Fu allora che compresi.
Avevo una decina d'anni, forse meno, ero seduto sul sedile posteriore dell'auto di mio padre, in direzione del mare. La voce di mio padre si sovrapponeva alle canzoni della radio storpiandole.Era un viaggio lungo e noioso, uguale a tanti altri, ma bastarono pochi minuti a renderlo unico.
Sul bordo della strada, due gazze, eleganti e maestose nelle loro piume bianche e nere, le code lunghe e affusolate, si cibavano delle carni di un gatto. Una macchina lo aveva investito e scaraventato sul ciglio della strada, agonizzante. Ero certo che i due magnifici uccelli avessero cominciato a scarnificarlo quando l'animale respirava ancora, non ne avevo prove, ma lo sapevo, lo sentivo. Due animali così belli non potevano essere semplici profittatori, sciacalli capaci solo di cibarsi di carogne. Erano due nobili cacciatori: avevano preso la vita del gatto, avevano estirpato il suo soffio esistenziale per cibarsene.
Fu in quell'istante che, in un connubio di eccitazione ed estasi, compresi infine il segreto che mi animava da sempre: ero un predatore. Un essere superiore, più forte, destinato a strappare la vita ai deboli per accrescerne la propria forza. Continuai a osservare le gazze fino a che rimasero nel mio campo visivo, girai il collo fino al limite, per poterle seguire con gli occhi fino all'ultimo minuto. Dovetti trattenermi dal chiedere a mio padre di fermare la macchina.
Poco tempo dopo, in un libro, trovai anche le parole, la filosofia che spiegava quella mia intima natura: "Mors tua Vita mea". Dalla tua morte la mia vita. La mia infanzia divenne da quel momento una lunga, attenta, meticolosa e sofferta preparazione: forgiai il mio corpo attraverso lunghi e regolari allenamenti. In famiglia, furono tutti stupiti dalla mia improvvisa passione per l'attività fisica, ma divennero presto fieri della mia passione per gli sport: atletica, boxe, lotta, judo, rugby, tiro all'arco.
Sapevo che i muscoli soli non bastavano, fui prima uno scolaro e poi uno studente modello. Scienze, fisica, filosofia, psicologia, quando scelsi medicina i miei genitori furono quasi commossi: un figlio che voleva dedicare la vita a salvare quella degli altri. Non sapevano che era come toglierla, ciò che mi interessava. La parte più piacevole della mia preparazione fu abituarmi a uccidere. Dapprima, insetti, lucertole, sorci, gattini e cuccioli di cane. La mano non tremava mai.
Non avevo ancora quindici anni quando mi cimentai per la prima volta nell'uccisione di un essere umano. Eravamo in vacanza, anche quella volta: l'estate e il mare sembrano essere la cornice perfetta per la mia natura di cacciatore. Non ho mai avuto amici veri, nessuno è al mio livello, nessuno è in grado di comprendermi, ma ho sempre saputo farmi benvolere. "Amico di tutti", quante volte ho sentito questa frase associata alla mia persona. Poveri, stupidi illusi.
Il campeggio in cui soggiornavamo distava poche centinaia di metri da una scogliera ripida e scoscesa, incredibilmente maestosa, una delle più suggestive attrazioni turistiche della zona. Mi fu facile convincere quella piccola scema ad accettare di ritrovarmici in piena notte. Le due del mattino: abbastanza tardi perché i nostri genitori dormissero già, ancora troppo presto per rischiare di incontrare eventuali pescatori o turisti mattinieri. Le mostravo le costellazioni e il loro riflesso sull'acqua sotto di noi. Con un braccio intorno alle sue spalle, la ascoltavo somministrarmi frasi stupide come "Ti amo, nessuna ti amerà come me". "È stato meraviglioso, era la mia prima volta".
L'eccitazione per l'impresa si era trasformata in brama sessuale, all'inizio ne ero rimasto sorpreso: non mi era mai capitato, prima. Non ero certo uno di quegli adolescenti dominati dagli ormoni. Per un attimo temetti che avrebbe opposto resistenza, ma la piccola scema fu più accogliente di una cagna in calore. Fu rapido e violento, eppure quell'idiota riuscì a sentirci passione e romanticismo. Fu quello a darmi l'idea delle stelle. Cingendole forte le spalle "Non aver paura, ti tengo io", la portai fino al bordo del precipizio. Fu rapido spingerla, stava ancora blaterando frasi melense e fastidiose.
"Sarai l'unico uomo della mia vita", furono le sue ultime parole. Su questo aveva ragione. La guardai cadere nel vuoto come un pupazzo inarticolato, sbattere contro le asperità della scogliera, rimbalzare da una roccia all'altra e schiantarsi infine sugli scogli in basso. Immaginai il suo terrore e la sua sofferenza. Gioia e soddisfazione furono immense, dovetti fare uno sforzo per non gridare. La prima volta è davvero irripetibile.
Nonostante fossi stato attento a darle appuntamento in segreto e nessuno sapesse che ci frequentavamo, temevo che il trambusto e le indagini per la sua morte potessero causarmi fastidi. Non ci fu praticamente inchiesta: i suicidi da quella scogliera erano frequenti, e pare che la povera imbecille fosse triste, in difficoltà a scuola, vittima di bullismo. Aveva di recente rotto col suo primo fidanzatino, una candidata al suicidio ideale. Anche se nessuno lo disse apertamente, i genitori furono unanimemente considerati responsabili per aver portato una ragazzina depressa in un tale paesaggio. Alla fine della vacanza nessuno parlava più dell'incidente. Ecco la prova, se mai ne avessi cercata una, che ero nato per cacciare.
Negli anni successivi fu un'escalation: non mi accontentavo più di uccidere, mi divertivo a fare soffrire le mie vittime, a nutrirmi del loro dolore, a goderne. Non lasciavo tracce. Barboni, drogati, puttane. Le indagini per vittime di quel tipo sono rare e approssimative. La morte accidentale è quasi immancabilmente la causa iscritta sul referto medico. Quando poi ero io stesso a firmare il certificato di decesso... Quanti anni a perfezionare la mia arte. E poi, un solo, minuscolo errore: un peccato di arroganza, mi sentivo troppo sicuro. L'occasione era troppo bella, non seppi trattenermi. Una bambina imprudente e fiduciosa. "Sei sola? Vuoi un passaggio?" Era salita in macchina senza esitare. Era così bella, una tentazione irresistibile.
Rivivo ancora eccitazione ed ebbrezza, ogni volta che penso a quelle troppo brevi ore in cui mi divertii a seviziarla, a straziare il suo corpo, a guardare l'energia della vita che credeva di avere davanti a sé sgretolarsi e sfuggire poco a poco dai suoi occhi terrorizzati. Ero così eccitato che succhiai un po' del suo sangue, mentre se ne svuotava. Era così dolce, se mi passo la lingua sulle labbra, mi sembra di sentirne ancora il sapore. Feci sparire il suo corpo, impossibile ritrovarlo. Nessuno mi aveva visto parlare con lei, farla salire in macchina. Mi sentivo tranquillo. Ingenuo! Dimenticavo che oggigiorno i genitori sorvegliano i figli ventiquattrore su ventiquattro. Il ciondolo in forma di unicorno che portava al collo nascondeva un localizzatore satellitare. E io, imbecille, lo avevo conservato come trofeo, tra le tante medagliette, orecchini, piercing, denti, che collezionavo da una vita. Un ricordo di tutti quei deboli, insignificanti esseri che avevano nutrito la mia forza in tutti quegli anni. La polizia mi piombò addosso in meno di ventiquattr'ore. Fui arrestato e buttato in pasto al pubblico obbrobrio come un delinquente qualsiasi. In sei anni, ho dovuto adattare il mio allenamento: non avevo mai pensato di finire un giorno in prigione. Ma non ho permesso a questo contrattempo di indebolirmi il corpo o il carattere. Ho dovuto studiare una preparazione mirata, ma sono più forte di prima. E il mio calvario è quasi finito.
L'uomo che il mio avvocato ha ingaggiato ha preparato tutto. Succederà durante il mio trasferimento al tribunale per il processo di appello, tra un paio di giorni. Un piano rapido, preciso ed efficace. Sono così impaziente. Da sei anni posso fare vittime solo tra i miei codetenuti, scegliendo unicamente uomini deboli e malati, vecchi, dei relitti, i cui suicidio o morte accidentale risultino credibili. Le indagini non sono mai approfondite, qui: un detenuto morto è solo un problema di meno per la prigione, ma non posso permettermi di strafare. Sono così stanco di accontentarmi di sopprimere rapidamente insignificanti ruderi umani, per ritrovare un minimo di piacere devo nutrirmi dei miei ricordi. Ancora due giorni.
L'avvocato mi ha detto che tutto è pronto: ha scelto uno dei paesi più giovani del pianeta. L'età media è di trentadue anni, l'anagrafe praticamente inesistente. Le bidonville intorno alla capitale brulicano di bambini, ragazzini, ragazze, magnifici e pieni di vita che vivono abbandonati a se stessi, nessuno li cercherà, nessuno piangerà davvero la loro scomparsa. Il posto perfetto. "Saranno felici di vedere arrivare un medico, la accoglieranno a braccia aperte", ha detto l'avvocato con quel suo sorriso mellifluo. Lo disprezzo, ma devo ammettere che mi è stato utile, quel porco ambizioso, non potevo cavarmela da solo qui dentro. La sua fedeltà mi è costata una fortuna, ma ho ancora di che vivere sereno e al sicuro nel mio nuovo terreno di caccia. Non vedo l'ora. Saranno felici di vedere arrivare il dottore, e sarò felice di ritrovarmi tra loro. Presto, la gazza tornerà a volare.