Inizio della mia beautiful story♡

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Partiamo dal presupposto che la mia vita in questo periodo è un vero disastro.
Sul serio, non sapevo come spiegare tutto senza sembrare tanto depressa, però mi è uscito subito, senza pensare.

Di certo non mi taglio o, almeno, non ancora, però quando mamma ha iniziato ad accorgersi dei miei continui sbalzi d'umore e mi ha sorpresa a guardare il vuoto con le lacrime agli occhi, si è preoccupata parecchio.

Diamine, non volevo farla stare male, ma sorridere sempre non fa per me, sono talmente debole e testarda allo stesso tempo che quando urlo mi viene naturale piangere.

Per questo, dopo una lunga discussione, caratterizzata da urla isteriche e schiaffi in faccia, mamma decise di mandarmi dallo psicologo.

Forse era esagerato, ma se rendeva felice almeno un po' mia madre, ci andai senza esitare, con il fiato sospeso e il cuore in gola.

Per questo ora mi trovo sopra la poltrona, dopo un'ora e mezza di seduta piena di silenzio e occhiate imbarazzanti, mentre la psicologa, una donna di mezza età con vestiti formali ma scarpe da ginnastica, continua ad analizzarmi attentamente e a domandarmi cose a cui a malapena rispondo.

"Jess quanto ancora penserai di annuire silenziosamente?" domanda la donna pensierosa, poggiandosi gli occhiali sul ponte del naso, prendendomi completamente alla sprovvista.

Sono letteralmente interdetta, non sapendo cosa rispondere, bagnandomi il labbro inferiore più volte, e cercando la risposta adatta.

"Fino a quando non finisce questa seduta" la dottoressa Brave sospira pesantemente alla mia frase infantile, alzandosi dalla poltrona di fronte la mia e si dirige fuori la porta, scomparendo dalla mia vista.

Magari ho fatto quel che dovevo e ora posso andarmene.

Prima che possa alzarmi, un ragazzo entra nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle con un'aria stanca e il respiro spezzato.

I suoi occhi, color nero corvino, vagano veloci per la stanza prima di incontrare i miei, di un semplice marrone nocciola.

È spaventato, lo dimostra il suo visibile tremore che passa per tutto il corpo, fasciato da una felpa e dei jeans neri.

La sua pelle è pallida e il suo corpo magrolino, cosa che mi preoccupa leggermente, per questo mi viene facile chiedere:
"Tutto okay?"

Lui risponde in modo netto e veloce "Col cazzo"

I miei occhi si spalancano e trattengo una risatina, consapevole che il giovane mi avrebbe mandata a cagare se l'avessi fatto.

"Da chi stai scappando?" chiedo, anche se dovrei farmi i cazzi miei, infatti so che risponderà in tal modo, ma sono troppo curiosa per assecondarlo.

"Dagli aghi" risponde, improvvisamente impaurito.

Lo guardo confusa e curiosa al tempo stesso, così tanto che se ne accorge, per questo chiude a chiave la porta e si avvicina per sedersi di fronte a me.

"Io sono Jean Walliston- allunga la mano, che stringo, presentandomi con un 'Jess'- sono qui perché soffro di bulimia. Il mio corpo è così fragile che se provassi a masticare una mollica di pane inizierebbe a rigettare tutti i gas intestinali rimasti, e non ne sono tanti, quindi, per evitare che succeda, invece di farmi bere le proteine, che vomiterei subito dopo, me le iniettano attraverso gli aghi, ma io ho fottutamente paura" racconta in modo confidenziale, come se fossimo amici da tanto tempo, così decido di raccontargli anche io la mia versione.

"Piacere, sono Jess Luther e sono qui per sfogare i miei dolori, mostrare le mie emozioni più fragili e pagare con il mio stipendio una sconosciuta che ha già perso le speranze nel capirmi. La mia vita è una specie di disco rotto, stranamente tutti i miei ricordi spiacevoli ritornano, e sempre più forti di prima. Mamma pensa sia depressa, ma sono solo triste, triste di questa mia solitudine, non volevo farla preoccupare quindi sono venuta anche se la ritenevo una cazzata, questa seduta." dico tutto d'un soffio, come se mi fossi appena liberata di tutto quel che tenevo dentro. Come se, per la prima volta, non fossi sola.

"Wow, tesoro, pensavo di essere messo male, ma tu mi hai rassicurato" sorride a trentadue denti, provando ad alleggerire la situazione, e ci riesce alla grande.

"Sta' zitto, stecca di legno- lo guardo intimorita, pensando di aver esagerato, ma lui sorride ancora di più, guardandomi divertito- o dovrei chiamarti vomitino?" scoppia in una risata fragorosa, che contagia anche me.

"Sai, non capisco perché tu soffra di solitudine, sei una persona divertente e comprensiva, da quel che ho visto" sorrido tristemente alla sua dolce affermazione.

Passo le dita tra i miei capelli neri, cosa che faccio quando sono nervosa.

"Il punto è che sono una persona abbastanza lunatica, e nessuno è riuscito a sopportare questo mio difetto, quindi hanno pensato fosse meglio lasciarmi stare. Prima non era così, non ero così irritante e chiusa, prima ero più aperta e solare. Il problema è che sono stata ferita così tante volte da queste lame affilate, rappresentanti di malignità, che alcune sono rimasta conficcate così in fondo nella mia carne che si sono trasformati in ricordi dolorosi, che riaffiorano ogni qualvolta queste lame provano ad uscire." mi sorprendo io stessa dei miei pensieri, e osservo il ragazzo che è rimasto immobile, a bocca aperta.

Tossisco leggermente, provando a risvegliarlo, cosa che funziona, visto che si risistema sulla poltrona.

Lo guardo negli occhi, lui fa lo stesso.

"Mi colpisci dritto nell'animo con questi tuoi pensieri filosofici" abbozza un sorriso sincero, che mi scioglie il cuore.

Questa è quella che chiamano onestà? Quella tanto ricercata nelle persone, ma mai trovata veramente. È la prima persona che mi prende sul serio e non mi sfotte per quel che dico.

Vorrei tanto chiedergli di essere mio amico, se solo non risultasse patetico.

Insomma, ho diciassette anni, mica sei?
Prima che possa proferire parola, la porta della stanza viene bussata ripetutamente.

"Jean, sappiamo che sei lì, se non esci entro dieci secondi, buttiamo giù la porta" minaccia una voce femminile fuori dalla stanza.

"Oh, merda" sussurra il moro dal ciuffo biondo, mordendosi il labbro inferiore e scoccandomi un'occhiata di panico.

"Se ti va... potrei tenerti la mano durante l'iniezione..." borbotto, arrossendo leggermente, guardando ovunque tranne che nei suoi occhi.

"Mi va bene" mi sorprende, mentre buttano giù la porta della stanza e una dottoressa si avvicina con un ago di almeno tre centimetri.

Minchia, ora ho capito perché aveva paura.

Mi prende la mano, stringendola con forza, mentre l'ago entra man mano nella sua pelle, provocandomi leggero vomito, che rigetto dentro senza pensarci.

"Bene, ora dovrai riposare per tre ore, per far sì che le proteine scorrano nel tuo sangue con regolarità" ripete meccanicamente la dottoressa, scoccandomi un'occhiata che vale a dire 'esci di qui'.

Così, osservando il biondo che si addormenta lentamente, me ne vado da quell'ospedale psichiatrico in tutta tranquillità.

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