Irama
-Chiudi gli occhi.- dico a bassa voce, parcheggiando la macchina. L'ho portata su una piccola collinetta, dove si vede tutta la spiaggia. Iris chiude gli occhi -Non sei un maniaco che mi vuole uccidere, vero?- ironizza. Rilascio il respiro, ridendo. La faccio cautamente scendere dalla macchina e la porto sulla collina. Stendo un telo sull'erba e la faccio sedere. Ha le sopracciglia aggrottate e l'espressione seria.
Mi siedo accanto a lei -Puoi aprirli ora.- un sorriso speranzoso brilla nei miei occhi. Lei pian piano apre i suoi e, non appena si guarda attorno assaporando tutti i dettagli del paesaggio, li strabuzza. Schiude leggermente la bocca -È spettacolare questo posto.- dice ancora attenta al mare, all'erba, ai fiori, alla sabbia.
Mi abbraccia ed io mi irrigidisco inizialmente. Poi però ricambio. -A cosa devo questo abbraccio?- si stacca leggermente, già sento la mancanza fisica. Mi guarda attentamente negli occhi -A tutto, Fil. In una settimana mi hai fatto fare e provare più di quanto io abbia mai fatto in tutta la mia vita.- le sorrido -Vale lo stesso per me.- questa ragazza è un magnete per me. È come una droga. Il veleno e l'antidoto per curarlo. Non riesco a capire. Il mio sguardo cade sulle sue labbra carnose e liscie. Mi avvicino, ma lei parla -Mi sento come quando hai preso il diploma e sei tornato a casa urlando e saltando.- ridacchia. L'attimo dopo il suo sorriso scompare e si irrigidisce. Io ci metto un po' per metabolizzare ciò che ha detto -C... cosa? Come fai a saperlo? E..- mi blocca con l'indice sulle mie labbra. Non riesco a formulare una frase di senso compiuto, balbetto. -Io ti devo delle spiegazioni. Ma non so se tu vorrai sentirle davvero.- ho un groppo in gola a causa dell'ansia e della confusione, nonostante ciò, annuisco deciso.
Ingoia la saliva, poi parla -Io prima abitavo a Firenze, ma all'età di 12 anni mi sono trasferita insieme a mio padre e mia madre a Milano. Abbiamo preso casa nel tuo stesso quartiere e, qualche giorno dopo, ti vidi per la prima volta. Mi sei piaciuto fin da subito e volevo davvero venire a parlare con te, anche se ero molto più piccola. Solo che non eri solo, avevi la ragazza e tu eri felice. L'anno successivo avevamo entrambi l'ansia degli esami, io lo percepivo il tuo nervosismo. Ti guardavo dal balcone. E, come ti ho detto prima, tu eri davvero tanto felice per aver preso il diploma e saltarellavi e urlavi dalla gioia, ovviamente affiancato dalla tua ragazza, Sveva se non erro. Non fraintendermi, non ho nulla e non ho mai avuto nulla contro di lei, solo ero un po' invidiosa che lei ti avesse. Ma non ho mai fatto in modo che voi due vi lasciaste, perché tu eri felice e lo ero un po' anche io. Vi guardavo sempre. Finché, due anni più tardi, non ho più visto né te né lei. Ho pensato vi foste lasciati, ma perché tu non uscivi più? Non l'ho mai capito. Ricordo solo che stavo malissimo e che ogni giorno aspettavo con ansia una tua uscita, che mai sarebbe arrivata. Potrei sembrarti una stalker, ma fidati che non è così.- ridacchia poi continua -Qualche mese fa mia mamma morì ed, essendo l'unica a lavorare nella mia famiglia, mio padre decise di farmi fare quel che faccio ora, io ovviamente non volevo. Mi costrinse capisci?! Mi minacciò e ho dovuto farlo. Se pensi che io sia andata a letto con chiunque, non è così. Il primo mese ho avuto pochi clienti, ma quando iniziarono ad aumentare, misi in atto il mio piano. Li pagavo per non farmi fare nulla e, per fortuna, tutti hanno accettato. Solo che, ovviamente, quando tornavo a casa senza soldi mio padre si arrabbiava, si arrabbiava tantissimo.- sta piangendo, le lacrime che scorrono veloci le bagnano le guance ed il mento. Ma la frase successiva mi fece rabbrividire dalla rabbia -Mi frustava e continua a farlo.-
Le sue labbra tremano e le sue mani sono intrecciate insieme attorno alla stoffa verde del telo sotto i nostri corpi.
Le prendo una mano -Io sono molto, molto scioccato da tutto. Non pensavo mi conoscessi da così tanto e tuo padre...Dannazione tuo padre è da scaraventare al muro! Come cazzo si permette di toccare la propria figlia! Di toccare TE!-
Le vene del collo e delle tempie mi pulsano, ma riesco a calmarmi per dirle tutto anche io -Comunque Sveva l'ho sempre amata e sempre l'amerò, per tutto quello che ha fatto per me. E non ci hai visti più perché quando avevamo entrambi vent'anni, lei è morta di leucemia, sotto i miei occhi. Ed io ho deciso di non uscire, non mi andava, non mi sembrava giusto.- Piango, piango forte e singhiozzo. Riportarla al presente per me è una sofferenza, ogni volta.
È lei ora a stringere la mia mano. Chiudo gli occhi per non guardarla soffrire insieme a me. Sento, ad un tratto, un tocco freddo sul mio zigomo. Apro gli occhi. Iris mi sta asciugando le lacrime, guardandomi con occhi velati. Tra i singhiozzi continuo a parlare -Ho sempre avuto la passione del canto, è la mia vita. Ma se n'è andata insieme a lei.- sorride lievemente -Canteresti una canzone per me?- strabuzzo gli occhi e scuoto velocemente la testa -Non posso farlo, mi dispiace. Non credo di farcela e poi non canto da molti anni.-
La sua espressione diventa seria, gli occhi dolci -Se vuoi, puoi. Il resto sono solo scuse.-
Così inizio a cantare l'ultima canzone scritta. La scrissi in ospedale, quando Sveva stava male ed era ricoverata lì. Si intitola: Che vuoi che sia.
E parla proprio della nostra storia.
Inizio a cantare tra i singhiozzi e, una volta finito, le nostre labbra si incontrano.
Non so chi dei due abbia preso l'iniziativa, immagino entrambi. Lo volevamo, lo vogliamo. La voglio.
Non pensavo che dopo Sveva avrei mai potuto riporovare sensazioni del genere. Ma forse qualcuno lassù, ha voluto rivedermi felice. Forse proprio lei.
Quando le nostre lingue si incrociano, giuro di poter sentire dei brividi attraversarle la schiena, cui erano poggiati i miei palmi. Gli stessi brividi che ho io in questo momento.