1. separazione

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Non sempre ho considerato di quanto fosse bella casa mia.
Sì, era casa mia ma non pensavo mi sarebbe così tanto mancata.
Quando sei abituata ad un posto o ad una persona non pensi alla fondamentale presenza che occupano nella tua vita : sai che ci saranno sempre.
Non pensi che potresti perderli da un momento all'altro.
La frase "non valuti l'importanza delle cose finché non le perdi" non è solo un modo di dire.
È reale.
Vera.
Non realizzavo di quanta importanza avesse casa mia e sopratutto, non realizzavo di quanta importanza avessero i miei genitori, quando erano ancora insieme.
Quando si volevano bene.
Perché sì, arriva un giorno in cui tutto finisce. Persino ciò che tu pensi sia impossibile.
Pensavo che loro sarebbero durati fino all'aldilà ma mi sbagliavo.
Come tutte le ragazzine avevamo conflitti, rispondevo sempre male. Per un periodo pensavo che si alleassero per rendermi la vita impossibile. Non avrei mai immaginato che un giorno avrei voluto che tutto questo continuasse o almeno si ripetesse.
Era il mese di marzo ed eravamo a metà del semestre. Non un periodo consigliato per i trasferimenti. Eppure lo avevano fatto lo stesso.
Erano passati pochi giorni dall'inizio della primavera. Uno dei periodi più belli per stare a Roma, eppure noi ce ne eravamo andate.
Quella mattina prendemmo un volo a Fiumicino e volammo per tutto il mattino.
Mi accorsi di essere a Malpensa dal cielo.
Non vedevo più quell'azzurro che vedevo da quando ero piccola. Quel cielo che era sopra di me quando cadevo, quando ridevo e quando piangevo. Era grigio, come se fosse una grande nube di fumo pronta a scoppiare.
Ma questo era solo l'inizio.
Appena scesi dall'aereo, uscimmo dall'aeroporto e io mi abbattei.
Faceva ancora molto freddo e c'erano delle sottili gocce di acqua che cadevano su di me. L'odore nei dintorni non era di pioggia o di erba bagnata ma di smog. Tutto era triste, tutto era diverso, tutto era pronto a rovinare quello che credevo fosse stato il periodo più bello della mia vita: quello dei 17 anni.
Io e mia sorella ci sedemmo su una panchina. Io guardavo a terra mentre lei aveva gli occhi chiusi.
Forse credeva che tutto fosse solo un terribile ma irrealizzabile sogno. Per fortuna ero la realista tra le due.
Io e Arianna, mia sorella, eravamo terribilmente diverse anche se la differenza di età tra di noi era davvero poca. Ci separavano solo 11 mesi.
Questa vicinanza nell'età a volte aveva i suoi pregi ma tutto questo era soppresso da quei fastidiosi difetti che ci impedivano la convivenza.
Non che odiassi mia sorella ma lei era troppo perfetta per me.
Tra le due io ero quella sbagliata, quella che era considerata come strana solo perché vedevo le cose dalla prospettiva che impediva le delusioni.
Lei era positiva, raggiante e gentile con tutti. Io non ci riuscivo. Provavo rancore. Ero capace di uccidere una persona con un solo sguardo. Ma a differenza sua, non dicevo niente. Rimanevo zitta e tenevo tutto dentro. In quel periodo potevo essere paragonata come ad un fiume in piena. Tutto quello che era successo nel giro di sei mesi mi aveva distrutta. Ero diventata ancora più introversa e più rancorosa nei confronti di tutti.
Quando alzai lo sguardo da terra lo vidi lì, con aria un po' spaventata e un po' insicura.
Non lo ricordavo così. Non erano passati anni, solo 6 mesi eppure non ricordavo già più niente di lui.
Era un uomo di mezza età senza capelli dal fisico robusto e gli occhi di chi ne aveva passate tante. Mio papà.
Arianna si alzò di scatto e si fiondò tra le sue braccia. Io ero bloccata, immobile.
Non riuscivo ad essere falsa. Se mi fossi alzata per dirgli "quanto mi sei mancato" oppure "era straziante vivere senza di te" sarei stata ipocrita, proprio come lui.
Una volta staccatosi dall'abbraccio con Arianna mi guardò e aprì le braccia per accogliermi tra di esse.
«Non dimentico.» dissi fredda.
Lui abbassò lo sguardo e annuì.
Giratosi sui tacchi si indirizzò verso quel grande parcheggio per cercare la sua macchina.
Arianna mi fissò con uno sguardo un po' schifato.
«Hai qualche problema?» domandai alzandomi.
Iniziammo a camminare per seguire papà ed evitare di perderci.
«A parte non capire il tuo comportamento, no, sto benissimo grazie.» disse lei sarcastica.
