"Ciao mamma!" urlò Evelyn entrando in casa, cercando di sovrastare lo sfrigolare dell'olio bollente.
"Ciao tesoro, come mai sei tornata così tardi?" la rimproverò la madre mentre girava le dorate ali di pollo nella padella.
"Sono stata in biblioteca tutto il pomeriggio a studiare, ma' " sbuffò Evelyn, appoggiando la cartella per terra e abbandonandosi su una sedia.
"Va bene, la prossima volta però avvisami, mi fai preoccupare" rispose lei, guardandola con un sorriso e ritornando a fissare la carne che era quasi pronta.
"Che buon profumo" disse Evelyn, sniffando il profumo di fritto che aveva già intriso le pareti.
"Già, peccato che non sia per noi" disse amaramente la madre, porgendole invece una scodella con dell'insalata.
"Già, come ogni volta"
La madre di Evelyn, Eudora, era una gran lavoratrice: ogni giorno era a servizio di una delle famiglie più ricche della città: gli Smiths.
Faceva da babysitter alla loro unica figlia, Charlotte, perché lui era a lavoro tutto il giorno mentre lei era troppo impegnata a fare riunioni con le amiche per preoccuparsi di quella piccola bambina.
Non era cosa insolita nel paese fare a gara a chi facesse più figli: la noia, si sa, a volte porta alle cose peggiori.
E poi, come se avessero sfornato un dolce e non un figlio, non se ne curavano più e li lasciavano crescere alle donne nere che facevano i servizi nelle loro case.
Per Eudora Charlie era come una seconda figlia: le insegnava ad essere gentile ed educata, ad essere buona ed altruista ma, soprattutto, a non essere razzista come metà della gente di Yorktown.
Metà, certo, perché l'altra metà era direttamente nera.
Eudora però non era solo una gran lavoratrice ma anche una donna di buon cuore: una sera a settimana cucinava per alcuni vicini che ne avevano bisogno.
Quella sera toccava ai Jefferson, una coppia di anziani signori che vivevano li vicino.
Lui, mutilato dalla guerra, non poteva più lavorare mentre lei, essendo nera e non più nel fiore degli anni, non riusciva a trovare un impiego, nemmeno come signora delle pulizia.
Entrambi dunque vivevano con la pensione che lo stato dava ai reduci di guerra che non riusciva a garantire ai due una vita serena.
"Io vado, torno subito" disse Eudora, dopo aver ben incartato le ali di pollo ancora bollenti, ed incamminandosi verso la porta.
Con l'orecchio ben teso verso la porta, Evelyn aspettava che il rumore dei tacchetti della madre che percorrevano il via letto di affievolisse fino a scomparire.
Quando questo avvenne, Evelyn si fiondò in camera sua a cercare i dischi che suo padre le aveva lasciato.
In realtà non li aveva lasciati a lei, li aveva lasciati e basta.
Nessuno si sarebbe aspettato che non sarebbe più tornato a riprenderseli e ad ascoltarli insieme alla figlia adorata.
Alla madre non faceva piacere la vista di quei dischi, le ricordavano quella ferita ancora aperta.
A volte la sera, prima di addormentarsi, Eudora tracciava nel buio il profilo del marito nell'aria, come se fosse vicino a lei nel letto che ormai era troppo grande per lei.
Si immaginava di toccargli di nuovo quell'imponente naso largo, quella bocca carnosa, quel mento prorompente e quelle guance ruvide.
Ma soprattutto, a volte affondava la testa nel cuscino cercando di ricordare com'era il suo profumo, la sua risata, la sua voce: la paura di potersi dimenticare di tutto ciò un giorno la spaventava più di ogni altra cosa.
Evelyn invece amava spesso cacciarli ed odorarli, sperando di trovare qualche profumo che le ricordasse il padre.
A volte si incantava solo a fissarli e pensava, pensava a quali canzoni ci fossero dentro e se fossero le preferite del padre.
Non aveva mai ascoltato quei dischi o, se lo aveva fatto, doveva essere molto piccola e non si ricordava molto delle melodie.
Non sapeva dunque che tipo di canzoni fossero quelle di questo Elvis Presley o di Ella Fitzgerald, forse poteva trattarsi di jazz come di blues, così come di samba o charleston.
Non vedeva l'ora di portarli da Will il giorno dopo: le aveva detto che poteva provarli a casa sua, sul suo giradischi.
Chissà quanti dischi aveva Will, pensò Evelyn, distendendosi sul pavimento e stringendo i dischi sul petto.
Ad un tratto la porta d'ingresso s'aprì ed Evelyn si affrettò a rimettere tutti i dischi al loro posto, sotto il letto.
"Tesoro, dove sei?"
"Mi sto...mi sto cambiando!" urlò la ragazza, affrettandosi a togliersi i pantaloni e tutto il resto ed infilandosi velocemente la lunga e calda camicia da notte.
"Scusami ma', avevo freddo e mi sono andata a cambiare" disse Evelyn, scendendo giù in cucina per la cena.
Evelyn non dormì molto quella notte: l'idea di poter capire qualcosa in più sull'amato padre la rendeva nervosa ed emozionata, o forse contribuì anche l'idea di andare a casa di un ragazzo da sola?
__________
Salve a tutti,
Spero che questo breve capitolo vi piaccia:)
Fatemi sapere :)
Baci,
Gaia <3
STAI LEGGENDO
Sotto lo stesso cielo
Teen FictionLa storia di una ragazza come tante, o forse di una ragazza come poche, o forse quella di un ragazzo, o forse quella di un amore. Cosa accomuna questa ragazza con ognuno di noi? Ovvio, stiamo tutti sotto lo stesso cielo.