Quinto

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Avvertenza.
Lo scrivo perché è giusto che lo faccia. C'è uno scambio di battute, in questo capitolo, che fa riferimento al "volersi buttare da un punto alto". È liberamente ispirato al video in cui Filippo dice "Se non fossimo al primo piano, mi sarei già buttato".
Io vi avviso perché so che potrebbe non piacere la leggerezza con cui avviene il dialogo ed anche perché so quanto delicate siano queste cose.

***

Si accarezzò lo stomaco con una mano, sentendosi piuttosto gonfio. Aveva mangiato decisamente troppo.
Lanciò un'occhiata verso Irama che stava chiacchierando con Lorenzo, mentre sorseggiava la grappa che aveva ordinato.
Grappa - chissà perché Einar l'aveva sempre associata agli adulti. Non che lui non fosse adulto - aveva venticinque anni, mica quindici -, ma era qualcosa di adulto adulto. Cioè, era quello che il padre della sua ex beveva spesso alla fine di un pasto, quindi per lui era diventato qualcosa da adulti più... anziani? No, non proprio anziani.
Sospirò.
Dio, finiva per incartarsi anche nei suoi stessi pensieri - che razza di stupido.
Si scolò quello che restava del vino nel suo bicchiere, poi se ne versò dell'altro nella vana speranza lo aiutasse a digerire.
«Bevi per dimenticare?» gli chiese Sergio con tono divertito, lo sguardo che seguiva ogni suo movimento. Il cubano lo guardò un po' male.
«Cerco di digerire la cena.» avvicinò la testa a quella dell'altro. «Ed anche il tuo tentativo di sputtanarmi.» sussurrò.
L'uomo rise e gli diede un buffetto sulla guancia. «Einar, quello lo hai fatto da solo.» lo prese in giro. Appoggiò il braccio sullo schienale della sedia del venticinquenne per parlargli all'orecchio. «Non mi avevi detto che avevate legato così tanto, comunque. Avete passato la maggior parte del tempo a parlare tra di voi.» davvero? Non se n'era accorto. Lasciò lo sguardo vagare per il tavolo e si rese conto che, oltre alle presentazioni, aveva scambiato giusto due parole con gli altri commensali. Irama aveva monopolizzato tutta la sua attenzione. «Mi fa piacere, però. Può uscirne solo qualcosa di buono da tutto questo.»
Einar si morse un labbro e guardò di sottecchi il biondo, che - aspetta, stava facendo lo stesso. Abbassò lo sguardo e sbuffò divertito. «Tu dici?» chiese a Sergio e lui annuì, scompigliandogli i capelli.
«Dico.» si allontanò, tornando nei confini del suo posto. Lo vide sorridere verso il ventiduenne e questi fece lo stesso, volgendo poi lo sguardo verso il cameriere che aveva appena portato il conto.

Irama prese il portafoglio dalla tasca, pronto a pagare, ma Einar lo fermò. «Facciamo a metà.» propose, prendendo in mano lo scontrino e calcolando la parte da pagare.
Il ragazzo glielo strappò dalle mani, scuotendo il capo. «Voi due siete miei ospiti, pago io.»
«No, no. Pago la mia parte.» insistette, riprendendosi il pezzo di carta.
«Einar, devo pagare io.»
«Siamo a Roma, no? Facciamo alla romana.»
«Ma neanche per idea, faccio io.» disse.
Einar strinse le labbra, incapace di lasciare andare la cosa. Doveva pagare lui la sua parte. Non aveva mai lasciato che qualcuno pagasse per lui quando guadagnava quel che poteva, figurarsi adesso che di soldi ne aveva un po' di più - il suo orgoglio non glielo permetteva.
«Paga per voi, io pago per me e Sergio.»
Irama poggiò la mano sul suo braccio. «Ascolta - »
Lorenzo si schiarì la voce. Lui alzò lo sguardo e lo vide in piedi, con la giacca addosso, che li guardava come si guardano due bambini che stanno facendo gli stupidi. «Scusate l'interruzione, ma ci hanno già pensato Giulio e Sergio al conto. Sono andati alla cassa ed hanno pagato.» indicò con la testa i due che, con gli altri, si stavano avviando verso l'uscita. «Se volete continuare a bisticciare per chi si tiene lo scontrino, però, fate pure. Ad un certo punto credo dovrete lasciare il tavolo.»
Chissà se anche l'altro condivideva la stessa sensazione di disfatta. Come se avesse appena perso una battaglia - cavoli, dopo avrebbe dato indietro i soldi a Sergio.

«Io credo andrò a farmi due passi.» annunciò il biondo, stiracchiandosi. «Qualcuno vuole farmi compagnia?»
Avevano raggiunto gli altri fuori dal ristorante ed erano stati fermati da un gruppo di ragazzi per degli autografi ed alcune foto.
«Sei pazza. Hai davvero tatuato una frase di Per un poco di cash?» aveva riso l'altro, di fronte ad una ragazza, che aveva annuito come se avesse appena speso tutte le parole che aveva per raccontarglielo. «Posso vederlo?» aveva chiesto e, quando lei aveva mostrato il braccio, Einar non aveva potuto fare a meno di sbirciare. È senza il rancore che rimaniamo forti - leggendola, aveva ricordato il brivido che lo aveva attraversato ascoltando quella canzone per la prima volta, per poi sorridere educatamente alla persona che gli stava chiedendo un autografo.
«Posso fare una foto, vero?» gli era sembrato un bambino, emozionato forse più della fan che gli stava davanti che gli aveva dato il suo permesso senza fare storie.
«Credo ti abbandonerò, Filo. Vado direttamente in albergo.» rispose Lorenzo e quello alzò le spalle. Si guardò in giro e, quando anche gli altri gli diedero una risposta negativa, sospirò.
«Andrò da solo.»
Einar si strinse nella giacca di pelle, spostando il peso del corpo dai talloni alla pianta del piede e viceversa, sentendosi ancora gonfio. Quasi cadde quando Sergio lo spinse verso il monzese.
«Ad Einar farebbe bene una passeggiata.» disse, guadagnandosi uno sguardo scandalizzato. Ma che - era impazzito? «Camminare fa bene alla digestione, no?» 
Sì, ma - si sentì osservato e guardò istintivamente verso il cantautore.
«Vieni?»
«Sì, io - sì.» acconsentì, cercando di accantonare quell'orrenda sensazione che gli diceva che si sarebbe reso ridicolo ancora una volta.

Semplice || #eiram Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora