━ Il triste ballo di chi avanza piangendo

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❝ Quella sera,
le stelle avevano
le tue labbra,
e la luna
il mio cuore. ❞

Jeon Jungkook

prima

Le strade brillavano, in quella sera d'autunno. Busan si era illuminata lentamente al calar del flebile Sole. Le luci al neon dei locali erano accese, così come quelle degli appartamenti che animavano i condomini, spogli e tristi.
Silenzioso, Jungkook se ne stava sul suo balcone, quando ancora, al tempo, non era per lui un'ossessione. Proteso in avanti, guardava quelle luci moltiplicarsi sotto un cielo nero traboccante di astri. I gomiti premevano sulla ringhiera di ferro e la sua sigaretta accesa era consumata per metà.
Indossava un completo nero giacca e pantaloni, di un tessuto liscio e lucido, per niente il suo stile. Sua madre, appoggiata allo stipite, gli aveva stirato la camicia bianca del padre e aveva guardato allo specchio il riflesso del giovane figlio mentre se la infilava.
A lui che si guardava sempre con una smorfia, era rivolto un gentile sorriso.
«Tuo padre sarebbe fiero di vederti così», aveva sussurrato la donna con voce tenera, per poi scomparire toccando con le dita, delicatamente, la porta. Sembrava sempre scappare da qualcosa di invisibile e, nella sua dolcezza, se ne andava sempre.
Adesso, Jungkook imprecava contro il colletto abbottonato che gli arrossava la pelle e anche la cravatta gli stringeva un po' il collo, come se due gracili mani lo stringessero piano e non riuscisse bene a respirare.
Oltre il piccolo terrazzo di Manami, la luce della sua camera era accesa e la sua ombra sottile si spostava da una parte all'altra della stanza. Jungkook sorrise e il fumo uscì piano dal suo naso.
Era la notte del ballo d'autunno e il ragazzo l'aspettava. Era la seconda volta che partecipava a quel ballo organizzato dalla scuola: era qualcosa di insolito ma da tutti apprezzato, specialmente dalle ragazze.
La luce nella camera di Manami si spense e, poco dopo, la ragazza comparve all'uscio di lui, affiancata dalla mamma.
«Jungkookie, andiamo?» chiese la madre.
Il ragazzo aveva lasciato cadere la cicca, si era voltato e aveva visto Manami.
«Si, si, io sono pronto.»
«Bene», sorrise, e, attraversato il misero appartamento, scese le scale per accendere la macchina.
Intanto Jungkook si era avvicinato alla porta, dove aspettava il timido sorriso di Manami. Splendeva come una stella lontana e Jungkook la guardava, sperando che le increspature dei suoi occhi gli stessero promettendo qualcosa di magnifico. Sulle sue palpebre chiare, quella sottile linea nera gli ricordava l'orizzonte, sul mare, un tramonto senza colori. Un po' strano, no?
I capelli corvini erano raccolti in uno chignon alto, la frangetta era stranamente ordinata e cadeva quasi perfetta sulle sue sopracciglia. Portava orecchini d'argento, un lungo vestito rosso cremisi dallo scollo a V, senza alcun ricamo. Cadeva liscio e lucido sul suo corpo magro e nella sua semplicità la rendeva una creatura meravigliosa. Vi era un'unica, piccola spilla argentea, ed era a forma di libellula.
Un rossetto rosso tingeva le sue labbra carnose. Lei sorrise ed era come il primo raggio di Sole che filtra tra le nubi dopo un'intera giornata di pioggia.
«Stai bene vestito così», disse guardandolo negli occhi neri e profondi mille metri. «Le piacerai molto.»
Lui la guardò, con le sopracciglia leggermente tremanti, un po' inarcate. Aveva lo sguardo di un bimbo sul punto di piangere. Negli occhi di lei non vedeva niente, erano solo pupille scure e piatte, senza strati. Cercava qualcosa, ma non trovava molto, e questo lo rendeva nudo e vulnerabile.
Jungkook vedeva in Manami una luce quasi trasparente: era come se lei fosse lì, ma in realtà era da un'altra parte. Quando una stella muore, la sua luce continua a riflettersi per migliaia di anni e parte di ciò che noi vediamo nel cielo è qualcosa di ormai inesistente. Parte di ciò che noi vediamo nel cielo è solamente il passato.

Il ballo si teneva nella palestra della scuola. Quando aprirono le porte ed entrarono, la musica che prima sembrava solo un ricordo lontano, adesso li travolse assieme alla folla.
Arrivarono insieme e si separarono insieme.
Manami sorrise a Taehyung, Jungkook si allontanò con una ragazza dai lunghi capelli.
Rimase sulle tribune, seduto in compagnia di un bicchiere mezzo vuoto. Sbuffò, non servivano nessun tipo di alcool, ed era deprimente. In realtà, lui stesso era deprimente, pensava, ma dare la colpa all'assenza di alcolici era più facile.
Colei che avrebbe dovuto accompagnare a quella stupida festa si era cercata una diversa compagnia. Aveva provato a portarlo a ballare, le si era seduta vicino, poi sulle ginocchia, ma non appena aveva provato a sfiorare il suo collo, avvicinandosi, venne respinta. Era infastidito da tutto, specialmente da quelle mani e da quelle belle unghie tinte di un blu elettrico, cui inizialmente aveva sperato di non poter resistere.
Jungkook beveva a piccoli sorsi dal bicchiere di plastica, guardando due ombre con la schiena alla parete dalla parte opposta. Taehyung non aveva un completo. La camicia bianca era un po' sbottonata, la cravatta inesistente e i pantaloni erano jeans neri. Rigirando tra le dita uno spinello, disse qualcosa alla corvina prima di uscire fuori dalla palestra. Al suo fianco, Manami era un contrasto troppo forte. Pareva una gemma preziosa, un rubino trascurato e tanta polvere sopra.
Si guardava intorno, graziosa e infelice, sospirava e poi guardava a terra. Jungkook la scrutava, stringeva gli occhi, inclinava il volto e sorrideva appena. Era sprecata, in quel modo, pensava abbandonando accanto a sé il bicchiere. Il suo rossetto rosso, le belle ciglia scure, i capelli raccolti, le clavicole sporgenti, la spilla e le luci colorate sulla sua pelle. Tutto, di lei, lo convinceva di esserne innamorato. Quelle mani gracili che si torturavano avrebbe voluto che toccassero i suoi capelli e lo spogliassero di ogni tristezza.
La musica agitata non era la sua cornice, ma improvvisamente cambiò e tutto sembrò rallentare quando annunciarono un lento. The Night We Met risuonava in tutta la stanza.
Dita di rose toccarono le sue spalle, quando lui la prese per mano per portarla al centro della pista. La gente ballava lentamente, si guardava negli occhi. Jungkook era un po' impacciato, ma lei sorrise dolcemente e la sua guancia calda si posò leggera sulla sua spalla. Sentiva il profumo dei suoi capelli, che gli solleticavano il viso, e sfiorava i suoi fianchi magrissimi. Sembrava quasi essersi addormentata, con il sorriso sul volto, ma dondolava assieme a lui. Tutto il resto era uno sfondo. Dev'essere questo, l'Amore, pensava Jungkook.
Ma quello era il triste ballo
di chi avanza piangendo.

Taehyung fumava, e mentre fumava aveva il brutto vizio di appoggiare i piedi verso l'esterno. Le sue scarpe erano consumate lungo i bordi. I lacci neri dei mocassini rovinati, unicamente quella sera indossati, giacevano a terra, abbandonati sul campo da basket della scuola.
Alla larga da quell'ammasso di ragazzi ben vestiti, trucchi pesanti, quell'eccesso di euforia e quella disgustosa sensazione, che tutti avevano, di passeggera felicità illusoria, c'era un ragazzo. Un ragazzo castano, dalla frangia troppo lunga e la bellezza tentatrice del demonio.
Se ne stava appoggiato alla parete della struttura, a fissare quel cielo monocromatico e le pesanti nuvole nere. Coprivano la distesa di stelle, l'unica cosa in cui Taehyung ancora credesse.
Egli riservava cattiveria e menefreghismo, ma conservava ancora gli occhi di un bambino molto piccolo che, semplicemente, aveva visto troppo dolore.
Credeva nella bellezza della volta celeste. Credeva che solo il cielo potesse essere tanto bello, poiché quando tutto sembrava aver perso colore, egli continuava a brillare in uno spazio nero e infinito, buio e freddo. Silenzioso.
Si era allontanato da quel posto, Manami non stava bene con lui vicino. Manami sfigurava, con lui vicino, egli pensava.
Ispirava rumorosamente, tra le labbra lo spinello, come se così facendo potesse anche lui essere risucchiato via. Si sentiva più leggero. Il povero zio alcolizzato nemmeno si sarebbe accorto dell'assenza di così poca erba. Questo era ciò a cui pensava, Kim Taehyung.
Ad aprire, senza farsi scoprire, il cassetto magico dello zio adottivo, pensava Kim Taehyung.
Cominciava a rilassarsi, mentre la musica proveniente dall'interno sembrava lontana, ovattata come fosse stato a qualche chilometro di distanza da una discoteca. Non aveva voglia di fare niente, questo succedeva dopo un uso frequente della sostanza stupefacente.
Sorrise e pensò di andarsene. Quando Manami era accanto a lui, egli si sentiva costantemente osservato. Jungkook li aveva guardati per tutto il tempo, dalla parte opposta della sala, tra il movimento continuo e innumerevoli teste a interrompere il contatto visivo. Lo aveva visto, Taehyung era tutto tranne che uno stupido. Per questo motivo aveva deciso che fosse giunto per lui il momento di andarsene, e senza troppi fastidi.
Di per sé, l'aver invitato una ragazza tanto dolce a quello stupido ballo di fine stagione era stato un errore, se commesso per pura compassione d'animo.
Taehyung si faceva schifo da solo, al pensar ch'avrebbe preferito non scoprire in lui la tenerezza, mentre guardava negli occhi di Manami e si perdeva come un naufrago, in quello spazio tacito, immenso. Un'abissale innocenza,
bontà e sofferenza,
purezza,
speranza.
Da quanto tempo, Taehyung non si era perso in occhi tanto sinceri e fiduciosi? Essi portavano il riflesso della madre, il cui ultimo sguardo risaliva al suo undicesimo compleanno.
Così, camminò gettando a terra il suo vizio consumato in mezzo al campo, e si allontanò tristemente sorridendo. Era sicuro che Manami non sarebbe rimasta sola.

Quella sera, infatti, l'innocenza della ragazza l'abbandonò col suo consenso, col suo triste sorriso, assieme al rosso vestito, sul pavimento.
Jungkook l'abbracciò, infine, sul materassino blu steso in un angolo degli spogliatoi bui della palestra. Potrebbe sembrare squallido, e forse lo era. Ma lei si era sentita così sola e lui così determinato a fare della sua vita lo scopo di farla sentire a casa.
Manami sentì calore, sentì cosa fosse davvero l'Amore. Si era sentita amata, eppure perché,
quando lui le aveva sorriso,
aveva sentito nascere in lei un così opprimente grumo d'aria?

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[The Night We Met nei media.]

versi sciolti

Sinceramente, dopo tanto tempo per pensare, ho creduto di poter tirare fuori qualcosa di migliore, invece di un semplice ritorno a qualche mese prima della morte di Manami.
Scrivendo di questo, ho sentito il bisogno di spiegare Taehyung, come se il personaggio che vive in questa breve storia avesse uno spazio troppo ridotto, troppo stretto per essere, non giustificato, bensì compreso. Per questo vorrei dedicargli un capitolo.
Forse è un po' malato l'attaccamento che sento verso i personaggi che modello all'interno delle mie storie, ma sono sicura che sia così un po' per tutti.
Grazie per essere arrivati a leggere fino a qui.

Elisa

FRANGIBILI OSSA | j.jkDove le storie prendono vita. Scoprilo ora