Decimo (I)

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Alla fine avevano dovuto rinunciare a condividere la doccia: Filippo aveva lasciato dormire Einar fino a quando aveva potuto, restando steso accanto a lui. Aveva provato a dormire, ma ogni volta che aveva chiuso gli occhi qualche strano rumore proveniente dalla strada glieli aveva fatti riaprire, rendendogli quasi impossibile rilassarsi. Non che lui fosse abituato a star sereno per più di cinque minuti. Si era, quindi, rassegnato ed aveva passato il tempo che restava ad osservare l'altro e a rispondere ai messaggi che gli erano arrivati ed a cui non aveva risposto.
Aveva posato il cellulare sul materasso quando si era fatta l'ora di andare ed aveva fatto una smorfia con la bocca, indispettito dal fatto di dover svegliare il ragazzo accanto a sé. Aveva cominciato a tracciare il contorno del viso dell'altro con un dito, provando a dargli fastidio, ed aveva finito per accarezzargli le labbra e poi il mento, scendendo giù fino al collo.
«Ein.» lo aveva chiamato, riportando su la mano e strofinando il dorso su una delle guance. Quello aveva mugugnato qualcosa, incredibilmente infastidito, aggrottando le sopracciglia ed aprendo poi gli occhi - blu e lucidi dal sonno.
«Dobbiamo alzarci?» aveva chiesto ed il ventiduenne aveva confermato.
Lo aveva osservato alzarsi e cominciare a vestirsi, dandogli le spalle e offrendogli l'occasione di studiare la schiena nuda.
«È una fenice quella sulla spalla?» domandò, alzando lo sguardo dal fondoschiena del venticinquenne e notando il tatuaggio soltanto in quel momento.
«Quella a sinistra? Sì.» rispose quello, infilando i pantaloni e raccogliendo da terra la maglietta che il più piccolo gli aveva regalato. «Uno dei pochi che ho intenzione di tenere.» lo informò, voltandosi verso di lui e indossando il capo.
Il biondo alzò le sopracciglia. «Brutti ricordi?»
«Una specie.» Einar si chinò per allacciare le scarpe e recuperò la giacca da sotto il letto. «Tatuaggi di coppia.» la infilò. «Non giudicarmi, era una relazione... complicata, diciamo.» aggiunse, sentendo lo sguardo di Filippo su di sé.
Lui si alzò dal letto. «Non ho intenzione di giudicarti.» lo rassicurò, avvicinandosi e posandogli un bacio a stampo sulle labbra. «Ti accompagno in camera, dai.»

Quando erano arrivati davanti alla porta della sua camera, nella ricerca disperata della chiave, il palmo della mano di Einar aveva sbattuto contro lo scatolino nella tasca della giacca e lo aveva preso un vuoto improvviso, che lo aveva fatto sentire stupido, quasi quanto la notte prima.
Era probabilmente insensata quella mancanza di fiato o la totale insicurezza davanti ad un regalo stupido, ma aveva già provato la sensazione di essere quello troppo coinvolto. Era già stato la persona che amava di più nella relazione e -
«Tutto bene, Ein?» domandò il cantautore, accarezzandogli la schiena.
Il ragazzo lo guardò negli occhi, mordendosi un labbro di fronte alla sua espressione preoccupata. Si era bloccato lì, perso nella propria mente per chissà quanto, tenendolo impegnato a far nulla, con quel peso in tasca che gli dava ansia e tutto il resto. «'Fanculo - tieni.» decise, d'impulso, tirando fuori lo scatolino e porgendoglielo. «È il tuo regalo.» spiegò, osservandolo.
Il ventiduenne lo guardò stupito, poi aprì il contenitore. «Tu - » provò a dire, ma poté soltanto restare a fissare la piccola piuma, accarezzandola con un dito.
Einar prese un respiro profondo, dondolando da un piede all'altro con il nervosismo che gli attraversava il corpo. «Non ti piace vero? Cioè, lo sapevo. È davvero troppo.» disse, poi allungò la mano. «Ridammelo. Davvero, ridammelo, me lo tengo io. È anche carino - tra un po' è il compleanno di Anna, quasi quasi lo do a lei. Le piaceva - sai, credo sia tua fan. Sì, è di sicuro tua fan, ne parl - »
Filippo alzò lo sguardo, interrompendolo. «Apri la porta.»
«Uh?»
Lui deglutì. «Apri quella cazzo di porta, per favore.» chiese, mettendosi lo scatolino in tasca.
Il venticinquenne prese la chiave dalla tasca dei jeans e la infilò nella serratura. «Sei gentilissimo, davvero. Il per favore lo hai aggiunto per cortesia?» si lamentò, aprendola.
Il cantautore diede un'occhiata in giro, poi lo spinse delicatamente dentro, chiudendosi la porta alle spalle. Lo fece indietreggiare fino a costringerlo con le spalle al muro, le mani sulle guance, ed il sorrisetto che gli distese le labbra fu l'ultima cosa che l'altro vide prima che le loro bocche si scontrassero, dando un senso al comportamento del più piccolo.
«È davvero bello.» sospirò sulle sue labbra, strofinando poi la punta del naso contro la sua. «Io ti ho dato una maglietta orrenda e tu - » lo baciò ancora, rubandogli letteralmente il fiato.
Il cubano posò la fronte contro la sua e tentò di regolarizzare il respiro. «Non credi sia troppo
«È perfetto, perfetto.» gli accarezzò gli zigomi con i pollici. «E tu non volevi darmelo, capisci quanto sei stronzo?»
Einar chiuse gli occhi, stranamente sollevato. Il cuore che batteva all'impazzata in gola - sempre colpa di quello stupido nervosismo -, il corpo appiccicato a quello del biondo. Le mani di Filippo scesero a stringergli i fianchi, per poi infilarsi nelle tasche posteriori dei jeans. Spinse il bacino contro quello dell'altro e si lasciò scappare un sospiro quando il cellulare squillò.
Strofinò la bocca contro la mandibola del venticinquenne, ignorandolo momentaneamente, troppo preso dall'istante, dall'idea di poter avere davanti a sé qualcuno di così adorabile - quanto diamine era...
«Rispondi.» consigliò il più grande, all'ennesimo squillo.
Lui sospirò. «Devo andare.»

Semplice || #eiram Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora