Mentre Ionut, Shisha e Will erano ancora un po’ storditi per il viaggio, troppo veloce, Giorgia si ritrovò come era già capitato a vedere l’ombra di Fred. “Giorgia, come mai siete qui?” “Beh, devi sapere, che non siamo noi che decidiamo dove andare con i draghi: sono esseri senzienti, non taxi.” Finì Giorgia ridendo, e per la prima volta sentì un suono di risa provenire da Fred o almeno dalla sua ombra. “Comunque, sono venuto per dirti una cosa di estrema importanza…” “Cosa?” “Il re di “Shadow world”: Azrael, ha un aiutante, non conosco il suo nome, ma tutti quelli che stanno a “Shadow world” dapprima che arrivassi io, lo chiamano: “Il cacciatore di angeli”, e siccome so, che tu sei un angelo, ti ho voluto avvisare: NON VENIRE A SHADOW WORLD!” “Fred, ciò che mi hai detto è molto interessante, ma io non mi farò scoraggiare da uno che si fa chiamare: “cacciatore di angeli”, suvvia, senti che nome buffo.” “A dir la verità, a me quel nome inquieta. Per ora è meglio che io vada, non vorrei che si accorgessero di me; un’ultima cosa: a “Shadow world”, il tempo passa in maniera differente dagli altri mondi. Però Giò, sii prudente non vorrei che venissi uccisa… Io ci tengo a te.” Giorgia sussurrò a quell’ombra: “Anche io tengo a te.” Provò ad abbracciare quell’ammasso incorporeo e ci riuscì, lo sentì anche svanire mentre lui ritornava a “Shadow world”. Dopo alcuni minuti, Ionut, Shisha e William si erano finalmente ripresi ed insieme a Giorgia camminavano in mezzo a quella nebbia, sentivano sotto di loro solo l’acqua fredda e fangosa di una palude, ma non riuscivano a vedere neanche quella. Sentirono un gracchiare in lontananza, e dopo alcuni minuti che camminavano, la nebbia si diradò velocemente. Era un mondo veramente strano, o per meglio dire, assurdo: il cielo era viola, ed aveva una miriade di stelle luminose, al contrario, c’era il sole che sembrava una palla di cenere, infatti era spento e nero. Gli alberi avevano delle forme stranissime: tronchi curvati al limite del possibile, foglie arancioni fosforescenti e tronchi grigi come la polvere, per non parlare poi degli alberi che avevano piantato le loro radici su delle minuscole isole galleggianti nel cielo e che si erano sviluppati con la chioma verso il basso. Erano effettivamente dentro una palude: con alberi grandissimi e stranamente variopinti, rane blu e grandi quanto dei cavalli e che anziché gracidare, muggivano e alligatori grandi quanto lucertole, ma soprattutto sembravano essere meccanici: infatti avevano fanali al posto degli occhi, lame affilate al posto delle squame e mini-trivelle al posto dei denti. Continuarono a camminare e notarono che la palude era strapiena di tazze da tè o da caffè, grandissime, proprio come quella dove vi erano trovati all’arrivo. Dopo un po’ di tempo che camminavano riuscirono ad uscire dalla palude; avevano gli indumenti sporchi, da quello che sembrava fango, ma dopo poco sentirono che profumavano di latte al cioccolato e quindi con delle bottiglie in acciaio fatato, ne prelevarono un bel po’. Dopo un poco che camminavano per quelle lande verdi fuori dalla palude, scorsero un piccolo villaggio, proseguirono finché non vi giunsero. Era un villaggio, strano: o almeno lo era per loro. Le case somigliavano a delle zucche giganti, mentre i negozi erano zuccheriere, teiere e caffettiere. Ma la cosa più strana fino a quel punto, non erano gli edifici strani, bensì gli abitanti di quel piccolo e grazioso villaggio; infatti erano degli uccelli: sì, erano piccioni, pappagalli colorati, aironi