L'università era un mondo nuovo per Jisoo. Popolato di personaggi di ogni sorta, colorato e di una produttività quasi mistica agli occhi della matricola. Guardava ai professori come a dei mostri sacri cui doveva rubare ogni parola e ogni dettaglio. L'ambiente scolastico non le era mancato, eppure si ritrovava in un contesto diverso, accogliente come mai prima d'ora.
La creatività dei compagni le dava energia per affrontare i pennelli e i carboncini, le tele irrisolte nel suo appartamento e perfino gli sguardi degli sconosciuti.
Si era ormai abituata alla presenza di Jennie nella sua classe di storia dell'arte. Più volte avevano incrociato gli sguardi, riconoscendosi; ma, non avendo mai nulla da dire, proseguivano ognuna per la propria strada. Jisoo aveva sempre visto quella ragazzina in tenuta sportiva, mai avrebbe pensato frequentasse un istituto come quello. Eppure, vedendola più spesso si rendeva conto della sua originalità. Il suo portamento e lo stile nude raffinato e minimale si addiceva alla sua coda di cavallo color castagno e ai suoi occhi piccoli e in costante mutamento. Provava una sorta di tenerezza ogni volta che nei suoi occhi leggeva quell'indecisione maschera di timidezza. Jennie era sempre stata difficile da comprendere, o almeno così aveva sempre pensato. Regalava sorrisi sinceri con la cautela dei timidi, ai più conoscerla appieno sembrava un'impresa. Intrappolata nella sua moderazione dei sentimenti, ne subiva le conseguenze. Non sapeva ammetterlo a se stessa, che voleva conoscere quella ragazza.
Jisoo emanava un'aura di diffidenza e brusca riservatezza nei suoi panni di studentessa universitaria. Ma lei l'aveva vista distrutta, statua decadente, aveva in un certo senso condiviso il suo dolore. E voleva farlo di nuovo. Voleva capire il suo tormento quotidiano, la sua autodistruzione disinteressata.
Non sembravano avere niente in comune, il rosa e il nero. L'unico punto comune su cui Jennie aveva riflettuto era Yoongi. Quando avevano lasciato Jongin e la sua compagnia, lei e quell'altro ragazzo sbandato erano fuggiti correndo per interi isolati.
Yungsan era diventata la sua nuova casa. Ma lei non sarebbe mai stata una ragazza sbandata. Era figlia d'arte, non condivideva nulla con la decadenza dell'arte non voluta. Il padre le aveva lasciato l'appartamento a Seoul per tornare in Australia con sua madre. I genitori le pagavano gli studi, ma per guadagnare qualcosa Jennie aveva provato i lavori più disparati.
Era capitata nelle braccia di Jongin quasi per caso, e si era innamorata. Aveva fatto di tutto, per quel ragazzo triste, abbracciato la sua vita, il suo giro di droga, mentendo la sua faccia pulita da studentessa. Quando aveva rifiutato lo spaccio nel suo quartiere aveva venduto l'appartamento e affittato una camera del dormitorio universitario, dove Jongin non avrebbe potuto toccarla. In quanto a Yoongi, l'ex-amico sapeva che i ragazzi sbandati non andavano toccati. Era stato il periodo più difficile, per Jennie. Le uniche amiche che si era fatta a scuola non condividevano la sua solitudine e il suo doloroso allontanamento dall'arte. Dopo il trasferimento l'atletica era diventata per lei l'unico sfogo ai suoi sentimenti; non riusciva più a tenere in mano la macchina fotografia senza sentire una nauseante nostalgia. Jongin era stato uno dei suoi soggetti più belli. Irrimediabilmente perduto e rifuggito da se stesso. Jennie non era più in sé, non aveva più interesse per nulla che non fosse la storia dell'arte o il salto in alto. Apriva la bocca solo per respirare, mangiare, bere, lavarsi i denti, mordersi le nocche. Accendeva le sigarette solo per spegnersele sulle braccia. Finì per credere che la sua pelle valesse quanto una bottiglia di plastica in mare, di quella plastica che scompare ai nostri occhi e diventa stupefacente cibo per pesci in via di estinzione.
Anche quella fase, passò, come ne erano passate tante. Ebbe altri amanti, ragazzi e ragazze, che colmarono i suoi vuoti e riportarono in lei l'amore per l'arte e la fotografia.
Eppure guardando Jisoo vedeva l'ombra di quello che lei era stata, schiava del suo stesso silenzio.
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cicatrici su tela [k.j.]
Fanfiction"Si sposavano bene le cosce tra le guance, i seni tra i respiri e le mani sulle scapole, ad abbracciare l'eterno fino ad addormentarsi. [...] Quanto tempo, pensò, quanto tempo...sarà valso tutto questo tempo perso a sentirsi cimici rivoltate? [...] ...