John Lennon-Steel bicycle (parte 1)

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Il caldo estivo stringeva in una morsa ossessiva le braccia nude di John Lennon, che stava disteso su un prato verde, a fissare con insistenza morbosa il cielo privo delle sue solite nuvole spumose e fastidiosamente dense e inconsistenti. Sporadicamente le volute di fumo che cacciava con riluttanza fuori dalla bocca gli annebbiavano per brevi secondi la vista già rovinata, data la mancanza degli odiati occhiali tondi che correggevano la sua grave  miopia.

Il sole si rifletteva nell'angolo delle sue orbite arrossate, con uno scintillio fastidioso. Dopo qualche minuto fu costretto a chiudere le palpebre, accecato. Linee verdastre sfrecciarono con fretta impaziente nelle sue iridi scure e ciò, per qualche assurdo e insensato motivo, lo calmò, rallentandogli il respiro e il veloce battito del cuore. Le pupille seguirono i loro veloci movimenti, e la mente, trovandosi impegnata, trovò un effimero periodo di pace che le permetteva di non concentrarsi sui lugubri pensieri che ultimamente distruggevano la salute mentale del ragazzo, facendolo precipitare in bui baratri di tristezze e insane debolezze.

John accarezzò con le dita affusolate l'erba rigogliosa, affondando la mano sinistra nell'erba, stringendo con forza disperata la terra scura e bagnata dopo la recente pioggia che si era abbattuta su Amburgo, in quell'estate del '61. Inaspettatamente, desiderò di essere esattamente dov'era. Sdraiato sul prato verde d'un parco alla periferia di una bella città, nell'ora più calda della giornata, con la sigaretta che pendeva mollemente dalle labbra fini, accarezzando i fiori che, pensandoci bene, erano la dimostrazione più pura e semplice di ciò che di bello la natura offriva, respirando a fondo aria pulita, seppur maledettamente calda, gli occhi chiusi e il viso rivolto al sole. Una sorta di dimensione parallela, mondo anestetizzato, ipnosi eterna.

Sospirò pesantemente, e il naso aquilino cacciò fuori delle volute di fumo plumbeo. Il filtro bruciò un altro po', consumandosi, morte imminente e progettata, fuoco che consuma braci ardenti. Improvvisamente, con un movimento repentino e privo di comando della mano, quella che non era chiusa in un pugno di terra, cacciò fuori dalla tasca sfilacciata dei jeans scuri una foto, rubata dai rullini degli ultimi scatti di Astrid. La fissò per un po', con gli occhi socchiusi, situazione dovuta un po' alla luce troppo forte, un po' alla sua pessima vista.

I ricordi della mattina appena trascorsa gli apparvero con calma inverosimile davanti agli occhi, come se fossero proiettati su un telo bianco, uno di quelli che si usavo per i drive-in. Rivide la camera oscura dell'avvenente ragazza tedesca, dozzine di foto appese a sottili fili in giro per la spaziosa stanza, bottiglie piene di agenti chimici per lo sviluppo e l'arresto, l'accecante luce rossa che dopo un po' dava alla testa, cartelle piene di foto e appunti. Gli sembrò di rivivere la scena, tanto vivida e fresca ancora stanziava nella sue memoria.

'Astrid, questa foto è stupenda' la ingraziò Stu, osservandola incantato, mentre sventolava un'istantanea -'una delle prime', avrebbe poi chiarito lei- che ritraeva, semplicemente, una stanza semivuota con una bici d'acciaio accantonata su una parete e un quadro in procinto di cadere sul muro centrale. L'ambiente era dipinto di bianco, ma con la luce rossa della camera oscura il colore aveva perso la sua brillantezza fastidiosa, e sembrava sporco di sangue secco. John, preso da quel pensiero, senza farci caso, rabbrividì leggermente. E Paul, che faceva sempre caso a tutto ciò che accadeva a chi gli stava intorno, lo guardò con un sorriso a metà tra il confuso e lo scherno, perchè sapeva che qualsiasi tentativo di consolazione avrebbero solo infastidito John. Poi anche lui cominciò a girare per la stanza, incantato dalle fotografie di Astrid.

'Quella casa esiste davvero, qui vicino' spiegò lei a Stuart, che aveva ancora in mano lo scatto. 'Prendila se vuoi, a me non piace tanto' e gli sorrise. Il ragazzo intascò la foto e passò ad osservare gli appunti della giovane fotografa, avvicinandosi sempre di più a lei.

Lennon smise di fissare, a detta sua, 'Il patetico tentativo di abbordaggio di Stu, che ragiona col cazzo e il pennello', e  prese a frugare in mezzo alle pellicole che erano sistemate ordinatamente su un tavolo vicino alla porta d'ingresso. Ne prese uno particolarmente corto. Chiuse un occhio, alzando l'angolo destro del labbro, senza accorgersi della buffa smorfia che stava prendendo forma sul  suo volto. Posizionò il rullino controluce e cominciò a far scorrere tra le dita il rettangolo di poliestere. Nessuno delle foto presenti era un primo piano, e per lo più c'erano foto di paesaggi, case abbandonate, 'foto di prova', gli disse Astrid. Prese anche gli altri rullini, senza rimanere particolarmente colpito da nessuno di essi.

Poi vide.

'Nulla di che', si sarebbe ritrovato a dire, ne era sicuro, se lo avesse guardato anche solo un secondo dopo. 

La foto, miracolosamente, non era mossa. La figura leggermente fuori fuoco di una ragazza dal volto mezzo coperto da ciocche di capelli lisci e in balia del vento, seduta su una bicicletta d'acciaio, con il busto proteso in avanti e le gambe, coperte da pantaloni lunghi, piegate sui pedali . Si intravedeva a stento un profilo delicato, impossibile da definire con certezza sulla grandezza minima di un rullino.

Buio.

Mistero.

Nulla di che.

Eppure.

'Stu, vieni qui ' ordinò in tono fermo al ragazzo, che si girò con le sopracciglia alzate. John gli fece segno di avvicinarsi, gesticolando. Quando gli fu vicino, gli chiese, senza staccare gli occhi dal rullino, di dargli la foto che Astrid gli aveva regalato qualche minuto prima. E lui gliela porse, un'espressione interrogativa dipinta sul volto affascinante. 

John le mise a confronto, notando, con una punta di soddisfazione personale, che le bici corrispondevano. Sorrise di sbieco e restituì l'istantanea a Stuart, colpendolo nel mezzo del petto pallido, facendolo indietreggiare, mentre avanzava verso Astrid, che non lo guardò finché non le fu vicino.

'Dov'è quella casa?' domandò, quasi non trattenendo la frenesia che non gli faceva stare ferme le gambe.

John si era fatto tutto il vicinato della ragazza a piedi, da solo, domandandosi cosa lo avesse spinto a cercare una persona, sconosciuta e anonima nel volto, così ossessivamente. La cosa che lo preoccupò fu proprio quella. La mancanza di una risposta.

Astrid gli aveva detto che abitava in una casa alquanto piccola, bianca come le pareti di quella stanza col quadro storto e la bici appoggiata al muro, vicino al parco dove ora era steso, esausto. Ma aveva girato per isolati, senza ritrovarla. Prese a domandarsi anche perchè non avesse permesso alla giovane fotografa di accompagnarlo; anche questa domanda rimase priva di risposta, appesa sul bordo di un baratro. Strofinò il pollice ruvido contro la pellicola, contro quella foto, il sole che pareva volesse perforarla.

Forse  si disse sto cercando un qualcuno, e mi basta un chiunque. Strinse più forte la terra tra le dita, il terreno leggermente fangoso che si insinuava sotto le unghie nonostante fossero corte e stranamente curate. Che pensieri del cazzo si disse anche. Si stava alzando a sedere, quando qualcosa lo fece bloccare.

Il riflesso di un raggio di sole.

Cominciò a correre a perdifiato verso la strada quasi deserta, urlando monosillabi, percependo quasi subito i polmoni e le gambe pizzicare fastidiosamente. Ma continuò a correre, motivato, rapito da una gioia speranzosa.

Aveva visto una bicicletta d'acciaio.



Beatles (One shots)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora