Capitolo 15

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Come sempre, quando si avvicina l'ultima settimana di college, il tempo sembrava non voler proprio passare. Eravamo ancora al lunedì, ma fortunatamente le mie lezioni erano finalmente finite. Be', in realtà, mancavano ancora due minuti e sette secondi, sei, cinque...
La professoressa Buckley era seduta sulla cattedra, le gambe accavallate e un sorriso divertito sulle labbra, mentre guardava tutti noi muoverci in maniera agitata sulle sedie. Anche gli altri, come me, non vedevano l'ora che almeno questa giornata avesse fine. In questo modo, sarebbero mancati solo cinque giorni alla consegna delle lauree. Lei roteò gli occhi divertita, poiché aveva smesso di parlare un paio di minuti fa, ma nessuno sembrava essersene reso conto. Qualcuno che fingeva di prendere appunti, infatti, continuava a scrivere. Se stesse scrivendo sul serio, probabilmente stava facendo una lista di cose da portare per una delle mega feste organizzate dai ragazzi dell'ultimo anno per questi ultimi giorni.

<<Vorrei dirvi che potete andarvene anche adesso, ma siccome siete così presi...>>, disse. Tutti si voltarono per guardarla con occhi spalancati. Lei scoppiò a ridere, poi scosse la testa.

<<Professoressa, lei è un angelo!>>, urlò una ragazza dal retro della classe.

<<Toglietevi davanti prima che cambi idea>>, disse, indicando la porta con il pollice. <<Jauregui, tu resti con me per un altro po'>>, aggiunse, sorridendomi dolcemente. Quando faceva così, serviva a farmi capire che non ero nei guai. Voleva solo parlarmi di qualcosa riguardante la classe.
Tutti ci lasciarono, alcuni si fermarono a salutarla, sopratutto quelli che con oggi finivano il suo corso. Dopo quelli che sembrarono ore, finalmente mi avvicinai alla sua cattedra, aspettando che iniziasse a parlarmi. Sorrise, indicandomi uno dei posti ai primi banchi per farmi sedere.

<<Mi si è addormentato il sedere, non ne posso più>>, mormorai, implorandola con lo sguardo. Non era strano che dicessi una cosa simile. Quella donna ci aveva abituato a parlarle come se fosse una sorella, anche se ciò non significava che non sapesse farsi rispettare come docente. Era perfetta, in poche parole. E non mi riferivo solo a quegli occhioni azzurri, quel sorriso mozzafiato o quel suo bel sedere sodo, che rendeva evidente il fatto che si allenasse. Scossi la testa, allontanando quei pensieri sconci. Era pur sempre una donna in procinto di sposarsi. 

<<Okay. Capisco che tu voglia andartene, quindi sarò breve>>, disse. Si alzò anche lei, fece il giro della cattedra e si poggiò contro di essa. Mi guardò negli occhi.

<<L'anno è ormai finito, e mi è stato detto che le tue idee non sono ancora chiare>>, iniziò, incrociando le braccia al petto. Oh, eccoci qui.

<<Be', diciamo che vorrei solo tornare a casa, stare un po' con la mia famiglia. Poi, aspetterò che le cose vengano così come devono venire>>, mormorai, sistemandomi meglio lo zaino sulla spalla.

<<E se io ti dicessi che posso aiutarti?>>, domandò, alzando un sopracciglio. Aggrottai la fronte, guardandola confusa.

<<Il college offre uno stage agli alunni con del potenziale, potenziale come il tuo. Ho notato che la letteratura ti piace tanto, quindi ho pensato che ti sarebbe piaciuta l'idea>>, disse.

<<Stage per cosa, mi scusi?>>, chiesi.

<<Uno stage come insegnante. Inizierai al fianco di qualcuno, magari proprio il mio. Vedrai come si tengono le lezioni da dietro la cattedra, sarai libera di fare le domande agli altri studenti. E se le cose vanno bene come credo, potresti trovare il tuo lavoro>>, mi disse con dolcezza. Scoppiai a ridere. Lei non si scompose. Aspettò che mi calmassi, poi con un sopracciglio alzato, mi fece capire che dovevo spiegare il motivo della mia risata.

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