''Quando guardi in un Abisso, l'Abisso stesso guarda dentro di te.'' - Friedrich Nietzsche.
Mi svegliai di soprassalto facendo sventolare le coperte verdi. Alzai lo sguardo verso l’orologio appeso al muro di fronte a me, credo segnasse le 2.50 del mattino.
La stanza sembrava più spoglia di quanto ricordassi, c’era solo il letto da cui mi stavo alzando, uno sporco mobile con sopra una brocca e le chiavi della camera 71.
Le presi e mi diressi verso la porta ancora scosso per quello che doveva essere stato un brutto sogno.
Appena infilai le chiavi nella serratura iniziò a girarmi la testa, la mia vista si offuscò e caddi a terra, forse persi i sensi.
Quando mi ripresi le pareti della camera erano letteralmente sbriciolate, potevo vederne le polveri ai miei piedi, ma dove doveva esserci la camera di fianco alla mia c’era solo il buio più profondo, impenetrabile.
La porta era ancora in piedi, l’unica cosa di quella stanza. Decisi di aprirla: il corridoio era vuoto, il silenzio regnava sovrano.A quel punto sentii un telefono squillare, pensai si trattasse di quello della Hall. Lo squillo sembrava appartenere a uno di quei vecchi telefoni con la cornetta.
Mi diressi nella Hall e, spinto da una curiosità che sembrava non appartenermi, alzai la cornetta:
''‘’Svegliati, devi svegliarti, smettila di dormire’’- mi sussurrò una voce registrata.
''Svegliati. Ti sei addormentato. Svegliati''.
Non era una voce qualsiasi, realizzai che era la MIA voce, leggermente distorta, come se fosse stata registrata su un nastro e poi montata. Quale psicopatico farebbe tutto questo.
Abbassai lentamente la cornetta. Mi sentivo osservato. Dovevo uscire da quell’albergo il prima possibile.In trappola.
Ero in trappola. Nessuna uscita di sicurezza, nessuna scala di servizio che mi portasse all’esterno. Ero come un topo in una campana di vetro.
Un tonfo alla mia destra. Mi girai di scatto per capirne la provenienza. C’era una porta aperta alla mia sinistra e una serie di scalini che portavano da qualche parte, forse lo scantinato.
Scesi la rampa di scale in legno e raggiunsi quel che sembrava essere il locale caldaia.
C’era carbone ovunque e l’unica fonte di luce era il fuoco che usciva da un grande forno. Mi avvicinai per vedere meglio.Sobbalzai e caddi per terra. Due mani, color nero pece colpirono il vetro del portellone. Scivolarono contro il vetro, dissolvendosi come foglie secche.
Avrei potuto salvarlo, ma il portellone era incandescente. Il cuore era impazzito, sudavo freddo e la sensazione che qualcuno mi spiasse aumentava.
Ripercorsi le scale in folata, con il cuore che mi batteva nelle orecchie, e tornai nella Hall.
Ritrovata tutta la lucidità mentale che quella situazione potesse consentirmi, ripensai al forno e mi ricordai che era troppo piccolo perché una persona potesse entrarci.Forse la mia mente mi stava giocando qualche scherzo: le pareti che si sbriciolano, la telefonata, il forno, le mani, Dio quelle mani dovevano essere l’allucinazione più reale che una mente abbia mai partorito. O forse era solo un incubo e dovevo solo svegliarmi, l’unico modo di svegliarsi dagli incubi è quello di…
Uno squillo di telefono penetrante interruppe quel flusso di pensieri sempre più assurdi, assurdi come la situazione in cui mi trovavo.
Alzai la cornetta per poi ribatterla su quel telefono rosso sangue e corsi via, in cerca di una via d’uscita o per lo meno qualcosa che mi avrebbe permesso di svegliarmi, sempre se quello era un sogno.