Capitolo 1 ~David

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Il sole era sorto nel cielo ormai da un pezzo, mandando via quella notte che non sembrava voler finire mai. Dee era stata sveglia fino all'alba, scossa da una profonda crisi di panico. Era stata una delle sue crisi peggiori, quasi minacciava di volersi buttare dalla finestra per quanto era intensa la sensazione di andare a fuoco. Avevo cercato di aiutarla come più potevo, ma c'era ben poco che potessi fare in quelle circostanze. Le ero stato vicino insieme a Jen, e le avevo preparato una doppia dose di tisana, avevo cercato di parlarle, di distrarla, di fare il nostro solito trucchetto con le citazioni ma tutto ciò era servito a ben poco. Solo quando il blu profondo della notte andò rischiarandosi in un rosa tenue, Dee parve trovare un po' di sollievo e, tra un tremore e l'altro, sprofondò in un sonno inquieto, verso le cinque del mattino. Jen andò a dormire sollevata, ma io non riuscii a chiudere occhio. Mi sentivo inutile ed impotente. Non sapevo cosa fare, non ne avevo la più pallida idea. Più di Dee cresceva più si chiudeva in se stessa, era quasi impossibile sapere qualcosa in più di lei e dei suoi pensieri. Il tempo passava, ed io continuavo a chiedermi se avessi fatto la cosa migliore per lei portarla via da quella città, via da nostro padre. All'inizio mi era sembrata un'ottima idea, allontanarla dal posto che per tanto tempo le aveva provocato sofferenza e dolore, all'inizio lei era più rilassata e sollevata. La vedevo felice. Ma poi, cos'era andato storto? Un'idea di farla andare da uno psicologo o da un neurologo mi martellava sempre più in testa, perché come aveva detto Jen era forse l'unica cosa che avrebbe potuto aiutarla. Ma se solo gliel'avessi proposto... non osavo nemmeno immaginare che putiferio avrebbe potuto scatenare. Scuoto la testa frustrato, cercando di mettere ordine tra i miei pensieri e passandomi una mano sul viso. Mi alzo dal letto e vado a farmi una doccia; tra meno di un'ora dovevo essere a lavoro. L'acqua tiepida mi ridesta un po', purtroppo non potevo rimanere lì ancora per molto a scogliere la tensione che sentivo accumulata sulle spalle, altrimenti avrei fatto tardi. Esco, mi asciugo e mi vesto in fretta, do un bacio ad una Jen addormentata e poi esco dalla mia camera. Mi avvicino lentamente alla stanza di Dee che aveva la porta socchiusa, e do uno sguardo dentro: Dee dormiva ancora, attorcigliata -o aggrappata- alle lenzuola, con il suo gatto acciambellato di lato a lei. Una mano era poggiata sul pelo soffice dell'animale. Quell'immagine mi provoca un moto di tenerezza, perché mi dimostrava che la dolcezza di mia sorella era ancora lì da qualche parte, ma che non riusciva più ad uscire. Forse nemmeno lei si rendeva conto di ciò che aveva dentro, di ciò che era in grado di fare. Mormora qualcosa di incomprensibile nel sonno e quasi penso che si sia svegliata, ma i suoi occhi rimangono chiusi. I suoi capelli le incorniciano il viso e -per fortuna- erano totalmente tornati castani, senza più indecenti ciocche azzurre. Getto un veloce sguardo per la stanza, frenando un verso di disperazione. Questa ragazza non aveva nemmeno una minima idea di cosa fosse l'ordine! Vestiti neri, vestiti di pelle, scarpe spaiate, carte di cibo, il tutto disseminato per la stanza. Scuoto la testa e scendo al piano di sotto per prendere del caffè bollente, che mi rigenerasse dopo la notte in bianco. Prendo le chiavi ed esco di casa con la mia ventiquattr'ore. Scivolo nel traffico  del mattino, pensando a tutto il lavoro che dovevo svolgere in ufficio. Era un periodo un po' caotico al lavoro, la Purity Children stava raggiungendo ottimi risultati, se avessimo proceduto a quei ritmi molto presto avremmo potuto aprire una nuova sede. Parcheggio nel mio posto riservato, ed entro nell'imponente palazzo bianco con le grandi vetrate. La hall era caotica, piena di avvocati ed assistenti sociali che si apprestavano ad andare avanti ed indietro tra i vari uffici, con i telefoni che squillavano una continuazione e le segretarie che si affrettavano a rispondere con le loro voci squillanti. Saluto velocemente qualche collega, andando verso uno degli ascensori per arrivare al piano del mio ufficio. Nell'ascensore con me era appena salita una psicologa molto brava a cui faccio un cenno di saluto. Avevo lavorato con lei per un caso ma non potevo chiedere consigli mentre eravamo in un ascensore affollato di persone. Magari se fossero scesi tutti le avrei raccontato di mia sorella...  ma così non fu; lei uscì per prima. Sbuffo mentalmente, cercando di prendere mente locale per fermarla uno di quei giorni e chiderle consiglio su Dee. Arrivo al piano del mio ufficio e finalmente mi siedo sulla mia enorme sedia di pelle nera. Non era un ufficio molto grande, ma nemmeno piccolo. Era tutto in ordine, il pc era già stato acceso dalla segretaria del piano, le tende erano aperte cosicché il sole riscaldasse ed illuminasse tutta la stanza, ed un nuovo plico di documenti era sistemato ordinatamente sulla  mia scrivania. Gli do un rapido sguardo, cercando di capire quale priorità dargli. Decido di dedicarmi per primo al lavoro che avevo precedentemente iniziato. La mia scrivania era ordinata in modo quasi maniacale, ma non potevo farci niente; ci tenevo a fare bella figura e ad essere preciso. Se la nuova sede avesse aperto con i risultati che speravamo, molta gente si sarebbe trasferita lì e sarebbe stata la mia occasione per lavorare a tempo indeterminato in un ufficio tutto mio, svoltando la situazione precaria in cui mi trovavo. A quel punto, il più grande passo della mia vita sarebbe stato ad un attimo da me, da noi...volevo sposare Jen, il più presto possibile. Sapevo che lei era frenata anche dall'assenza di Fred, ma a quel problema non c'era soluzione. Quegli anni erano stati terribili, vederla persa in quella sofferenza senza fine era distruttivo per me, non poter fare nulla mi rendeva così impotente. Sapere che la causa di quella perdita era in parte colpa di quel maledetto Ian, che l'aveva ingannata dall'inizio mi mandava in bestia, perché io l'avevo avvertita di stargli alla larga. Ma lei niente, cocciuta com'era si era fidata di lui. Ed anche se non era fino in fondo colpa sua, anche se persino senza Ian il rapimento di Jen e Julie in qualche modo sarebbe avvenuto lo stesso, continuavo a pensare che senza di lui avrei potuto proteggerla. Qualcuno bussa alla porta mentre svolgevo le pratiche. <<Avanti>> mormoro, senza nemmeno alzare la testa dai miei fogli. Mi aspettavo che fosse la segretaria, ma una voce profonda si schiarisce. Alzo il mio sguardo e incrocio quello del mio superiore, l'avvocato Morris, che dirigeva il dipartimento degli avvocati. Sono stupito, ma mi ricompongo subito, alzandomi dalla sedia. 

Incompresi 2.0 ~The Misunderstood Series (SOLO MOMENTANEAMENTE sospesa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora