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Una volta arrivato alle mie abitazioni, tentai di soffocare le lacrime per la sofferenza che avevo arrecato ad Efestione.
Non mi sarei permesso mai più un errore simile, tanto valeva essere lo zimbello di tutta la Grecia, tanto valeva tenermi stretta la mia diversità.
Vidi il corpo di Rossane adagiato sulle coperte linde, che un servo di corte aveva ripiegato con cura quella mattina e non potei soffocare un moto di disgusto.
Quella fanciulla era incantevole, questo non può essere negato, ma non era Efestione.
Mi avvicinai con passo debole alla giovane e le sorrisi impercettibilmente.
"Ti aspettavo" sussurrò lei, ricordandomi di quel giorno in collina, nel quale avevo giurato che mai niente e nessuno avrebbe separato me ed Efestione.
Avevo mentito.
La mia stessa paura di essere diverso dagli altri mi stava costringendo ad abbandonarlo.
Le portai un ciuffo di capelli dietro un orecchio e figurai davanti ai miei occhi il viso di Efestione, così puro e perfetto e non resistetti alla tentazione di avvinghiarmi a Rossane, le labbra premute sulle sue.
La sentii soffocare una risata, probabilmente compiaciuta per la mia improvvisa veemenza, ma lei non sapeva che era stata originata dal volto di Efestione.
Da un semplice pensiero.
Sentii il suo corpo caldo sotto il mio, le gambe divaricate pronte ad accogliermi.
La visione di Efestione mi abbandonò improvvisamente e fui sul punto di correre via e rifugiarmi in una parte remota del palazzo, ma mi trattenni nel ricordare che avevo solo tre giorni per far sì che rimanesse incinta.
"Possiamo aspettare" le sussurrai ad un orecchio, fingendo un dispiacere inesistente.
La vidi corrucciarsi, prima di rimettersi a sedere in maniera composta e sistemarsi la veste.
"Aspettare?" mi chiese, fissandomi con espressione irritata e mettendosi in piedi, pronta ad abbandonare le mie stanze se fosse stato necessario.
Le sfiorai un braccio con un sorriso sulle labbra e l'attirai a me.
"Ma che mi salta in mente?" sbottai, riportandola nuovamente al suo posto.
La vidi sorridere per la mia sfacciataggine, prima di permettermi di fare del suo corpo ciò che volevo.

Il mattino seguente, mi svegliai con un forte dolore alla testa, esausto per via della notte trascorsa.
Mi voltai da una parte, riconoscendo il profilo di Rossane e una forte vergogna mi pervase, costringendomi a bagnarmi il viso con dell'acqua.
Dormiva come un ghiro, non c'era possibilità che si svegliasse e, dunque, sarebbe stato possibile per me recarmi nelle stanze di Efestione, anche solo per osservarlo mentre dormiva.
Sentivo la forte necessità di avvinghiarmi al suo corpo, per cancellare da me l'immagine della notte con la principessa, ma sapevo che non me l'avrebbe permesso.
Indossai in fretta degli abiti puliti e mi precipitai alla collina, camminando a passo svelto e augurandomi di passare inosservato per essermi svegliato alle prime luci dell'alba.
Splendido come il mare più limpido e illuminato dai raggi del sole, Efestione osservava un punto lontano al di là della collina.
Non mi immaginavo di trovarlo.
"Efestione" lo chiamai, avvicinandomi, il forte desiderio di piangere che fu soffocato improvvisamente.
"Vattene" mi urlò contro, la mascella serrata e lo sguardo rivolto verso l'alba.
Non lo ascoltai e mi inginocchiai accanto a lui.
"Dammi almeno la possibilità di spiegare" cominciai, il volto a pochi centimetri dal suo.
"Te l'avevo concessa ieri sera, adesso non voglio più sentire ragioni. Vai via" mi rispose, non guardandomi negli occhi.
Cercai a tastoni le sue mani, ma lui mi negò la possibilità di sfiorarlo, prima di mettersi in piedi spazientito e di correre verso il palazzo in lacrime.
Avrei dovuto seguirlo, ma non lo feci.
Mi limitai, piuttosto, ad osservare lo stesso cielo sul quale fino a poco prima lui aveva posato i suoi occhi, pregando sottovoce che mi dimenticasse, perché non soffrisse più, e che io dimenticassi lui.
Sapevo però che non lo avrei mai fatto e che nemmeno una preghiera al cielo sarebbe bastata.

Trascorse un intero giorno, nel quale vidi Efestione poco più di due volte, la prima incrociandolo per puro caso in un corridoio, un'altra a cena.
Non parlò per tutto il tempo, limitandosi a sorridere e ad annuire nel caso gli rivolgessero una domanda.
Tra un boccone e l'altro, mio padre si congratulò con me e Rossane, complimentandosi con lei per la sua bellezza e con me per la mia astuzia nell'aver portato a termine il mio compito.
Efestione teneva il volto basso, lo sguardo puntato sul cibo, tentando di non prestare ascolto a ciò che diceva mio padre.
A notte fonda, il re chiamò delle serve per far dilettare i suoi invitati e mi suggerì di passare un'altra notte con la principessa, nel caso che una non fosse bastata e così decisi di accontentarlo.
Ormai vicino alla mia meta, feci appena in tempo a vedere una serva correre dietro ad Efestione, diretta alle sue stanze.
A giudicare dal sorriso della schiava e dalle loro mani giunte, avrebbero passato la notte insieme.
Ciò bastò per far scoppiare in me la gelosia e convincermi a seguirli.
Stavolta, però, non dissi a Rossane di aspettarmi, ma finsi di dover urgentemente parlare con il mio compagno, aggiungendo di non poter rimandare il discorso al giorno seguente.
Mi sembrò di vederla incupirsi, ma se fu così, lo mascherò subito e dunque, dopo un debole bacio sulle labbra, si ritirò nelle sue abitazioni.
Correndo verso le stanze di Efestione, non mi accorsi dello sguardo insospettito del satrapo e continuai con passo accelerato, fin quando non raggiunsi la camera del mio compagno d'armi; non mi fermai neppure a bussare, spalancai semplicemente la porta, rendendomi conto che la serva era già cavalcioni sul suo corpo.
Sentii le lacrime scendermi lungo le guance, prima di puntare un dito contro la serva.
"Tu, vattene" le urlai contro, indicandole la porta spalancata.
La vidi accennare una smorfia nell'udire il mio ordine e inizialmente temevo che non avrebbe obbedito, ma ben presto fece come avevo detto seppur con uno sbuffo di disappunto.
"Cosa ti salta in mente? Non mi avevi forse detto di farmi una serva qualunque?" mi chiese Efestione, rimettendosi a sedere.
Serrai la mascella adirato e corsi verso di lui, prendendolo per un lembo della veste.
"Taci, completo imbecille. Non voglio vedere altro corpo accanto a te che non sia il mio" gli risposi, gli occhi puntati sul suo viso.
Lo vidi irrigidirsi sotto la mia presa.
"Non sono di tua proprietà. Adesso, tu hai un'incantevole donna al tuo fianco che presto sarà la tua sposa. Non trovi che abbia lo stesso diritto anch'io?" esclamò, le mani sul mio petto, pronto a spingermi indietro.
Gli afferrai una mano e me la portai alle labbra.
"Mi sbagliavo, Efestione. Mi sbagliavo quando ho detto che la nostra era solo una fantasia da adolescenti. Io penso di non poter amare mai più per colpa tua" mormorai, soffocando il pianto, prima di prendere il suo viso tra le mie mani.
"Io non ho nessuna colpa. Ama, fa' ciò che ti pare, sii felice" commentò, distogliendo lo sguardo dal mio e allontanando le mie mani dal suo viso.
"E tu? Non vuoi essere felice?" gli chiesi, le labbra vicine al morbido incavo del suo collo.
"Come posso esserlo se tu non me lo permetti? È forse un crimine essere felici per opera tua, Alessandro?" mi sussurrò ad un orecchio, stringendosi al mio petto.
Gli carezzai il capo, passandogli una mano tra i capelli scuri e lo attirai a me.
"Sei tu che rendi felice me" gli risposi, socchiudendo gli occhi, racchiudendolo tra le mie braccia per tenerlo al sicuro da ciò che ci teneva separati.
Mi afferrò il viso tra le mani e posò le sue labbra sulle mie con dolcezza.
"Smettila di impedirmelo. Permettimi di baciarti ancora, non spezzarmi il cuore fuggendo con quella donna" disse con tono serio.
Accennai uno sbuffo.
"Sai bene che un principe necessita di un erede al trono" gli spiegai, sfiorandogli un ciuffo ribelle e riportandolo al suo posto.
Sospirò e posò nuovamente il capo sul mio petto, stringendosi tra le braccia.
"Vorrei tanto che tu non fossi un principe, a volte" commentò, giocherellando con un lembo della mia veste in un modo adorabile.
Accennai una risata e lo strinsi forte a me, ritrovandomi d'acchito sotto il suo corpo.
"Che stai facendo?" gli chiesi confuso, mentre lui continuava a sfiorarmi il collo con le labbra.
"Sta' zitto e, per una volta, prendi ordini da me" mi disse, sfiorandomi una guancia.
Alzai un sopracciglio, aspettando di ricevere il suo comando.
"Che c'è? Aspetti sul serio che lo dica?" mi chiese con un sorriso sulle labbra che ricambiai.
Senza pensarci due volte, lo privai delle sue vesti e lo vidi sorridere soddisfatto, intrecciando le sue dita alle mie.
Quella fu la notte in cui realizzai che Efestione mi era più caro della mia stessa vita.

Amantes AmentesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora