1959, Primavera
Ricamavo, in salotto, nella mia solita solitudine quando sentii pronunciare il mio nome «Lucia!» scattai in piedi ma subito mi tranquillizzai vedendo Erminia «Bambina mia, tuo padre ti vuole parlare nel suo ufficio, fa' presto» raccolsi il materiale sparso sul divanetto riponendolo nel cestino di vimini «Vado» uscii dalla stanza attraversando velocemente il corridoio che mi separava dallo studio di mio padre.
Prima di bussare respirai a fondo, poi colpii il legno due volte aspettando il permesso di poter entrare «Avanti» fui colta da un'improvvisa agitazione che feci in tempo a nascondere quando la mia mano abbassò la maniglia della porta permettendomi di entrare.
L'odore di tabacco invase le mie narici impedendomi di respirare aria pulita, odiavo quando fumava quel veleno ma se non ascoltava i medici, che erano dei professionisti, figurarsi se avrebbe ascoltato la figlia femmina più piccola anche se la sua prediletta.
«Mi avete fatto chiamare, padre» abbassai leggermente la testa evitando di guardarlo negli occhi così uguali ai miei «Lucia, devo darti una notizia eccezionale! Il figlio di un mio carissimo amico è intenzionato a sposarsi e vorrebbe avere la possibilità di conoscerti, non potevo certo rifiutare! Verranno qui, stasera, per cenare con noi. Voglio vederti nel tuo abito migliore e soprattutto con uno dei tuoi sorrisi radiosi, vedrai, cadrà ai tuoi piedi» ascoltai con sgomento le parole di mio padre, sapevo che quel giorno sarebbe arrivato ma non credevo così presto!
In inverno avevo compiuto diciannove anni, età adatta al matrimonio ma mi ero creata l'illusione che i miei fratelli avessero reso mio padre abbastanza soddisfatto da non dover accasare anche me, naturalmente mi sbagliavo.
«Certo, farò in modo che non rimanga deluso» annuì e congedandomi con la mano tornò a leggere dei documenti posti sulla sua scrivania.
Uscii senza fare un minimo di rumore, il cuore era in tumulto, la testa girava, non ero pronta ad affrontare la triste vita di mia madre o delle mie sorelle.
Non volevo diventare invisibile ed insignificante agli occhi di mio marito, il problema era che gli uomini di un certo tipo di stampo non sarebbero mai cambiati ed ero sicura che anche il mio pretendente fosse uguale a tutti gli altri.
La calma fu battuta dal nervosismo e per quanto cercassi di non pensare al peggio, non ci riuscivo per niente.
Mi rintanai nella mia stanza con crescente tristezza, speravo solo che non fosse troppo vecchio o troppo rude.
Potevo sopportare qualche parola dettata dalla rabbia ma non la violenza fisica, quella non l'avrei sopportata, non quando nessuno mi aveva mai sfiorato in tutta la mia vita.
Mi sedetti sul letto, guardandomi intorno, era tutto così silenzioso.
Le mie sorelle Lucrezia e Marianna, da quando si erano sposate, venivano sempre più raramente a trovarci dovendo badare ai figli e alla casa.
Da una parte, un po' mi mancavano, negli ultimi anni avevano imparato a considerarmi di più rispetto a prima e quando entrambe avevano dovuto lasciar casa, ero ricaduta nuovamente nell'isolamento.
I miei fratelli erano sempre in giro per affari e naturalmente non prestavano attenzione a me.
Mia madre era sempre rinchiusa nella sua stanza, usciva solo per mangiare o ricevere ospiti insieme a mio padre.
Vivevano in camere separate da chissà quanto tempo e ormai avevano perso qualsiasi interesse l'uno per l'altra.
Decisi di scegliere l'abito per la sera, mi alzai e mi diressi verso l'armadio, aprendolo.
Passai in rassegna ogni vestito che avevo e alla fine decisi di indossare uno di colore rosa chiaro lungo fino al ginocchio un po' rigonfiato dal tulle sottostante.Era il primo regalo fattomi dalle mie sorelle.
