Chapter 16

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Pov's Harry.
-Harry apri la porta- le urla di mia madre mi risvegliano, apro gli occhi, mi guardò intorno confuso...devo essermi addormentato.
-Harry, apri questa cazzo di porta- continua a ripetere mentre continua a bussare.
Mi alzo dal letto e apro la porta.
I suoi occhi mi analizzano per bene, la guardo non capendo nulla, mi ha evitato per un bel po e ora bussa e urla alla mia porta preoccupata.
Tira un sospiro, credo, di sollievo.

-Dimmi- rispondo freddo, sono arrabbiato con lei e con tutti loro.
Gemma sale le scale, il suo sguardo saetta su di noi.
-Che succede?- si intromette affiancando mamma...ma perché deve sempre fare la parte della "buona" deve sempre far vedere agli altri che lei è migliore di tutti.
-Non ce la fai a farti i cazzi tuoi, vero?- sbotto alzando gli occhi al cielo.
Lei ridacchia-E tu ce la fai a tornare come prima?- domanda andandomene via senza nemmeno aspettare la mia risposta.

Si chiude in camera sua e torno a guardare mia madre.
-Dimmi che cosa vuoi da me...- dico esasperato, stanco di restare in piedi a fissarci, non ha nessun senso tutto questo.
-Perché hai picchiato i tuoi compagni di scuola?- domanda, si porta le mani alle tempie e le massaggia con forza.
-E perché hai risposto in quel modo al tuo professore? Io non ti capisco più Harry- finisce aspettando da me una reazione.

Butto la testa all'indietro...
-Quei "compagni" che dici tu, mi hanno preso in giro un'altra volta, sono degli omofobi del cazzo, se la sono cercata- affermo cercando di restare calmo-E ho risposto così perché non avrebbe capito nemmeno il professore- concludo evitando il suo sguardo.
-Non puoi semplicemente evitarli? Ti stai mettendo nei guai- afferma facendomi ridere.
Faccio un passo indietro ed entro camera, lei mi osserva attentamente.
-Certo Anne, farò così, eviterò e non mi difenderò più, sarò quel bravo figlio che tanto amavi, quello stupido e indifeso- dico nascondendo il dolore dietro queste parole.

-Non volevo dire questo- si giustifica avvicinandosi.
-No- la fermo, lei si immobilizza- È okay, davvero Anne è okay, ho afferrato il concetto- le chiudo la porta in faccia, giro la chiave e mi lascio cadere lungo la porta.
"Non piangere, non di nuovo" fa male, tanto male.
Sono completamente solo, non ho nessuno se non Ciara.
"Andremo avanti, in qualche modo" ne sei sicuro?
"No era per dire"

Rinizio a piangere, perché dev'essere così difficile?
Voglio solo essere felice e smettere di piangermi addosso, smettere di tagliarmi, smettere di essere così imperfetto.
Nessuno mi capisce, a nessuno importa di me, sembra che dove ci sia io tutti stiano male, che la mia presenza non sia gradita.
Allora perché non mi lasciano andare? Perché dicono di restare se continuo a soffrire, non cambierà mai niente nella mia vita.

Appoggio la testa tra le gambe e calmo i singhiozzi, in sottofondo sento delle urla.
Cerco di calmarmi, voglio sentire, staranno parlando di me sicuramente.
Mi alzo, tiro su con il naso e mi asciugo le lacrime lungo le guance.
Giro la chiave lentamente e apro la porta silenziosamente.
Cammino verso le scale e le scendo piano, rimango sul primo scalino e rimango fermo per sentire la conversazione.

-Che hai intenzione di fare?- chiede Noah a mia madre, ha un tono più calmo e quasi sussurra.
-Credo che lo manderò dal padre- risponde mia madre velocemente.
No, lui non è mio padre, non mi ha voluto dopo che ha scoperto che io ero gay, si è rifiutato di vedermi, non lo conosco, per me è uno sconosciuto, è una persona orribile.
-Sei sicura? Non è andata bene quando si sono visto l'ultima volta- le fa notare Noah.
-Non mi importa, non riesco più a gestirlo, e sinceramente non voglio avere altri problemi, stare lontano da lui ci farà bene e starà meglio anche lui- ammette mia madre.

Un nodo in gola mi blocca il respiro.
La rabbia e la delusione si fanno strada nella mia testa e sento il mio cuore in pezzi, quel l'ultimo pezzo è caduto, crollato come il mondo in questo momento.
-Anne è una decisione molto affrettata- Noah continua a insistere.
-Noah basta andrà bene così, abbiamo bisogno di una pausa- risponde seriamente.
-Ha provato ad uccidersi- le ricorda Noah e nella mia mente le immagini di quel giorno mi fanno venire la pelle d'oca.
-Lo so, ma penso sia stato un gesto per attirare l'attenzione, non lo voleva veramente, è fatto così gli piace avere le attenzioni su di lui- quelle parole rimangono impresse nella mia mente.

Mi muovo lentamente e esco di casa.
Chiudo la porta, non mi importa se mi hanno sentito, inizio a correre il più lontano possibile.
Le mie gambe si muovono velocemente, non le comando più.
Il respiro si fa sempre più affannoso e sto per crollare in un altro pianto isterico.
"Corri corri" lo sto facendo.
***
Mi fermo davanti al parco abbandonato della mia città.
Sorpasso il cancello e cammino in cerca di una panchina, ci venivo quando ero piccolo...
Finalmente ne trovò una e mi ci siedo.
Porto le ginocchia al petto.
Non devo crollare, non devo crollare.
"Penso sia un gesto per attirare l'attenzione" quelle maledette parole mi tormentano.

Come può pensare una cosa simile?
Sono suo figlio, le ho raccontato tutto mi sono confidata con lei, e questo è il suo pensiero?
Non ha capito un cazzo allora.
"Harry forse questa è la dimostrazione che devi andare via, lasciare tutta questa merda e trovare finalmente la felicità." forse hai ragione, come sempre.
È meglio così, togliersi di torno e lasciare tutti, tanto non mancherò a nessuno.
Saranno tutti felici senza di me, non avremmo più un problema.
***
Si è fatto buio e sto camminando per le strade poche illuminate delle mia città.
Dovevo andare da Ciara, ma ho preferito stare solo, lei sta guarendo e non ha bisogno dei miei problemi, merita la felicità e io non sono capace di dargliela.
Altre calde lacrime bagnano il mio viso, fisso un punto non preciso mentre cammino.

Calcio un sassolino che colpisce per sbaglio la scarpe di qualcuno.
Alzo lo sguardo per scusarmi e dei profondi occhi azzurri mi fissano.
Perdo un battito quando capisco il loro proprietario.
Distolgo lo sguardo e continuo a camminare, lui mi ha lasciato solo dopo avermi baciato, mi ha confuso e non capisco ancora perché l'abbia fatto, se è una presa per il culo non è per niente divertente.

-Harry- la sua voce è dolce e lieve quando mi chiama.
Non so se voltarmi o continuare per la mia strada.
"Voltati almeno sarà l'ultima cosa che vedrai" gia.
Mi volto lentamente verso di lui.
I miei occhi sono ancora lucidi e qualche lacrime continua a scendere.
Lui mi guarda preoccupato e si avvicina a me.
-Cosa ci fai qui da solo? È tardi- domanda agitando le mani in aria.

-Cosa ti importa Louis?- domando con voce roca per via del pianto, lui sembra confuso e cerco il contatto afferrandomi la mano, ma io indietreggio.
-Che domande fai Harry?- continua lui squadrandomi.
-Te ne sei andato, mi hai baciato e te ne sei andato, quindi non dire che ti importa di me, perché so che non è così, non importa a nessuno di me, nemmeno alla mia famiglia, sono rimasto solo- piango mentre sputo quelle parole.

Il suo sguardo si abbassa per un momento, poi i suoi occhi tornano di nuovo su i miei.
-Mi dispiace per oggi, non volevo ferirti- ammette tremante.
-Non ho bisogno di scuse, va bene così, ora vado, mi tolgo dai piedi come tutti vogliono- piango iniziando a camminare più velocemente.
Singhiozzo, calde lacrime bagnano il mio viso.
Cammino finché due braccia mi avvolgono e mi stringono ad un petto.

Il suo profumo invade le mie narici.
-Tutti mi odiano, lasciami andare- piango più forte accasciandomi a terra.
-No, non ti lascio più andare- ammette la sua voce roca.

With you I'm not afraid.||. Larry Stylinson.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora