Prologo

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"Mi piace pensare che la luna è lì,
anche se io non guardo."
Albert Einstein








Febbraio 1996

Febbraio era uno dei mesi più freddi dell'anno e poche erano le creature che durante quelle notti gelide si avventuravano per la foresta.

L'atmosfera che regnava sulle antiche cime innevate dei monti Soabek era quasi magica: tra le betulle, le querce e i numerosi pini ricoperti di neve, l'impressione era quella di trovarsi in un luogo cristallizzato nel tempo, un luogo in cui nessun suono infrangeva la pace di quei boschi e dove non esisteva altro colore che il bianco della neve e il nero cupo della notte.

La fredda luce lunare filtrava attraverso le foglie e i rami illuminando debolmente quel paesaggio maestoso e glaciale; alle lobelie, spoglie dei propri fiori, la luna regalava un'aria sinistra e, sui sentieri appena accennati dallo sporadico passaggio di animali selvatici, proiettava strane ombre dalle forme contorte.

Quella particolare notte di febbraio la luna aveva qualcosa di speciale: brillava fioca nel cielo e sembrava quasi che un velo la ricoprisse smorzandone la luce.

Solo un grosso lupo dal manto nero osava vagare solitario tra quei boschi sommersi di soffice neve. La bestia, tuttavia, non era un semplice animale selvatico e chiunque, vedendo lo strano luccichio dei sui grandi occhi scuri, lo avrebbe compreso.

Quella fiera dall'aspetto feroce e minaccioso – notevolmente più grossa di un lupo ordinario – sembrava seguire un percorso preciso calpestando la neve già segnata dalle impronte di altri animali. Attenta ad ogni minimo rumore e ad ogni odore, sorvegliava il confine del suo territorio non sottovalutando le occasioni che quella notte poteva offrire a potenziali nemici.

Quello strano essere, enigmatico e inquietante, era l'incarnazione delle antiche storie che le nonne sussurravano con voce flebile ai loro nipotini dinanzi ai caldi fuochi casalinghi; mentre abbrustolivano pane raffermo da ricoprire con saporita marmellata raccontavano loro di mostri spaventosi, zanne aguzze e scintillanti occhi rossi.

Le anziane donne del villaggio alle pendici dei monti Soabek non avevano dimenticato le arcaiche leggende che erano nate tra le vette innevate delle vicine montagne, e ricordavano ancora come, nelle notti senza luna, strane creature si aggirassero per il villaggio.

Né uomini, né bestie. Temute ma ammirate.

"Lupi mannari" sussurravano con voce timorosa gli abitanti del paesello mentre spiavano quei bizzarri esseri da dietro le tende accostate delle finestre delle loro case. Bisognava proteggersi da loro ma mai attaccarli.

Si diceva infatti ci fosse un antico patto tra il villaggio e gli uomini-lupo della montagna, un patto che risaliva ai tempi dei miti e dei popoli senza Dio: i lupi avrebbero lasciato vivere in pace gli umani, a condizione che questi restassero nel territorio loro concesso.

L'accordo era semplice ed era in vigore da anni, benché non si avesse più memoria di quando fosse stato stipulato. Molti lo ritenevano una leggenda, una storia per spaventare i bambini ma, nonostante ciò, gli abitanti del villaggio si guardavano bene dall'infrangerlo.

Eppure, ogni tanto, qualcuno lo ignorava, qualcuno dimenticava... qualcuno moriva.

Le nuove generazioni, e i visitatori "della città", erano le maggiori fonti di problemi e, se da un lato la cultura odierna aveva rilegato gli uomini-lupi al ruolo di mostri nelle fiabe per bambini, dall'altro aveva reso gli umani più spavaldi, più coraggiosi e più invadenti.

Quella notte però non c'erano stranieri a vagare per i boschi e tutto taceva.

Il lupo nero avrebbe fatto un ultimo giro, per adempiere fino in fondo ai suoi doveri di capobranco, e poi sarebbe tornato al villaggio, al caldo e all'asciutto. Tuttavia, quando finalmente fu sul punto di voltarsi e andare via, uno strano suono gli solleticò le orecchie pelose: il pianto di un bambino.

L'improbabilità di tale fenomeno gli fece scuotere la testa; che fosse rimasto troppo tempo fuori al freddo?

Eppure, il suono ritornò, più forte di prima.

Il lupo se ne stette immobile per un attimo, ritto sulle quattro zampe e con le orecchie drizzate, indeciso se seguire la fonte di quegli strani lamentii o fare dietro front e ignorarli. Alla fine cedette alla curiosità e, con passo felpato, si mosse cautamente verso la loro origine, addentrandosi in quello che tutti i branchi della catena montuosa consideravano "terra di nessuno".

Il pianto lo guidò in una raduna illuminata fiocamente dalla luna, al cui centro, immerso tra bucaneve profumati, vi era un fagotto azzurro. Si avvicinò prudentemente senza far rumore, al contempo guardandosi sospettosamente intorno temendo una trappola o un'imboscata.

Tra gli alberi però c'era nessuno e non vi era alcun odore estraneo.

Convinto di essere solo, annusò il fagotto rumoroso e, con il muso, scostò le coperte fino a rivelare un bambino con le guance arrossate e bagnate dalle lacrime. Il lupo si guardò nuovamente intorno; sconcertato dalla scoperta cercava di capire come un neonato fosse potuto arrivare fin lì.

Di nuovo constatò che erano gli unici presenti nella radura silenziosa e, a giudicare dalla neve che ricopriva la copertina di lana, il neonato era in quel luogo già da un bel po'. Un miracolo che fosse ancora vivo e sorprendente che avesse ancora le forze per gettare un ultimo – disperato – grido d'aiuto.

Lo annusò piano, strofinandogli il naso freddo sulla guancia umida, nella speranza di riconoscerne l'odore, una traccia, un qualcosa che gli permettesse di capire a chi appartenesse ma, il suo particolare profumo di talco, tipico dei bebè, unito ad uno strano miscuglio di bucaneve e qualcosa di ineffabile, non era riconducibile a nessuno dei branchi vicini.

Perché sul fatto che non fosse umano non c'erano dubbi.

C'era qualcosa nell'odore della loro specie, una sorta di retrogusto terroso e selvatico, qualcosa di indefinibile che permetteva loro di riconoscersi vicendevolmente.

Ciononostante, l'odore del cucciolo non gli era di nessuno aiuto. Di buono c'era che avesse smesso di piangere; se ne stava lì tutto intento a fissarlo con i suoi occhioni lucidi e dorati, quasi fosse in attesa di una sua decisione, godendosi, nel contempo, le nuvolette calde che il suo inaspettato salvatore emetteva sbuffando e annusandolo.

Il lupo, in mancanza di una pista o di una traccia che lo conducesse al suo branco di provenienza, si ritrovò di fronte una scelta: lasciare il cucciolo al suo destino e tornarsene al villaggio, oppure portarselo dietro e trovare qualcuno che se ne prendesse cura.

La lunghezza del tragitto, unita alla lentezza a cui sarebbe stato costretto a muoversi per non fargli del male, sarebbero potute risultare fatali per il piccolo. Era evidente che fosse rimasto già troppo tempo al freddo, non avrebbe retto ancora a lungo. Alla fame forse sì, sarebbe sopravvissuto, ma non a quel clima gelido.

Rassegnato all'inevitabile, si acciambellò intorno a lui stando ben attento a ricoprilo tutto, in modo che nemmeno un spiffero di vento potesse sfiorare quella pelle candida e delicata.

Poche ore mancavano all'alba. A quel punto, quando il sole sarebbe stato alto e la foresta fosse divenuta un luogo più caldo, per quanto possibile, lo avrebbe portato a casa; fino ad allora si sarebbe assicurato di non lasciarlo morire assiderato.

Il bambino, dal canto suo, una volta avvolto in quella nuvola calda fatta di pelo profumato di betulla, si addormentò in fretta, stremato e stanco, ignaro di quello che lo circondava, del suo passato e del suo futuro, rassicurato solo da quella presenza confortante accanto a lui.

L'indomani avrebbe scoperto il suo destino.




Note

Luna di neve : Questo particolare fenomeno è definito dagli astronomi Luna della neve e si verifica ogni qual volta la luna entra nel cono d'ombra proiettato dalla terra nello spazio.

Broken Wolf [In Revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora