Cap 9 ~ Showdown

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{Mr. Brown's pov}

Passò un mese.

Un mese abbastanza difficile per noi, nel tentativo di interagire col prigioniero.

La ragazza fu dimessa dall'ospedale, anche se con le cicatrici ancor ben visibili sulle sue guance.

Durante quei trentun giorni interminabili, avevamo rinchiuso Jeff in un ospedale psichiatrico, in modo da calmarlo prima del processo.

Effettuare l'interrogatorio subito dopo il terribile accaduto e l'arresto, ci rendemmo conto non fu una buona idea, dato che il killer tentò di aggredire gli agenti di polizia, ferendone addirittura uno.

Sperai che dopo tutto quel tempo, sarebbe stato possibile riuscire a chiudere il caso una volta per tutte.

Era una giornata abbastanza piovosa. Il cielo era grigio, coperto da strati di nuvole, che impedivano al sole di illuminare almeno un angolo di quella città cosí spenta.

Gettai nel cestino il bicchiere di caffé scadente preso alla solita macchinetta nel mio ufficio. Restai per un po' con lo sguardo perso, pensando all'interrogatorio che avrei affrontato quel pomeriggio. Ero entusiasta di aver finalmente catturato un killer del suo calibro. Ma la parte brutta del caso purtroppo non esitò ad arrivare.

Mi alzai dalla sedia, dopo aver giocato col temperatite elettrico sulla mia scrivania. Sistemai la cravatta, ed afferrai la mia valigietta, dirigendomi verso la "famosa stanza della tensione" come osava chiamarla il mio collega Trevor.

Camminando per il frenetico corridoio, limitato da dei muri grigi e glaciali, incontrai una delle mie colleghe piú fidate, che si faceva spazio fra gli altri sconstandoli con le spalle. Il riflesso del suo corpo si muoveva assieme alla sua figura bassa e magrolina sul pavimento pulito.
Si chiamava Tina,aveva il suo bel caratterino. Aveva i capelli neri sempre raccolti in una coda di cavallo bassa, il ché la rendeva ancor piú autoritaria.

-Signor Brown, hanno portato il prigioniero nella sala d'interrogatorio. La stanno aspettando.-

-Ci sono state complicazioni?-

-Affatto, signore.- La sua voce era matura e grave, molti la considerano un vero maschiaccio, ma ne dubito, il suo modo di atteggiarsi la rende decisamente una donna a tutti gli effetti.

-Perfetto. Ci vado subito.- Rispondo, fingendo un mezzo sorriso. Non c'era nulla da sorridere, a dire il vero. Lei lo comprese, e mi ricambiò un sorriso piú sicuro. Ci stringemmo la mano, come per darci coraggio.
Non avevo bisogno di fortuna. Sapevo dove stessi andando in contro, e non mi sarei affidato solo alla fortuna e alla casualità. Ero sicuro di me stesso.

Arrivato davanti a quella porta, bussai senza pensarci su. Stavo bussando alla porta che non conduceva ad una semplice stanza fredda e vuota. Ma alla chiusura del caso che per anni fu stato nella mia mente come una diapositiva incastrata nel proiettore. Qualcuno aprí la porta. Tirai un respiro profondo, e la figura magra e in divisa di Trevor mi guardò. Con la mano mi invitò ad entrare, sussurrandomi un saluto. Evidentemente non era un momento adatto per parlare normalmente. Ogni decibel potrebbe scombussolare quella belva umana che sedeva con la testa china pochi metri piú distante da me. I suoi capelli luridi e neri gli coprivano il volto, ed aveva indosso la divisa nera del carcere che lo avrebbe accompagnato per sempre. O almeno.. Fino al momento in cui sarebbe stato giustiziato. Deglutii. Non volevo alzasse lo sguardo. Nel mio cuore, in un angolo del mio cuore temevo di vedere in faccia quel mostro, che apparentemente innoquo era seduto lí, circondato da guardie e con una lampadina bianca accecante che penzolava sulla sua testa.
No. Non dovevo temerlo. Un ultimo respiro. L'ultimo getto d'aria per scaricare la tensione. A passo deciso ma delicato, mi avvicinai al tavolo che ci separava. Notai che dietro di lui ci fossero anche due medici.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 18, 2018 ⏰

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