Guardai l'ora nel mio orologio da polso notando che erano solamente le quattro di pomeriggio.
Riposi accuratamente l'abito e chiudendo l'anta mi diressi in corridoio con l'intenzione di andare a fare una passeggiata in bicicletta per le piccole stradine di campagna che circondavano la nostra residenza estiva.
Andai verso il garage e presi l'unico mezzo di cui disponevo, per l'appunto la bicicletta.
La macchina era sempre stata una tentazione ai miei occhi ma non avevo mai avuto il coraggio di provarla.
Salii sul sellino ed iniziai a pedalare con il vento che mi scompigliava leggermente i capelli e mi rinfrescava il viso.
Era una giornata soleggiata ed il caldo cominciava a subentrare al freddo.
Raggiunsi il piccolo mulino e mi fermai qualche minuto per ammirare la grande ruota che si muoveva grazie all'acqua.
Salutai il proprietario con la mano e continuai il mio giro, ormai mi conoscevano tutti lì intorno.
«Signorina Lucia, Signorina Lucia!» sentii qualcuno gridare il mio nome così mi fermai e mi voltai notando la moglie del panettiere sbracciare in mia direzione, mi avvicinai e lei con un sorriso sincero mi fece entrare dentro dove trovai seduto a tavola suo figlio, Giuseppe, che mangiava del pane fresco.
«Le ho messo da parte le ciambelle che adora tanto! Qui, nel cestino» me lo porse ed io ringraziai calorosamente.
«Non doveva...» non mi lasciò finire la frase perché subito si intromise «Stia tranquilla, è un piccolo regalo da parte mia e di mio figlio» mi girai e solo in quel momento mi accorsi che mi stava fissando, distolsi lo sguardo imbarazzata e con una scusa banale mi avviai all'esterno.
«La ringrazio ancora, adesso scappo, devo tornare a casa» girai la bici in direzione della villa e senza guardarmi indietro cominciai a pedalare furiosamente.
Il rombo di una macchina, rumore assai raro da sentire in aperta campagna dove le persone per spostarsi erano soliti usare gli asini o i cavalli, mi incuriosì e nascondendomi dietro ad un grande albero cominciai ad osservare la scena che mi si presentava davanti.
Dalla vettura scese un uomo alto, robusto e dai capelli neri che non riconobbi dal profilo ma dalla voce «Signora Paola, che piacere rivedervi! Ho saputo della morte di Rocco, un vero peccato» sgranai gli occhi incredula, Carlo Capponi!
L'uomo più arrogante e bruto che avessi mai incontrato in tutta la mia vita.
Quando frequentavo ancora la scuola a Catanzaro, lui stava finendo l'università e se ne vantava con tutte le ragazze essendo anche ricco e ancora scapolo.
Ricordo bene come la sua bocca si avvicinò alla mia nel tentativo di baciarmi, in un vicolo buio e senza uscita, come le sue mani si erano messe a percorrere il mio corpo cercando di sbottonare la camicetta che portavo quel giorno di marzo.
Per mia fortuna i suoi coetanei lo richiamarono e non ebbe il tempo di insinuarsi oltre.
Quel giorno rimase impresso a fuoco nella mia mente e difficilmente l'avrei dimenticato.
Nessuno avrebbe fatto niente per me, non era nella cultura.
Chi usava violenza su di una donna poi, aveva il diritto di sposarla con o senza il consenso della suddetta.
Ritornai alla realtà e mi accorsi che la macchina era sparita e con essa anche lui.
La strada era libera così uscii dal mio nascondiglio e mi rimisi a pedalare fino a casa.
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Sarò tua, per sempre
General FictionPrequel DI "IRRIMEDIABILMENTE TUA" Lucia Sapone è l'ultima figlia femmina di Ferruccio Sapone, detto "U Surici". Sa che il suo destino è segnato da un matrimonio combinato, lo sa da quando sua madre l'ha considerata in grado di comprendere. Essendo...