e gru, ma l’aspetto assurdo era che erano volatili a grandezza d’uomo e con degli abiti eleganti, infatti indossavano: smoking, frac, cilindri come cappelli e bastoni dai pomelli d’oro per i maschi, mentre le femmine, indossavano abiti fastosi e variopinti, con collane luccicanti e con delle mucche, grandi quanto dei bassotti, dentro alle loro borse in pelle di rana. Guardarono in alto e videro i volatili di quella città che cavalcavano delle balene e orche che nuotavano in aria; i volatili li usavano come cavalli: con briglie d’oro e selle di giada. Li accolse un piccione vestito elegantemente con frac e cilindro nero pece dicendo: “Buongiorno signori, non vorrei sembrare scortese. Ma… chi siete? Chi cercavate? Ah, a proposito io sono Dusno, Sono il proprietario del negozio di tè al centro del villaggio.” “Buongiorno, il mio nome è William, mentre loro sono: mia sorella Shisha, Giorgia e Ionut. In realtà, noi non staremo cercando nessuno, stiamo viaggiando per il nostro giro dei mondi. Comunque, potrebbe indicarci un buon sarto in questo villaggio…” Shisha strattonò Will per un braccio, sussurrandogli: “Will… ti devo ricordare, per quale motivo siamo qui: non è per uno smoking o per un Frac, stiamo cercando: Eurydia. Ci serve… per mamma.” “Mi scusi volevo dire: Staremo cercando, una maga: Eurydia, sa per caso dove abita?” Shisha si intromise nella conversazione: “Scusi, ma perché, cavalcate quelle balene e quelle orche per volare, voi siete uccelli: avete le ali.” Disse Shisha ridendo, “Signorina, come si permette di parlarmi in questa maniera?” “In realtà come si permette lei: le ho solo fatto una domanda, qui quello scortese è lei non io.” Disse Shisha con tono violento e irato “Che domanda sciocca signorina: se usassimo le nostre ali, i nostri abiti si sgualcirebbero, potremmo addirittura perdere i nostri papillon o le nostre collane: sarebbe una totale catastrofe” disse Dusno con tono catastrofico e disperato. “Mi scusi, ma mi ero confuso: volevo chiederle se per caso conosce una maga di nome Eurydia?” “Eurydia?! Certamente, è una maga molto potente in questo mondo, o almeno così dicono: non la ho mai vista; però tutti dicono che abbia ingannato la morte e ora sia immortale.” “Si, dovrebbe essere lei…” “Quindi, può dirci dove si trova, se lo sa?” si intromise con irruenza Shisha; “Dovrebbe stare nel villaggio degli “Swam”: ma non vi consiglio di andarci…” “Perché no? Anche questo villaggio è strano, cos’avranno di così orribile questi “Swam”.” “Perché loro sono dei divoratori di magia: uccidono i maghi o altre creature magiche, solo per nutrirsi della loro magia; quindi ve lo sconsiglio” “Mi scusi, ma noi dobbiamo parlare con Eurydia, è molto, troppo importante: andremo da questi “Swam” e staremo attenti: ma dobbiamo parlare con Eurydia.” Disse Shisha con un tono coraggioso e malinconico allo stesso tempo “La sua grinta, signorina, mi continua a stupire, sarà maleducazione, parlare così, ma lei è ammirevole ugualmente: le devo fare le mie scuse per prima, sono stato davvero sgarbato…” “Non si preoccupi: anche io ho sbagliato, ho esagerato prima, quindi mi scusi ancora.” Disse Shisha con voce sincera e mortificata. “Però, ormai si sta facendo tardi per partire: partiremo domani mattina alle prime luci dell’alba: non vi posso portare direttamente dagli “Swam”; vi porterò ad una delle città-stato più grandi del mondo onirico.” “Grazie ancora, signore.” “Comunque: non potete viaggiare con quegli abiti: Signorina Shisha e signorino William: i vostri abiti sono