SFORTUNA

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Tutto cominciò nella primavera del 2009, quando avevo  all'incirca 14 anni e mi innamorai per la prima volta: era il secondo quadrimestre della terza media e mi presi una cotta pazzesca per una mia compagna di classe. Purtroppo ero molto timido (lo sono tuttora…) e anche se il mio aspetto era passabilmente carino, non ebbi  il coraggio di dichiararmi, nonostante si stesse creando un clima di avvicinamento tra me e lei; tuttavia, anche solo chiamarla amicizia sarebbe già un parolone.

Come spesso può capitare, specialmente se si tratta del primo amore, successe diverse volte di sognarla in quel periodo. Un giorno però mi capitò di fare un sogno molto strano: mi ritrovai in un luogo che mi ricordava  vagamente la mia camera da letto, ma più piccola, spoglia e leggermente tetra, con pochissimi colori e oltretutto opachi. C'era un letto simile al mio al centro della stanza, sul quale era seduta una ragazza particolare: età intorno ai 20 anni, capelli molto scuri, pelle estremamente pallida (quasi bianca), piedi nudi, un completo nero e un grande copricapo dello stesso colore che mi impediva di vederle gli occhi. Una ragazza completamente diversa da quella che mi piaceva, ma probabilmente altrettanto bella.

Un po' inquietato dall'aspetto di quella misteriosa fanciulla le chiesi in che posto fossi capitato, perché si sa, è difficile distinguere un sogno da un fatto reale. Lei senza rispondere si voltò con uno sguardo impressionante verso di me e cominciò ad alzare la visiera molto lentamente;  intanto iniziai a prepararmi al peggio, convinto che quello fosse un incubo. Quando però la visiera fu alzata all'altezza della fronte, tirai un sospiro di sollievo nel vedere dei bellissimi occhi marroni.

"Che c'è? Pensavi che fossi un mostro?" mi chiese ironicamente. "Avvicinati Diego" proseguì... Feci come mi aveva  detto, anche se la paura non mi era passata.

"Non devi aver paura di me, d'ora in poi ti sarò sempre vicino".  Rimasi esterrefatto da quelle parole; avevo un'altra ragazza per la testa, ma la consapevolezza di avere un'amica così carina al mio fianco mi rese felice.  Cominciai a prendere confidenza e partì un'amichevole conversazione di scarso interesse di cui non ricordo esattamente i contenuti, ma quella notte l'ultima domanda che le chiesi è stata quale fosse il suo nome.  La sua risposta fu: "Puoi chiamarmi... Sfortuna..." Pochi secondi dopo mi svegliai.

Al mio risveglio pensai che fosse uno di quei tanti sogni senza senso che si fanno quando ci si innamora perdutamente di una persona, perciò non fu difficile autoconvincermi che fosse solo una buffa fantasia;  mi lasciò comunque un pochino l'amaro in bocca, in quanto mi sarebbe piaciuto molto che quella ragazza fosse esistita veramente, ma nulla di strano.

Nel frattempo passarono i mesi, terminai le scuole medie e il rapporto con il mio primo amore (che da questo momento chiamerò G***a) cominciò ad affievolirsi: io e lei scegliemmo due scuole superiori differenti, perciò le occasioni per vedersi anche solo con la coda dell'occhio furono assai limitate. Purtroppo 9 anni fa non era mia consuetudine chiedere i numeri di telefono dei compagni di classe, complice anche la mia già accennata timidezza, così persi quasi del tutto i contatti con G***a.

Fortunatamente in quel periodo, Facebook cominciò a diventare un mezzo di comunicazione comune tra i miei coetanei (ero uno dei pochi a non averlo ancora), così nel novembre del 2009 mi iscrissi, spinto anche dalla volontà dei miei amici di crearmi un account. Come facilmente intuibile, una delle prime persone che aggiunsi tra le amicizie del noto social network fu proprio G***a;  mi ci vollero comunque diversi giorni per dichiararmi con un messaggio, ma alla fine, sia pure esitando per ancora innumerevoli volte, mi decisi e nei primi giorni del 2010 glielo inviai... La risposta arrivò il pomeriggio successivo: negativa.

Quella fu la mia prima serata tra le lacrime, dovetti chiudere la porta della mia stanza e mettermi sotto le coperte per non farmi né vedere né sentire in quelle condizioni: sono un ragazzo sensibile, sì, ma allo stesso tempo fiero.

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