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Jimin

Mi assicuro che il cellulare sia al suo posto, come tutte le mattine. Poi indosso la mia maschera  da cui si intravedono i miei occhi. La sistemo in modo che ogni piccola parte del viso e dei capelli sia coperta, poi mi specchio. 

Ordinario. Al sicuro sotto una maschera. Come tutti. Nessuno in questo mondo ha mai visto la faccia di qualcun altro. Si vede solo la propria di faccia la sera, quando ci si toglie la maschera e si va a dormire. Si nasce chissà come, non ce l'hanno mai detto, e si vive la propria vita coperti da tutti. Si vive la propria vita per specchiarsi e dire: <<Questo sono io. Chissà come saranno gli altri. >> .

La porta di casa si chiude sbattendo e io attraverso le strisce per arrivare al portone della scuola. Un grande edificio dove tanti omini con le loro maschere stanno seduti ad un banco per circa 8 ore, con delle piccole pause per riposarsi, ma solo quando gli insegnanti vogliono essere più gentili. 

Mi sistemo meglio lo zainetto sulle spalle e poi entro. Non c'è chiasso. In realtà in questo mondo non c'è mai chiasso. La maschera ostacola il movimento della bocca, anche se qualcuno, alcune volte, infrange questa regola. 

Intravedo qualche pantalone, un po' di gonne svolazzare per i corridoi. Sono nello scompartimento giusto, dato che nel secondo ci sono solo donne. 

Gli allarmi stordenti ci avvisano che è ora di sederci ai nostri banchi, nelle classi.  Saluto con la mano il mio vicino di banco. Non so neanche come si chiama, so solo che è seduto accanto a me. Lo vedo ogni mattina. 

La sua maschera è nera, decorata con ghirigori bianchi presenti sulla fronte fino al naso. E' davvero particolare, a differenza della mia che è un pezzo di plastica in tinta unita bianca. 

Una delle cose che mi piace di più di indossare una maschera, forse l'unica, è che rappresenta te stesso. E' l'unica cosa, oltre ai vestiti, con cui le persone possono memorizzarti. Possono capire chi e come sei. Se sei ricco o povero, se ti piace osare o no. Io ho una maschera abbastanza spessa. Mi è costata una fortuna, ma ne è valsa la pena. Mi rispecchia così tanto. Semplice ma raffinata.

*****

<< Studente Jeon J., numero 1174, ha lasciato il suo armadietto aperto. La prego di ritornare in corridoio a richiuderlo. >> .

La voce metallica rimbomba subito dopo il suono dell'allarme. Lezioni finite, incubo terminato. Almeno per oggi. 

La classe, compreso io, si alza, esce dall'aula con una certa fretta e si avvia verso la porta d'uscita.

Rimango fermo ad osservare il presunto studente richiamato in precedenza dagli autoparlanti. 

Ha la testa bassa ed è alla ricerca di qualcosa. Non riesce a trovarla perché si gira in continuazione su se stesso, controlla da tutte le parti, ma invano. 

Mi avvicino a lui e al suo armadietto. Poi noto che sopra l'armadietto è presente qualcosa. Con le mani cerco tastoni quel qualcosa e in mano mi si ritrova una chiave. 

La porgo al ragazzo di fronte a me, che non vuole notarmi e respira in silenzio. 

<< Grazie. >> sussurra come se avesse appena commesso un reato nel parlare.  Poi si volta e si mimetizza con tutti gli altri studenti. 

fool; jikook Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora