❝ Se devi morire
sappi che la tua vita
è stata la parte migliore
della mia.❞Jeon Jungkook
prima
In quella sera fredda e tranquilla Manami ed io eravamo seduti al tavolo della sua stretta cucina, e la sua triste madre si scolava una bottiglia di whisky in salotto, davanti al televisore. Dovevano essere le undici.
Le luci nelle stanze erano tutte spente, e il suo appartamento somigliava sempre più a un'immobile creatura in letargo. Io, in cucina, guardavo le luci della televisione illuminare a scatti il parquet del breve corridoio e le sue pareti. Manami, in piedi davanti ai fornelli, stava versando del latte scaldato in un bicchiere di vetro. Chiese se avessi sete ma non ne avevo, quindi, posando il bicchiere davanti a sé, si mise a sedere sulla sedia a capo della piccola tavola, con una gamba piegata a sopportare quello che poteva chiamarsi il peso del suo corpo. Aveva i capelli raccolti in una coda bassa, la frangia disordinata, e tanti ciuffi lisci le ricadevano sul viso. Stretta in un morbido cardigan azzurrino di forse due taglie più grande, e nella vestaglia bianca, Manami sembrava una piccola orfana di appena tredici anni. Il volto era pallido come le lenzuola bianche ripiegate nel suo armadio, e le mani affusolate e sottili tremavano appena tra la soffice lana.
Non capivo perché continuassimo a stare al buio, in una stanza illuminata solo dalla luce proveniente dal salotto. E non capivo neppure perché questo sembrava non sfiorare nessuna delle due. Ma quella situazione si presentava ai miei occhi abitualmente, a quell'ora della sera, e così come sempre, preferii starmene in silenzio, a osservare la docile figura di Manami mentre beveva a piccoli sorsi il latte caldo, o a guardare fuori dalla finestra della cucina come apparisse il mio appartamento. Sentivo i piedi nelle scarpe di tela duri come blocchi di ghiaccio, e capii che i doppi calzini di cotone scaldano solo quanto basta per non farli staccare dal resto del corpo.
Fuori faceva freddo, dentro pure, e la mamma sul divano era ferma sotto una coperta celeste come un animaletto ferito, guardando lo schermo senza particolare interesse. Gli unici rumori nella stanza erano i respiri caldi di Manami nel bicchiere appannato, il quasi impercettibile ticchettio dell'orologio, e le voci lontane dei programmi televisivi che sembravano giungere da un altro pianeta. Ogni tanto si sentiva qualcuno rientrare nel proprio appartamento sbattendo la porta. I clacson e il brusio della città portuale erano inesistenti, date tutte le finestre sbarrate. Quell'appartamento era una bolla di vetro e qualcuno ne aspirava l'ossigeno. Poi, proprio mentre cominciavo ad annegare, lentamente, in quel genere di stupidi pensieri che nascono nella noia di un silenzio prolungato, uno schianto improvviso squarciò la quiete, riportandomi in superficie.
Manami guardava il pavimento, la mano destra ancora a mezz'aria, il respiro fermo. Il bicchiere si era ridotto in frantumi e le scaglie di vetro erano schizzate ovunque sul parquet. La madre, dall'altra stanza, alzò la testa dal guanciale e le gridò di pulire immediatamente, ma non si mosse dal divano. La scopa aspettava appoggiata in un angolo della cucina.
Manami si alzò dalla sedia senza dire una parola, e si mordeva le labbra, ma ai piedi portava solo dei calzettoni di lana. Mi alzai di scatto anche io e feci per fermarla, ma lei non mi diede ascolto e già aveva iniziato a spazzare, non accorgendosi di star calpestando altri vetri. Non potrò mai scordare i suoi occhi in quella fredda sera, quando le presi la scopa dalle mani e lei alzò il mento per guardarmi. Sgorgavano lacrime silenziose, da quegli occhi tristi e scuri come pozzanghere sull'asfalto. L'abbracciai dolcemente, quasi avessi paura di romperla come aveva fatto lei con quel bicchiere, facendo scontrare il manico di legno contro la sua schiena. Singhiozzava, e io le dissi che reagire così era esagerato, che andava tutto bene. Dopotutto era solo un bicchiere. Eppure lei non sembrava calmarsi, e mi accorsi che da tempo le mie parole avevano sempre meno potere. Non mi restava che stringerla tra le braccia aspettando che smettesse di piangere.
Solo che non smise.
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FRANGIBILI OSSA | j.jk
Fanfiction"Scendeva il diluvio universale e noi non avevamo ombrelli." Bevendo le tristezze delle sette, svuotano calici. Si nutrono di cenere diventando tale. The Official Playlist out now on Spotify.