*chiamata in corso*
La porta si aprì di scatto, rivelando una figura alta e oscura.
L'uomo teneva in mano una bottiglia che, dopo aver fatto qualche piccolo passo dentro la stanza, sbattè al muro.
Essa si frantumò in mille pezzi taglienti che si riversarono nel pavimento.
Mio padre avanzò ancora, barcollando ad ogni passo che faceva.
La ormai famigliare puzza di alchool viaggiava con lui e i pochi secondi impregnò l'intera stanza, rendendo l'aria irrespirabile.Il suo viso lasciava trasparire l'odio nei miei confronti, ma non mi interessava.
Era un sentimento reciproco.
Raccolse un pezzo di vetro dal pavimento e continuò ad avvicinarsi, passo dopo passo, con una lentezza terrificante.
Inevitabilmente iniziai a tremare e ad indietreggiare, fino a quando non mi trovai con le spalle al muro.
Dovevo uscire.
Vidi la finestra alla mia sinistra, ma non potevo calarmi da lì... o forse si?
Iniziai a fare piccoli passi verso sinistra, senza mai staccare gli occhi dall'uomo che continuava ad avvicinarsi.
Accellerò il passo e in pochi attimi me lo ritrovai davanti.
Ero bloccato.
Infilai il telefono in tasca e alzai lo sguardo, affrontando quegli occhi oscuri e vuoti che tanto disprezzavo.
Gli occhi di un assassino che, dopo aver ucciso una delle persone che più lo amava con una semplice pistola, era arrivato a minacciare il figlio, sangue del suo sangue, di fare la stessa fine se avesse osato denunciarlo.
Era un mostro.
E stava sorridendo.
Alzò il pezzo di vetro, poggiandolo sulla mia guancia non staccando gli occhi dai miei nemmeno per un secondo.
Iniziò a premere.
Sempre di più.
Sentii il sangue caldo che iniziava a scorrere lungo la mia guancia, arrivando al collo.
L'uomo lo fissava, incantato da quella vista ipnotizzante.
La mano iniziò a scendere, creando una lunga cicatrice che seguiva il percorso del sangue fino alla clavicola.
Iniziai a sentirmi debole e stanco ma dovevo resistere, non dovevo cedere alla sua crudeltà.
Approfittando del fatto che il suo sguardo non fosse più sul mio gli tirai un calcio nello stinco.
Rialzò lo sguardo e iniziò a ridere.
Lasciò cadere il pezzo di vetro e si diresse verso la porta.
"Non provare a muoverti. Fai schifo, sei un codardo. È l'ora di farla finita anche con te."
La sua voce tremava, quelle che aveva detto non erano parole, erano mugolii.
Ma io ormai c'ero abituato e avevo imparato a capirli.Uscì dalla porta e la chiuse a chiave.
Velocemente corsi alla finestra, la spalancai e guardai giù.
Era molto alto.
Iniziò a girarmi la testa.
Sotto di me c'era un cespuglio, quindi avrebbe attutito la caduta.
Jimin, vieni a prendermi.
Come stai, cosa ti ha fatto?
Ti spiego dopo. Mi trovi nel giardino sotto la finestra di camera mia.
Vieni al più presto.Sto arrivando.
Mi lanciai.
Un forte tonfo.
Tae...
Taehyung!
Ci sei? Cos'è successo?Nessuna risposta.
Mi precipitai fuori da casa mia ed iniziai a correre.