Unspoken words.

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Prologo.

Claire aveva percorso per l’ennesima volta una strada diversa.

Nonostante non ricordasse quasi più il motivo per cui ne intraprendesse di assurde faceva di tutto per evitare quelle in cui avevano camminato insieme, quelle che erano soliti fare in motorino per tornare a casa da scuola.

Erano passati tre anni dall’ultima volta che si erano parlati e, nonostante nessuno dei due avesse detto niente, lei sapeva che era meglio allontanarsi. Aveva preso la decisione per entrambi, ma le importava poco. Studiava in un’altra città e tornava a casa solo per le festività che trascorreva rigorosamente con i suoi genitori. Aveva inventato scadenze, impegni e commissioni continue da sbrigare perché “Si sa: il tempo è quello, e poi, per quel poco che sono qui, devo stare con la mia famiglia”. Cercava di mantenere le distanze per provare a convivere meglio con se stessa, per soffocare ancora quelle parole non dette che si muovevano tutte intorno al suo cuore. Ritornare era sempre doloroso perché ogni cosa di quella piccola città le ricordava lui: si erano impressi nella mente ogni angolo, ogni mattonella e ogni edificio di quel posto quando un pomeriggio avevano deciso di “fare i turisti”, si erano detti che sicuramente c’era qualcosa di storico lì, anche se non era esattamente così. Ogni passo faceva riaffiorare un ricordo e ogni ritorno era colmo di paura. Temeva che un incontro avrebbe fatto crollare quelle idee che si era impegnata a mettere insieme.

Le sue paure erano fondate, perché quel giorno di metà Maggio, il giorno in cui lo aveva rivisito dopo tutto quel tempo, le sue certezze si erano sbriciolate velocemente: come un castello di sabbia. Lo vide sorridere tra sé e sé e, malgrado avrebbe potuto farsi i fatti suoi e andare via, il suo corpo si mosse da solo insieme all’immotivata voglia di chiamare Eric e farsi ancora del male, come l’ultima volta.

Eric era appena uscito dalla lezione di informatica.

Non era poi così interessante e aveva già assimilato quelle nozioni durante uno dei numerosi corsi che aveva frequentato al liceo o in uno dei libri che sfogliava durante la giornata. Aveva quella malsana abitudine di leggere sempre, mentre aspettava l’arrivo del treno, nei momenti morti della mattinata e la sera, prima di andare a dormire. Ogni giorno, subito dopo cena, si ritrovava sul letto, con un buon libro tra le mani e il cappellino con sopra la torcia, che suo padre gli aveva regalato per i suoi dieci anni. Sorrise a quel ricordo, alla felicità che aveva provato in quell’istante. Era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse che lo stavano chiamando.

“Eric?”

Si destò un attimo.

“Eric!”

Il ragazzo si girò verso quella voce femminile che aveva pronunciato il suo nome per la seconda volta. Non lo sentiva da troppo tempo detto in quel modo. C’era solo una persona che aveva quell’abitudine, di reclamare prima l’attenzione su di sé per distrarlo dai suoi pensieri e poi di rifarlo, esclamando, per essere davvero sicura che fosse lui e non un altro ragazzo.

“Lo sapevo: sei tu.”

Eric la guardò sorridere e non seppe cosa dire nonostante le parole fossero ben presenti nella sua mente. Non la vedeva da tre anni e sembrava che le lancette si fossero fermate. Era sempre la stessa: riusciva a contare ancora le sue lentiggini, a scorgere l’azzurro limpido dei suoi occhi e, in qualche modo, era tuttora capace di fargli lo stesso effetto.

“Claire.”

Disse quel nome piano, come se glielo stesse sussurrando, e vide gli occhi di lei sorridere, prima che si avvicinasse a lui e lo abbracciasse. Il suo profumo di pulito era rimasto invariato ed Eric ricambiò quella stretta sentendola vicina, quasi dovesse ricordarsi com’era fatta Claire, la sua Claire.

“Mi sei mancato.”

Le sorrise.

“Non ti credo. Avrai avuto di meglio da fare, che pensare a me in questi ultimi anni.”

“L’università fuori è massacrante, ma ho avuto il tempo di farlo.”

La vide guardarsi intorno, come in cerca di qualcosa, e poi guardare l’orologio.

“Ho tempo per un caffè… Che ne dici se ci sediamo e ci raccontiamo tutto?”

Eric esitò un attimo perché non credeva che l’avrebbe rivista dopo tutto quel tempo, credeva che i loro destini si fossero separati anni prima e che non si sarebbero più rivisti.

“Solo se posso offrirtelo io.”

Claire annuì, indicò il bar lì di fronte e si posizionò accanto a lui.

Entrambi avvertirono delle gocce di pioggia cadere sui capelli, affrettarono il passo e la ragazza scorse la solita espressione incredula di Eric. 

Era passato tanto tempo, ma per Eric era un colpo al cuore vederla, come sempre, come l’ultima volta.

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