Ancora urla.
Aveva preso l'abitudine di accendere la televisione o la musica non appena entrava in casa, per tentare di ignorare i rumori dall'appartamento vicino. Ma a volte i colpi e le urla erano più forti di tutto. Alzò ancora il volume. Le grida erano spaventose, quelle della donna, soprattutto, il bambino lo si sentiva poco: i suoi erano per lo più gemiti stridenti che di rado si trasformavano in strilli, quasi i versi di un animale sofferente.
Prese la sigaretta elettronica sul ripiano del mobile e andò in balcone. Si sentiva un po' ridicolo: da quando fumava per finta, avrebbe potuto evitare di uscire al freddo; ma l'abitudine aveva la meglio. Si appoggiò alla ringhiera, lasciando scivolare lo sguardo verso la strada sottostante. Dall'appartamento dei vicini non si sentiva più nulla. Inalò il vapore speziato e lo soffiò fuori lentamente, assaporando il silenzio. C'era quasi riuscito, quando sentì la porta a vetri del balcone a fianco aprirsi. Alzò gli occhi e incrociò quelli della donna: aveva i capelli in disordine, il volto pallido, quasi grigio, occhiaie profonde che si confondevano con le rughe, più dense agli angoli degli occhi. La vide accennare un sorriso triste, forse di scusa, e poi voltargli le spalle. Restò a guardarla ancora qualche istante: teneva la testa china, sembrava fissarsi i piedi, il corpo agitato da vistosi tremiti. L'alcool, pensò Andrea, poi si riscosse: si vergognava a fissarla in quel modo.
Si spicciò a tirare ancora qualche boccata di nicotina e rientrò in casa. Non c'era più nulla che turbasse la tranquillità del suo appartamento, ma non riusciva a rilassarsi. Avrebbe dovuto preoccuparsi di non sentire più nulla, di non sentire più il ragazzino? Cosa poteva avergli fatto? Era una donna minuta: doveva pesare meno di cinquanta chili, non poteva immaginarla davvero pericolosa. Ma i rumori della lite erano stati furiosi, come al solito, forse di più. Avrebbe dovuto chiamare la polizia? Ripensò al volto stanco della donna, sul balcone, al suo sguardo che sembrava chiedere... cosa? Pietà? Aiuto? Comprensione?
Dopo tutto, cosa avrebbe potuto denunciare? Che la vicina litigava spesso col figlio? Non aveva prove di violenza. Non aveva mai visto il bambino ferito, o pesto. Non che lo vedesse spesso. Ma non voleva creare problemi a nessuno. Decise di andarsene a letto. Ci avrebbe pensato la prossima volta, se mai ci fosse stata.
*
Era stata una bella serata: Lucia cominciava a piacergli sul serio, e non solo perché era bella, divertente e tra loro il sesso era quasi perfetto; forse davvero stava succedendo qualcosa di speciale. Andrea si sentiva così bene che salì i tre piani di scale di corsa. Arrivato alla porta di casa, un fruscio lo fece sussultare: nell'angolo destro del pianerottolo, nascosto nell'ombra dell'enorme ficus, c'era il figlio della vicina. Seduto di spalle, dava il volto al muro come se stesse in castigo. Respirava forte, riempiendo il silenzio di un rumore simile a un rantolo, e ondeggiava piano con le spalle. Andrea suppose che stesse piangendo.
«Stai bene? È tardi, che ci fai qui fuori?».
Il bambino non rispose, ma smise di ondeggiare. Andrea volle avvicinarsi, ma la porta dell'appartamento si schiuse; non vide la donna, ne sentì soltanto la voce, un po' stridente, come se avesse pianto. O urlato troppo.
«Vieni», disse piano.
Il figlio si alzò ed obbedì, senza mai voltarsi verso Andrea che rimase immobile, perplesso, fino a quando la luce delle scale non si spense. Soltanto allora afferrò le chiavi nella tasca e rientrò in casa. Steso nel buio, non riusciva a trovare sonno: pur senza volerlo, tendeva le orecchie in caccia di rumori dell'appartamento vicino. Quasi non respirava, per timore di coprire eventuali suoni. Sto diventando matto, si disse. Chiuse gli occhi e si sforzò di pensare ad altro, si concentrò su Lucia, sull'odore di lei che si sentiva ancora sulla pelle.
I giorni successivi furono impegnativi: al lavoro aveva parecchio da fare con un cliente decisamente esigente. Odiava i progetti in cui non aveva nessuna libertà, ma questo pagava bene e non poteva fare il difficile. Non ebbe tempo per nient'altro, nemmeno per Lucia; passava giorni e gran parte delle notti in ufficio e rientrava praticamente solo per fare una doccia e cambiarsi. Magra consolazione, il divano dell'ufficio era confortevole e gli concedeva qualche ora di sonno.
Arrivato il weekend, decise di recuperare il tempo perso: avrebbe portato Lucia al mare per un paio di giorni. "Prepara una valigia. È una sorpresa!", era tutto quello che le aveva scritto nel messaggio. Rovistò tra armadio e cesto della roba da stirare per trovare un paio di cambi da infilare nella borsa da viaggio. Doveva assolutamente trovare il tempo di passare in lavanderia. Lunedì, si ripropose: per due giorni, voleva pensare solo a Lucia. E sperava di non avere bisogno di troppi vestiti.
Il primo tonfo lo colse di sorpresa. Aveva pensato così poco ai vicini, ultimamente, da averli quasi dimenticati. Altri colpi seguirono, e il rumore di un oggetto schiantato contro il muro; lo sentì rompersi. E le urla. Forti, orribili, furiose, quasi disumane. Altri tonfi, colpi attutiti, mobili spostati. Passi di corsa. E ancora urla. Andrea lasciò cadere la camicia che teneva in mano. Il corpo contratto, cercò di immaginare cosa stesse succedendo al di là del muro. Sentiva solo la donna: urlava, delle grida animalesche, come fosse uscita di senno; non poteva capirne le parole, forse non ne pronunciava di comprensibili.
Si precipitò fuori dalla camera e si diresse alla porta. Bussare, forse, sarebbe bastato a farli smettere. Non capiva come nessuno degli altri inquilini fosse ancora intervenuto. Uscì sul pianerottolo, ma si bloccò. Farsi i fatti degli altri non era nella sua natura. E sembrava essere tornato il silenzio. Ma ci fu un pianto, straziante. E un grido: era la voce del bambino, una sorta di guaito di dolore. Un colpo. Altri, sempre più frequenti. Poi più nulla. Il silenzio, di nuovo.
Andrea si riscosse: non poteva continuare a fissare quella porta. Si precipitò ad aprirla, senza bussare, senza preoccuparsi se fosse chiusa a chiave. Non lo era.
L'ingresso era buio: tutto l'appartamento lo era. Le tapparelle erano abbassate, nonostante fossero quasi le dieci di mattina. Il silenzio gli faceva venire i brividi e dovette forzarsi a spezzarlo: «C'è qualcuno? Sono il vicino, ho sentito dei rumori». L'eufemismo delle sue parole lo fece quasi sorridere. Arrivato in soggiorno, accese la luce. La stanza era vuota ma devastata da segni di lotta. In cucina non c'era nessuno, solo i resti della colazione e una marea di cocci: forse quelli di tutte le stoviglie di casa.
«C'è nessuno?», ripeté, un po' più forte questa volta.
Arrivato nella camera, la vide ancor prima di accendere la luce: per terra, tra il letto e l'armadio, rannicchiata su se stessa, come una bambina spaventata. Era coperta di sangue. Aveva capito che non c'era nulla da fare, ma si avvicinò lo stesso.
Non le si vedevano più le occhiaie, né le rughe. Il volto era scomparso, cancellato a colpi di lama. Anche le braccia erano un oceano di tagli. Ogni lembo di pelle che usciva dai vestiti strappati mostrava una piaga. Delle ferite irregolari, quasi strappate, come se l'aggressore avesse avuto l'urgenza di devastare tutto. Il poco di pelle che non era stato squartato era coperto di lividi, ematomi più o meno recenti, a giudicare dalle tonalità.
Il sangue era ovunque: Andrea si rese conto di averne anche addosso. Aveva posato il ginocchio in una pozza. Trattenne un urlo d'orrore e cercò il cellulare nella tasca dei pantaloni, ma era rimasto sul letto, accanto alla valigia.
Una vampata di panico gli attraversò la schiena, la sentì bruciare. Doveva uscire da lì e trovare il telefono. Si puntellò sulle ginocchia per rialzarsi: il sangue rendeva scivoloso il parquet. Un rumore gli fece alzare la testa. Il bambino. Lo vide, in piedi sulla soglia. Il pigiama azzurro che indossava era coperto di chiazze di sangue. Come i piedi, nudi. Teneva le mani dietro la schiena. Andrea rabbrividì alzando gli occhi fino a incrociarne lo sguardo strano, vuoto e intenso insieme. Anche il volto era sporco di sangue. Sorrideva.
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