«Sono tutti tuoi questi?» chiese, indicando una serie i quadri diversi dagli altri appoggiati sul lato corto della stanza. Subito si pentì d'aver fatto una domanda tanto stupita.
Jisoo le rispose comunque, gli occhi incollati alla tela. Dopo pranzo Lisa aveva accolto la proposta di visitare la casa: esplorava ogni angolino con aria sognatrice, passeggiando lentamente e tirando il collo per soddisfare alla vista tutto ciò che suscitava la sua curiosità bambina. Affacciandosi alla porta dello studio dove erano custoditi i lavori dei due coinquilini, la giovane aveva sgranati gli occhi. «Ecco dove sono i tesori».
Sapeva che Hyungwon frequentava già l'Accademia d'Arte di Seoul e che Jisoo l'avrebbe iniziata con lei in primavera, sebbene con anni di ritardo rispetto ai suoi coetanei. Quest'ultima si era ritirata dopo aver finito di sistemare la cucina, lasciando Hyungwon a fare da guida.
Lo studio era un quadrilatero bianco con le pareti, su cui erano ammassati bozze, dipinti, tele complete ed incomplete, la maggior parte di Hyungwon. Le tele di Jisoo erano una minima parte, molto più piccole, il che significava anche più facili da trasportare. Aveva dovuto portarle le via in fretta dalla casa dei suoi genitori − quella che un tempo era anche casa sua − sotto i loro sguardi arrabbiati e indignati. Jisoo non capiva come un uomo potesse essere indignato dell'arte. I suoi genitori erano sempre stati in dissenso su ogni sua scelta che non comportasse il suo impegno a livello sportivo. Indignati ed offesi d'aver buttato via soldi e tempo per seguire la loro unica figlia che speravano, anzi, volevano, fosse la campionessa che loro non sono stati. Eppure Jisoo soffriva d'asma, gli avevano detto, e , oltretutto, la bambina in cui riponevano i loro sogni mancati aveva altre passioni, altri interessi.
La gita di Lisa si era conclusa nel soggiorno, dove Hyungwon aveva iniziato a suonare.
A Jisoo arrivavano melodie sconosciute alla sua memoria, eppure velate di una certa profondità che le rendeva amiche e fonte di stimolo artistico.L'ispirazione per lei non era momentanea alienazione, e nemmeno illuminazione improvvisa, semplice consapevolezza. Per Jisoo arte era illuminare ciò che già è. Ispirazione è quindi cogliere qualcosa che può essere illuminato, elevato all'altezza dell'arte più pura ed essenziale.
Jisoo trasportava sulla tela tutto, a modo suo. Astratta per lei era un aggettivo bello eppure stranamente piccolo e poco preciso per descrivere la complicatezza di un'arte.
Ad ogni modo, la concepiva come il massimo traguardo dell'espressione umana nel descrivere e narrare il tutto. Per lei il tutto era qualcosa di talmente profondo e intrinseco alla natura stessa del mondo, qualcosa che è inevitabile chiamare arte, qualcosa di prepotentemente presente nella mente degli uomini come nella sua, e che è necessario portare alla tela.
La tela, un'estensione della sua realtà. Affidava a lei le sue fobie e i suoi demoni; la tela le metteva davanti le sue paure, le sue oscenità, le sue imperfezioni.
L'arte le procurava una strana alienazione dalla vita; era una sorta di anestetico ai problemi concreti, una scappatoia al sensibile. Spesso, mentre pensava ad un dettaglio di un dipinto, a un soggetto o a un'idea, guardandola in viso sembrava quasi che stesse guardando dentro un buco nero. Gli occhi sgranati, o al contrario, semichiusi, guardavano il vuoto. Chi la conosceva la chiamava persa o, più semplicemente, come venivano chiamati lei e i suoi amici del quartiere, sbandata.
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cicatrici su tela [k.j.]
Fanfiction"Si sposavano bene le cosce tra le guance, i seni tra i respiri e le mani sulle scapole, ad abbracciare l'eterno fino ad addormentarsi. [...] Quanto tempo, pensò, quanto tempo...sarà valso tutto questo tempo perso a sentirsi cimici rivoltate? [...] ...