la maggior parte delle cose che riguardava il suo lavoro - aveva finito per fare l'esatto contrario.
Sbuffò, per qualcosa come la milionesima volta, e si voltò in direzione del tavolino basso dal design moderno, raggiungendolo velocemente.

Le sue sopracciglia raggiunsero l'attaccatura dei capelli quando vide il numero che illuminava il display, aggrottò la fronte e batté le palpebre per qualche secondo << pronto? >> rispose incerto
<< Credo proprio di stare per avere un principio di isteria acuta >> tubò una voce roca familiare dall'altra parte della cornetta.

A quelle brevi parole le labbra di Alec si distesero automaticamente - così come anche le rughe contrariate sulla sua fronte – ed il viso assunse la tipica espressione beota di quando il suo cervello registrava qualsiasi cosa avesse - anche lontanamente - a che fare con la figura tutta glitter e fascino di Magnus Bane.
<< Ci sono centri specializzati per ovviare a problemi come questi >> rispose, provando - con tutte le sue forze - a sopprimere l'accenno di un sorriso.

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