troppo eleganti per viaggiare; venite con me: vi porterò dal migliore sarto della nostra piccola ma graziosa città.” “Grazie mille, Dusno.” Disse Shisha abbracciandolo: lasciò di sasso tutti; nessuno se lo aspettava, perfino Dusno tentennò, ma alla fine ricambiò il suo abbraccio. “Dusno, non è come sembra: vuole sembrare burbero, ma alla fine è un bravo volatile; e poi è vestito davvero bene.” Così pensava Shisha, con un’aria di strano affetto. Dusno li portò dal miglior sarto di quell’elegante borgo: era una grande zuccheriera con una porta in porcellana e finestre in vetro blu. Entrando vennero invasi da un forte odore di tè caldo e biscotti; il sarto stava facendo la sua pausa pomeridiana, e come era normale lì, stava mangiando i biscotti con tè e miele. Appena il sarto li vide, si ripulì il becco, si mise a posto i vestiti e corse subito da Dusno, “Si, Dusno cosa volevi?” con aria un po’ infastidita, “Erik, ti ho portato questi giovani avventurieri, dovresti cucirgli degli abiti nuovi.” “Ovviamente, Dusno, se non altro per quanti abiti compri qui ogni settimana.” Disse Erik ridendo; era un pulcinella di mare, con un becco dai colori sgargianti e un completo elegante blu notte. “Allora, io vi saluto, Erik vi accompagnerà alla locanda quando avrete finito: lì potrete riposarvi.” Disse Dusno mentre usciva dalla porta in porcellana bianca. Erik prese subito le misure, si mise subito alla macchina per cucire e in poco meno di due ore erano pronti i loro vestiti. Erano dei bellissimi vestiti, con colori sgargianti e con qualche gioiello per le ragazze. “Ecco i vostri vestiti.” “Ma… Sono bellissimi!” Esclamò Shisha, erano vestiti eleganti, ma anche comodi per le loro avventure. Il vestito di Shisha consisteva in: delle calze color rame, una gonna lunga fino a poco prima delle ginocchia bianche, una camicia anch’essa bianca; con i bottoni di un nero opaco e un ciondolo ovale, d’oro e con un grande rubino al centro. Quello di William invece consisteva in una camicia a scacchi giallo senape e neri con sopra una felpa grigia e dei pantaloni neri; potrebbe sembrare che a William non piacessero quei vestiti, invece li adorava; erano differenti da quelli che indossava solitamente ma sembravano comunque nel suo stile. Giorgia aveva la stessa uniforme di una delle squadre di Basket più forti del suo mondo: era la sua squadra preferita; infatti Giorgia adorava il Basket più di qualsiasi altra cosa. Ionut invece aveva una strana armatura: il tessuto non era molto riconoscibile: era un’armatura fatta d’acciaio, per metà nera e per metà rosso sangue, con la spalla destra, quella rosso sangue sembrava quasi che fosse una fiamma arente, infatti si stava muovendo, l’armatura era così anche per le gambe ed Erik gli aveva costruito anche uno strano elmo nero come la morte. Ionut non capiva come avesse fatto a creare dei vestiti così strani e in così poco tempo: “Mi scusi, ma come ha fatto a cucire questi vestiti così strani seppur bellissimi?” “Oh, giovane, bella domanda, devi sapere che uso un particolare tessuto che muta in base ai gusti del futuro possessore dell’abito: è un tessuto che solo il nostro borgo possiede e viene ricavato dall’unione di diverse pelli, squame e piume dei vari animali. Vi piacciono?” I giovani dissero insieme: “Certamente: grazie mille Erik!” “Grazie a voi di essere venuti: ora però si sta facendo tardi; è meglio che vi accompagni alla locanda: sarete stanchi, o sbaglio?” i quattro fecero cenno di sì ed Erik li accompagnò alla locanda lì vicino, costruita