[ 侘寂 ] : prima parte

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stare con te mi faceva tremendamente bene, la tua allegria contagiava ogni parte del mio essere facendomi sentire vivo. non riuscivo a comprendere però, a cosa fosse dovuto quel sottile velo di malinconia che si poneva fra noi due ogni qual volta non parlavi.

il nostro secondo incontro sembrava non finire mai e a noi piaceva che fosse così. né tu né io osavamo dire una parola riguardo alla fine di quella giornata eppure entrambi sentivamo la pesantezza di quell'argomento sopra le nostre teste e i nostri cuori. ogni volta che stavamo per congedarci, raccattavamo la più balorda delle scuse. " ho visto una fontana e mi è venuta sete, ci fermiamo a bere?" andammo a bere. "uh, guarda! l'orsa maggiore" "dove" "ma , proprio " spostasti il braccio con cui indicavi il cielo in modo tale da farlo combaciare con il mio sguardo. "ma no, non . guarda dove punto il dito" "ma non riesco a vedere con la tua mano davanti, siamo in due prospettive diverse" "ma changbin, è così semplice. l'orsa maggiore!" battesti i piedi per terra e mettesti il broncio, proprio come un bambino. "non riesco a vederla" "va bene, allora stendiamoci su quel prato e aspettiamo finché non la trovi anche tu, io intanto cercherò altre costellazioni." ci stendemmo sul prato. "conosci altre costellazioni?" "mh " dicesti con tono incerto. "mostramele" "ma se non riesci a trovare neanche il grande carro che è una delle costellazioni più visibili!" ti mettesti a ridere.

ricordo il resto di quella notte come un insieme di risate, la tua testa poggiata sul mio petto, canzoni cantate male, le tue dita che giocavano con le mie, riflessi arancio illuminati dalla luce della luna, sospiri profondi, le tue lentiggini che non avevano niente da invidiare alle costellazioni astrali, e frasi confuse che solo alle tre di notte, stesi su un prato bagnato circondati dall'oscurità, avremmo potuto pronunciare attribuendo loro un significato.

solcando i confini della notte con la mia vecchia auto, ti accompagnai a casa dando il benvenuto alle prime luci dell'alba. "ti va di salire a bere qualcosa?" "sono le cinque del mattino" "e allora?" "è meglio che tu vada a dormire, sei stanco e si vede. non mentire a te stesso." "ci vedremo ancora?"

fu in quel preciso momento che mi accorsi della tua infinita e triste bellezza. sì, felix. eri avvenente, l'unico ragazzo che ho mai realmente considerato bello. eppure il tuo aspetto e la tua essenza portavano con sé un'aura di malinconia, oserei dire nostalgia. l'avevi portata con te per tutto il giorno, per tutta la vita, ma io, troppo concentrato sul tuo sorriso, non avevo notato i tuoi occhi.

parte uno

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[ bellezza delle cose imperfette ]

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