«So che non gli fa piacere il mio abbraccio perciò rendo tutto più facile.» risposi prendendo le mie cuffie nella tasca sinistra del mio giubbotto.
«Guarda che ti vuole bene.» disse lei scuotendo la testa.
«Talmente tanto che ci ha abbandonato per sei mesi» poi feci partire la musica per evitare una di quelle pesanti discussioni con Arianna.
Eravamo talmente diverse che quando litigavamo rischiavamo di generare una guerra mondiale.
Appena ci trovammo davanti alla macchina di papà feci un piccolo sorriso.
I ricordi mi assalirono fino a crearmi un oppressione al petto. Era una strana sensazione di nostalgia, pesante, quasi dolorosa. Fermai la musica e d'un tratto sentì i miei occhi inumidirsi.
«Va tutto bene?» mi domandò lui sorridendomi.
«Credo di sì» risposi porgendogli la valigia da mettere nel bagagliaio.
Fece un piccolo sorriso ma io mi voltai subito. Mi sedetti dietro a mia sorella e feci partire una delle mie tante playlist dove si alternavano diversi generi di musica.
Il viaggio da Malpensa al nuovo paese in cui avremmo vissuto distavano circa un'ora l'uno all'altro ma ci impiegammo il doppio del tempo a causa del traffico.
In certi momenti, quando rimanevamo incolonnati nel traffico, cercavo di immaginare come sarebbe stata la nuova famiglia in cui saremmo andati. Sapevo che papà aveva una nuova compagna e ciò un po' mi faceva sentire come oppressa.
Non potevo credere che in così poco tempo potesse trovare una nuova compagna di vita.
Appena lessi il cartello Pessano con Bornago intuì che forse eravamo arrivati.
I miei intuiti vennero poi confermati quando ci fermammo davanti a una villa.
Era molto carina e ben curata all'esterno.
«Siamo arrivate ragazze. Ora conosciamo Raffaella e i suoi figli.» disse slacciandosi la cintura.
Quando uscimmo dalla macchina trovammo una signora con un grande sorriso e due ragazzi dietro di lei in agonia.
«Ciao ragazze! Voi dovete essere Arianna e Federica.» disse lei sempre con quel sorriso quasi fastidioso.
Annuimmo imbarazzate.
Il mio sguardo cadde sul ragazzo dietro a Raffaella. C'era un ragazzo moro dagli occhi azzurri che mi sorrideva.
«Loro sono Luca e Francesca, i miei figli. Al momento manca Riccardo. Non so dove sia ma avrà anche lui l'occasione di presentarsi.» continuò lei.
«Bene! Luca perché non le accompagni nelle loro camere?» domandò mio padre abbracciando Francesca e arruffandole i capelli.
Mi paralizzai. Non credevo ai miei occhi.
So che ero arrabbiata con lui, che era uno stronzo e che non mi doveva importare di lui ma quel gesto non doveva farlo.
Lo pietrificai con lo sguardo.
«Va tutto bene?» mi domandò Raffaella appena si accorse che stavo per mettermi a piangere.
«Devo solo andare un attimo in camera.» dissi con voce spezzata.
Lei annuì. Fece segno a Luca che, portandomi le valigie, mi accompagnò davanti alla porta.
«Federica giusto?» disse appoggiando uno scatolone a terra.
Annuì.
«Magari qualche volta usciamo insieme.» continuò appoggiandosi alla porta.
«O magari sparisci dalla mia vista.» poi lo feci uscire fuori e socchiusi la porta.
Osservai la stanza e notai un piano che mi avevano sicuramente messo sapendo che io non avrei vissuto senza.
Mi sedetti sulla panchetta in pelle nera e, mettendomi le mani sulla faccia, inizia a piangere. Come aveva fatto a dimenticarci così velocemente?
Cercai di fare respiri profondi per calmarmi ma non funzionò.
Avevo il cuore a mille e il petto si muoveva velocemente.
«Quando hai finito di piangere, puoi avvisarmi almeno mi presento sgarbatamente e poi, sempre sgarbatamente, me ne vado?» disse una voce proveniente dall'alto.
Mi alzai di scatto dallo spavento e vidi un ragazzo molto simile a Luca, appoggiato sulla porta, con le braccia incrociate e con aria infuriata.
Indossava una maglia nera, dei jeans neri strappati sulle ginocchia e ai piedi aveva le Dr. Martines.
Sembrava scocciato e pieno di rabbia.
«Scusami se mi permetto ma chi sei tu?» dissi asciugandomi una lacrima che stava scendendo
«Sono Riccardo, il tuo nuovo fratellastro e sarò il tuo incubo peggiore.» disse facendo un sorriso da bastardo.

Innamorata del mio fratellastroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora