Capitolo 5

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Quando credi che ormai l'esperienza scolastica non possa più migliorare, né peggiorare, perché hai incontrato tante anime diverse ecco che ricominci da capo in una nuova scuola, con nuovi colleghi, nuovi Dirigenti Scolastici, ma soprattutto nuovi alunni. Nell'anno scolastico 2007-2008 ne ho incontrato uno dal continuo "Ce campam' a ffa'?" oppure "Ma che vita è questa, se ogni giorno ti alzi vieni a scuola, guardi fuori per 5 ore intere aspettando che suoni l'ultima campanella per poi andare a casa a fare finta di fare i compiti che non ti interessano proprio e poi vai a letto sapendo già che ti risveglierai in una giornata già vissuta?". Era J. A. dal nome americano sicuramente, ma dall'andamento delle sue giornate del tutto ginosino.

Era l'anno 2007-2008, altri tempi da quelli odierni dove speranze di un posto "fisso" continuativo o semplicemente remunerativo era ancora un sogno non impossibile. Forse è proprio quando cominci a pensare di voler azzardare a sognare un po' più in grande che cominciano le batoste. L'anno dopo iniziò la crisi quella vera. Non solo in Italia, in Europa, nel mondo.

2008-2009: ultimo anno di classi da scegliere alla convocazione del USP, già l'anno dopo inventeranno la finta del Salva Precari che non ha salvato proprio nessuno. E poi giù a manetta a tagliare i posti, ad aumentare il numero degli alunni minimo per classe, ad accorpare ambiti disciplinari, a farsi la guerra tra le scuole per conquistarsi una classe in più. Quello fu quindi un anno in cui la scelta fu agognata: la S. G. B. 

Il preside fu sin dall'inizio convinto e deciso nell'assegnarmi una classe "particolare", la II C, mentre altre colleghe avrebbero preferito che mi si assegnasse la II A o ancora la III D. Ma la spuntò il preside e senza aver ben capito quali fossero le miriadi di motivazioni dell'una e dell'altra parte (dicasi delle colleghe), mi avventurai ancora una volta e cominciai l'avventura in quella tanto bistrattata II C. Dal primo istante nella classe capii l'andazzo. La classe era "forte", molto forte, sia nei caratteri che in preparazione. Pochi elementi da rinforzare e solo un paio da recupero. Tutto il resto faceva a gare a chi era più preparato, sapeva di più e aveva voti più alti. Vigeva una vera -e azzarderei anche sana- competizione che produceva energia e voglia di insegnare. Ero pazza di quella classe, finalmente un po' di verve e ricchezza di menti fresche e pronte ad imparare. Al che mi chiesi come mai mi fosse stata presentata in maniera non esattamente idilliaca ... La risposta mi si spalancò una mattina quando durante la spiegazione di storia, un alunno cominciò a chiedere ed io a rispondere, ma lui nuovamente chiese ed io nuovamente risposi, e lui ripetutamente a chiedere ed io ripetutamente a rispondere, fintanto che caddi nella trappola e arrivò la domanda a cui non sapevo rispondere. Dissi semplicemente che avrei fatto ricerche e l'indomani avrei fornito la mia risposta. Fu la faccia diabolicamente soddisfatta di quell'alunno "modello" che mi sconvolse e mi preoccupò. Ne parlai con alcune colleghe e lì mi sciorinarono come fiumi in piena quanto accaduto l'anno passato, come avessero messo in crisi le insegnanti, di come se ne prendevano gioco eccetera eccetera. Un sudore freddo mi rigò la schiena. Bene. Era giunto il momento di non mollare la presa, di riprendere a ricercare, anche tra le curiosità della storia, dei luoghi, delle abitudini della gente, dei modi di dire e tutto quanto potesse servirmi nel lavoro.

 È stata un'esperienza più costruttiva per me che per loro forse, perché ci sono momenti in cui si crede di sapere tante cose, di averne viste e quindi di sapere molto, cosicché non credi di dover ancora ripetere o rivedere o approfondire. Invece ... ti accorgi che non è affatto un modo di dire che non si smette mai di imparare. Nel senso che non solo non si deve smettere di farlo, ma proprio è la vita in sé che non ti permette di smettere. E se per caso cominci a farlo o al peggio cominci a disimparare, o meglio a scendere al livello dei buzzurri, scopri che sei come scesa in uno di quei gironi di dantesca memoria. Per chi ancora se lo ricorda. Poveri noi! 

Come quella volta che mi scapparono infiammate lacrime di rabbia per l'insistenza di un alunno, il quale continuava ad asserire che io il giorno prima avessi parlato del pianeta Plutone e del cane Pluto, quando io invece avevo spiegato Plauto e il teatro latino. Embè, cosa potevo pretendere da "bambini" di 11 anni?  

Avventure di una futura ex profWhere stories live. Discover now