dentro ad un grande boccale di birra. All’interno c’era un gran fracasso, sembrava che tutta l’eleganza di quella città fosse scomparsa sulla soglia della porta della taverna: tavoli e seggiole che venivano lanciati da pavoni ubriachi e boccali colmi di birra e miele lanciati da rondini nere; in fondo a quella sala c’era un bancone dove si trovava Hans, il locandiere: un pinguino vestito con un gilet crema con un orologio da taschino che fuoriusciva dalla tasca frontale, Hans non portava i pantaloni, ma d’altronde lui era un pinguino: era elegante per natura. Erik li portò al bancone, gli offrì un po’ di birra e miele e se ne andò. Hans scambiò quattro chiacchiere con i giovani avventurieri: lui da giovane aveva viaggiato per tutto il mondo onirico e quindi ne aveva di storie da raccontare. Dopo circa un’ora di conversazione, Hans li accompagnò nelle loro stanze: una per ognuno. Non erano molto grandi, ma erano di legno e avevano un’aria calda e accogliente. I ragazzi si salutarono e andarono a riposarsi nelle loro stanze. Era piena notte quando qualcuno svegliò Ionut: “Ragazzo, svegliati.” Disse la voce con aria folle, Ionut con voce stanca e impastata disse: “Chi sei? Cosa vuoi da me?” “Io sono l’angelo sacro dei serpenti…” “Ho detto chi sei, non cosa sei.” Disse Ionut con voce alterata “Il mio nome non ti deve interessare, ho un compito qui, e lo devo portare a termine…” concluse “l’angelo dei serpenti” con voce folle e alterata, Ionut non riusciva a vederlo: la luce era spenta e quindi era completamente buio. “Quale sarebbe il tuo compito?” Disse il giovane con voce più pacata, “Mi dispiace, ma non posso dirtelo: l’ho promesso. Lo scoprirai presto…” “No dimmelo!” Lo interruppe Ionut con tono di nuovo irato. “No, ho detto no… Comunque, ho rapito la tua amichetta: Giorgia, se riuscirai a trovarla, ti dirò qual’ è il mio compito, sbrigati, non le farò male… Però sbrigati a trovarla…” Concluse Quell’essere sghignazzando, dopo questo, iniziò a volare, ruppe la parete e Ionut rimase lì, sorpreso, ma non impaurito: doveva salvare la sua amica. Svegliò William e Shisha, si prepararono, misero i vestiti che Erik aveva cucito per loro e partirono in groppa ad un’orca volante. “L’angelo dei serpenti” però aveva lasciato a Ionut un biglietto con scritto:
“Signorino, Ionut:
Non sono, un essere malvagio, non sono vostro nemico: ho un compito molto importante da portare a termine, non posso dirvi ancora di cosa si tratta, ma dovete sapere, che se seguirete le mie istruzioni, succederà qualcosa di veramente utile per voi, sempre se riuscirete a trovare Giorgia. Dovrete viaggiare per tutto il mondo onirico, l’impresa non è certamente facile o breve, ma vi sarà infinitamente utile. Comunque, dovrete visitare:
1-La città delle magie dimenticate;
2-Le cascate della Dea;
3-Il villaggio dei sacrifici magici;
4-Le lande del caos;
5-Il villaggio degli Swam.
Visitate questi posti, trovate le magie dimenticate in ognuno dei luoghi, Ionut, cibati solo di quelle magie: sono delle sfere luminose di diversi colori, trovale, mangiale e una volta che le avrai finite tutte io vi manderò un segnale e vi dirò dove raggiungermi.
Non vedo l’ora che voi mi troviate.
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Ionut e i mondi misteriosi
FantasíaIonut un giovane di bell'aspetto vive con la sua famiglia e altre persone in un abisso desolato dove non c'è praticamente nulla, un giorno durante una passeggiata scopre una cosa che lo porterà a fare un viaggio nei mondi di quell'universo e raccogl...