Capitolo 2

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"Buongiorno ma" disse Evelyn, sbadigliando ed avviandosi verso il tavolo della cucina.

"Ben alzata, tesoro" le rispose la madre, rivoltando le frittelle sulla padella sfrigolante.

"Sbrigati o farai tardi a scuola" le disse inoltre, versando le frittelle in un piatto e porgendolo alla figlia che, nel frattempo, aveva già afferrato il quotidiano e lo stava divorando.

'Concentrati su ciò che mangi o ingrasserai!' 'Smettila di leggere anche a tavola' 'E' uno dei pochi momenti in cui stiamo insieme, potresti degnarmi di un po' d'attenzione?' erano le frasi che riecheggiavano ogni giorno a colazione, pranzo e cena.

Ma era più forte di lei: per quanto Evelyn ci provasse, non riusciva a smettere di imparare e di incuriosirsi, ma non che non avesse di meglio da fare, anzi, semplicemente era l'unico modo per distrarsi e non pensare al corso della vita e alla sua inevitabile fine.

Era una ragazza fondamentalmente pessimista e solitaria, e a lei stava bene cosi, non le piaceva essere circondata dalle persone, si sentiva a disagio ed in imbarazzo.

Dopo aver finito la colazione, Evelyn si diresse verso la sua piccola stanza: si potrebbe pensare che fosse piena zeppa di libri e carte varie ma in realtà non era cosi.

Perchè Evelyn non aveva cosi tanti soldi da potersi permettere tutti i libri che leggeva ed è per questo che li prendeva dalla biblioteca della piccola cittadina dove abitava, Yorktown.

Ed è anche per questo che molto spesso non era aggiornata sulle ultime uscite ed è anche per questo che amava i classici: si può dire una scelta di necessità dato che non leggeva romanzi a lei contemporanei.

Si diresse verso l'armadio e lo aprì: un odore di stantio misto a naftalina le invase le narici ed incominciò a scegliere l'abbigliamento con il quale sarebbe dovuta passare inosservata per l'ennesima volta.

Non che avesse tantissima scelta, vista la disponibilità economica. Ma in realtà era lei che non amava molto i vestiti e le scarpe e tutta quella roba lì: ogni volta che riceveva dei soldi, a Natale, al Ringraziamento o al compleanno, o li metteva da parte per il futuro o li investiva (ovviamente) in qualche libro.

Optò infine per una larga camicia color panna, un cardigan ricamato rosa ed un vecchio pantalone marrone la cui vita si fermava esattamente sotto il seno.

Si aggiustò la massa di capelli che si ritrovava e li acconciò in uno pseudo-chignon fermato da una matita che aveva trovato lì vicino.

Afferrò al volo la cartella e si chiuse la porta alle spalle dando un bacio veloce alla madre che avrebbe preso il pullman alla fermata più vicina mentre Evelyn avrebbe dovuto camminare un po' prima di arrivare alla fermata.

Mentre camminava sul polveroso marciapiede di Yorktown si ritrovò a pensare ad un articolo che aveva letto la mattina, in fretta purtroppo, nella pagina delle curiosità del quotidiano locale.

"Ricerche stabiliscono che ci sono circa 14 persone morte nella storia per ognuno di noi" diceva "Se ognuno di noi stilasse una lista di 14 nomi, tutti i morti che si sono susseguiti nella storia del nostro pianeta verrebbero ricordati"

Probabilmente è solo una sciocchezza, pensò Evelyn, mentre stringeva a sè l'articolo che aveva frettolosamente ritagliato durante la colazione.

Evelyn arrivò giusto in tempo alla fermata: salì sull'enorme autobus giallo e si sedette come sempre in prima fila, vicino al finestrino.

Quel posto era l'unico che le permetteva di rimanere in pace: nessuno si sarebbe mai seduto in prima fila, il posto dei secchioni, vicino ad una povera ragazza di colore.

Quel giorno però le cose andarono diversamente: prima che le porte si chiusero definitivamente, una mano bianca fermò le portiere e vi oppose resistenza, tentando di entrare.
L'autista sbuffò e le riaprì, facendo entrare un ragazzo sudato ed affaticato, evidentemente reduce da una lunga corsa.

"Grazie mille" disse lui, ricomponendosi e facendo il baciamano all'autista che, nonostante la possenza e la robustezza, arrossì quando il giovane le toccò la mano ruvida e callosa.

Il ragazzo si girò intorno e, non vedendo altri posti liberi, si diresse verso il posto accanto a quello di Evelyn e si accomodò, non senza prima aver chiesto gentilmente il permesso.

La ragazza si strinse ancora di più verso il finestrino, mantenendo la distanza col ragazzo che, con un candido fazzoletto di stoffa, si stava tamponando la fronte.

"Non ci siamo già visti noi due?" esordì ad un tratto il ragazzo.

Evelyn alzò lo sguardo dal ritaglio di giornale che stava fissando ossessivamente e lo squadrò.

"Non mi sembra, no" e riportò lo sguardo sul grigio pezzo di carta.

"Al bar! Ecco dove ci siamo già incontrati, sei la ragazza che doveva tornare a casa presto, quella che ho chiamato per sbaglio Jane"

"Ah si, ecco" disse lei, indifferente.

Non voleva essere scortese, solo non era abituata a parlare con qualcuno sull'autobus della scuola.

Un bianco, per giunta.

"Potrei sapere il tuo nome giusto, questa volta?" disse lui, rivolgendole un sano sorriso.

"Evelyn"

"Come quella del romanzo della Burney"

"Come chi, scusa?"

"Fanny Burney, un'autrice di fine Settecento, si dice sia una precorritrice di Jane Austen"

Ad Evelyn scappò una risata: non aveva mai sentito quella parole, precorritrice, non l'aveva mai trovata in nessun libro, e l'idea che fosse stato un ragazzo a dirla la fece sorridere.

"Che c'è, ti sembro ridicolo?" disse lui, sorridendo.

"No è che sembra strana quella parola detta da un ragazzo di appena 18 anni.."

"Come fai a sapere quanti anni ho?"

"L'ho dedotto, dallo zaino, dai vestiti, dagli atteggiamenti... Ho detto giusto?"

"Giustissimo" disse con un sorriso.

"Tu invece quanti anni hai?"

"17" rispose lei, ritornando all'articolo.

"Che leggi?"

"Un articolo che ho trovato stamattina sul quotidiano, roba da 'secchioni'" disse, mimando delle virgolette in aria.

"Si, l'ho letto anche io e mi ha molto incuriosito.. Qualcuno dovrebbe organizzarsi e ricordare tutte queste persone"

Già, penso Evelyn, qualcuno dovrebbe.

"Questa è la mia fermata comunque, ci vediamo Evelyn" disse il ragazzo, facendole il baciamano.

"E' anche la mia fermata" disse lei, ridendo.

"Oh" rispose lui, imbarazzato. "Okay, scendiamo insieme allora"

"Io vado a sinistra, però" disse lui ad un tratto, guardandosi le punte dei piedi.

"Ovvio" rispose la ragazza, prendendo le sue cose e preparandosi a scendere.

Quando l'autobus si fermò, i due scesero e poi, dopo una rapida occhiata, si diressero verso le due entrate opposte dello stesso edificio: Evelyn varcò il cancello arrugginito e malconcio che portava la scritta 'ENTRATA PER I NERI' mentre il ragazzo si diresse verso l'altra porta, piena di ragazze bianche con lunghi vestiti floreali e folti capelli cotonati.

"Hey, ehm, Evelyn" sussurrò lui, prima di allontanarsi "Io comunque mi chiamo William" disse, con un piccolo sorriso.

"Come Shakespeare" disse lei, mascherando il sorriso che in realtà avrebbe voluto fare: se c'era una cosa da fare per non farsi notare era parlare con un bianco, ed Evelyn di certo non voleva rovinare finire sulla bocca di qualche pettegola.
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Salve, spero che questa storia vi piaccia :))

Baci,
Gaia <3

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