5. Che bruci anche l'anima

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Ha iniziato a piovere, oltre il finestrino dell'auto l'acqua scroscia violenta, si abbatte sull'asfalto delle strade come una scarica di proiettili.

Sono le otto e mezza di sera, New York è viva e pulsante, un tripudio di luci vibranti e suoni sovrapposti. La osservo da dietro il finestrino chiuso, le dita giocano sul vetro che si sta appannando.

Nella mente rimbombano le ultime parole di Aaron, quelle che gli ho strappato con la forza, quelle che non voleva dirmi.

L'incontro con lui è fissato fra tre notti in un vecchio pub di periferia, uno di quelli in cui circolano solo malviventi. La sfida sarà una partita a poker, qualcosa a cui lui non si sottrarrà mai. Non è un mistero di come si faccia trascinare dal vizio del gioco e di come ne esca sempre vincitore. Che la sua sia fortuna, bravura o un meschino inganno, non m'interessa. Ma la posta in palio è alta: se Aaron perde, tornerà a essere uno Slave, ma se a perdere è lui, allora morirà.

Fosse stato solo per riavere il suo giocattolo non avrebbe mai accettato, non a simili condizioni, ma considerando anche il suo debole per il gioco e la sua smisurata superbia, il piano di Aaron sembra avere una qualche possibilità di successo.

La vita di Aaron è nelle mani di una stupida partita a carte, da non credersi. È disposto a tanto pur di rinascere dalle ceneri di un passato che non ha mai smesso di tormentarlo.

Mentre l'auto sobbalza per le strade della metropoli, infilo una mano in tasca, sfioro la lettera con la punta delle dita, come se temessi di perdere quell'oggetto tanto prezioso.

Aaron conta su di me, non posso fallire.

D'un tratto l'auto si ferma, non mi ero resa conto che fossimo arrivati.

Mike accorre ad aprirmi la portiera, mi aiuta a scendere. «Ti accompagno fino in camera.»

Ancora una volta la sua gentilezza mi stringe lo stomaco. «Non ce n'è bisogno.»

«Anche se l'ultimo cliente non ti ha maltrattata, non significa che tu ti sia ripresa.»

«Sto bene.»

Cerco di allontanarmi, ma le sue mani mi trattengono per le spalle. «Lily, lascia che ti accompagni.»

Ti metterai nei guai Mike, grossi guai. Ma non sembri voler demordere in ogni caso. «E va bene, ma solo per questa volta.»

E non guardarmi con quel sorriso compiaciuto sulla faccia.

Lo supero, entro nel palazzo di vetro e acciaio senza alzare lo sguardo.

Sento la voce di Amelia alle mie spalle, mi chiama, la ignoro. È Mike a risponderle, liquidandola con un frettoloso: "Lily non sta bene" e torna ad affiancarmi, pronto a sorreggermi.

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