Capitolo 3

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Evelyn riguardò quel pezzo di carta durante tutto l'intervallo che passò, come era solita fare, da sola.

Il cortile dove "quelli come lei" trascorrevano la padua era giallo e ammuffito, con qualche panchina mal verniciata e un'altalena rotta.

Ma non era questo che scoraggiava la vitalità dei ragazzi: un melodioso brusio si diffondeva come musica in tutto lo spazio, generando in Evelyn una sorta di quiete.

Un imponente cancello separava il loro cortile da quello dei "bianchi" : il loro era ovviamente verde e rigoglioso, con un solido chioschetto e delle panchine pulite.

Ma dal loro giardino, pensò Evelyn, non si sentiva nessun caldo brusio, nessun canto melodioso: sembrava che ogni suono fosse distaccato dall'altro nonostante facessero parte dello stesso discorso.

Evelyn si ritrovava spesso a guardare "dall'altra parte" : alti e prestanti giovani che si avvicinavano alle gonne a ruota delle ragazze cotonate, si accedevano una sigaretta e si passavano spasmodicamente una mano fra i capelli pieni di brillantina cercando di sembrare attraenti.

Se qualcuno si fosse presentato così da lei, pensò Evelyn, di sicuro lei non sarebbe cascata ai loro piedi come quelle oche bionde.

Cos'avevano poi di così speciale? Non si presentavano nemmeno e già speravano di far colpo con un solo sguardo? Non avevano ancora condiviso i loro interessi, nè si erano scambiati lettere d'amore nè lunghe telefonate il sabato pomeriggio.

Forse i tempi stavano cambiando, forse non ci si innamorava più come ai tempi di Jane Austen e di tutti quegli autori di cui aveva sempre letto: alla fine, cosa ne poteva sapere lei dell'amore? Ne aveva solo letto sui libri, forse in realtà era tutta una finzione.

Forse era questo: qualche sguardo e qualche sigaretta.

Riposò lo sguardo su quell'ormai consumato ritaglio di giornale: qualcuno dovrebbe ricordare tutte quelle persone che sono morte, per non cadere nell'oblio.

L'oblio. Solo l'idea fece accapponare la pelle alla piccola Evelyn: non c'era cosa peggiore dell'oblio, della dimenticanza.

Paradossalmente, il miglior modo per non essere dimenticati era quello di non essere ricordati.

Ed era proprio quello che cercava di fare Evelyn, evitare di avere relazioni di qualunque tipo con chiunque in modo tale da non essere mai dimenticata.

Alzò lo sguardo oltre il cancello e intravide William, la sua nuova "conoscenza": doveva essere uno famoso, pensò la ragazza, aveva un sacco di persone che gli ronzavano attorno.

Ad un tratto, come se si fosse accorto del suo sguardo, William alzò la testa e incrociò i suoi occhi con quelli di lei che, prontamente, abbassò lo sguardo concentrandosi sull'articolo.

Aveva deciso: avrebbe onorato la memoria di almeno 14 persone, le sue 14 persone.

Cacciò dalla cartella un pezzo di carta ed una matita ed incominciò a scrivere i primi 14 numeri in colonna poi, guardando in cielo, pensò a quali nomi avrebbe scritto sulla sua lista.

Shakespeare? No, in tanti lo ricordano.

Jane Austen? Idem, si studia nelle scuole. Hitler? No, nessuno voleva ricordarselo.

Sarebbe stata una lista di gente sconosciuta, di quella che non si trova sui libri, dei piccoli eroi di tutti i giorni.

Urgeva una visita in biblioteca, al più presto.

D'un tratto si rese conto chi avrebbe dovuto occupare il primo numero della sua lista. Impugnò la matita e, con il foglio appoggiato alla coscia, scrisse:

1. Papà

Un sospiro le uscì dalla bocca mentre ripensava al suo profumo, al suo sorriso, ai suoi abbracci.

Fortunatamente la campanella suonò ed Evelyn fu costretta a ritornare alla realtà: si incamminò verso il portone d'ingresso con ancora il foglio in mano e la testa fra le nuvole.

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Salve, se vi piace questa storia scrivetemelo, non mi importa dei voti, vorrei sentire che ne pensate :-)

Buona serata, baci <3

Gaia

Sotto lo stesso cieloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora