❝ Fa che le tue dita
sfiorino la mia schiena
come se la pelle fosse
tanto delicata da sgretolarsi
come i petali di
vecchi fiori fragili. ❞Consiglio Ovunque tu sia, nei media, di Ultimo, solo per la curiosità di leggere Jungkook. Siete liberi di farlo e non.
Jeon Jungkook
dopo
Batteva un sole freddo, sui vetri sporchi della finestra aperta della camera. Raggi flebili illuminavano i fogli consunti che Jungkook attaccava, con vecchio scotch, alle pareti della sua stanza. Ora ne danzavano i bordi, le punte sfuggite alla colla del nastro adesivo, e la loro musica era un tranquillo vento di ghiaccio baciato dal sole.
Intonaco spento e schizzi di penna nera erano, ormai da tempo, lo sfondo della sua vita. Erano le sbarre che si era costruito attorno, al solo scopo di rinchiudersi in quella gabbia di incertezze, ed erano la sua più dolce punizione che, al solo sguardo, gli infliggeva dolore.
Ovunque appese, le linee sconnesse di lunghi capelli, neri come corvi, sinonimo dei solchi della rabbia che cresceva raffigurandola. Le dita di un artista distrutto, spezzate, tremavano ricoperte di lacrime, mentre sulle sue labbra, stropicciate dalla carta, appoggiava petali di camelia.
Le deliziose guance erano impresse sulle pagine dalle mani di Schiele come curve confuse, ondeggianti nell'incertezza di lei, che brillava nei suoi ritratti. E non disegnava mai oltre le spalle, perché dai buchi che lasciavano le sue clavicole faceva nascere rampicanti, che sapeva lei amasse più del suo corpo, nonostante fosse a conoscenza del fatto che le edere sopravvivono sopprimendo l'albero.
Gocce di pianto velavano le pupille che spegnevano gli sguardi in tutte le sue abbozzate opere, e moriva nei suoi occhi il caos perfetto di Kandinskij, una parallela versione astratta senza alcun colore.
A metà erano la maggior parte delle sue HB dalle grafite spezzettate e, così come il suo cuore, irreparabili.Cinque in punto. L'orologio sopra la sua testa segnava le cinque in punto. A dargli il buongiorno di prima mattina era sempre la stessa bugia.
Le due sottili lancette nere erano ferme da giorni: aveva impostato l'orario a suo piacimento, illudendosi di poter fermare il tempo. Quella era stata l'ora in cui sentiva, per la prima volta nella giornata, la voce di lei che, dal terrazzo, gli ricordava di sbrigarsi a scendere.
Quante volte, invece, adesso che non c'era, aveva tardato alle lezioni. Quante volte aveva visto il treno chiudere le porte davanti al suo naso e partire lasciandolo solo. Quante erano le volte in cui sperava, guardando l'orologio, di sentirla ancora.
«Jungkook, non metterci troppo. Ti aspetto giù, come sempre.»E ora fermo a fissare il niente, pensava che avrebbe volentieri bruciato tutti i biglietti per il treno delle cinque e un quarto nel cestino in cui appuntava le matite e accartocciava i fazzoletti di sangue. Adesso che quel posto nel vagone era occupato da altre persone, niente aveva più senso. Niente aveva più senso dal momento in cui si era portata via con sé tutto quello che lui considerava averne.
Immobile come le sue lancette, con la schiena dritta e le labbra schiuse, Jungkook dondolava appena la schiena sulla sedia, con gli occhi infossati di chi ha passato molteplici notti in bianco. Guardava, con lo sguardo spento da ubriaco, il lento allungarsi della sua ombra sulla porta, lettere e fiori sparsi sulla sua scrivania. Si sentiva piccolo e sbatteva le ciglia scure, aggrappandosi alla sua bottiglia di alcool come fosse stata il suo più tenero peluche d'infanzia.Quando prese tra le mani il telefono lesse: 5:45.
Venticinque minuti di ritardo. Anche questa volta il treno non l'aveva aspettato e Jungkook si chiedeva se il fantasma di Manami avesse preso il posto anche per lui.
Scusami, pensava, se ti ho lasciata ancora sola.Si alzò a fatica dalla sedia e i piedi ghiacci erano tanto intorpiditi che neppure riusciva a sentire il gelido freddo del pavimento. Guardò il calendario sbilenco, appeso con un chiodo al muro spoglio sopra il comodino accanto al letto. Le pagine dei mesi passati giacevano, ferocemente strappate, a terra, nel disordine scatenato dai suoi improvvisi attacchi di rabbia.
Aprile. Peccato solo che, per il resto del mondo, fossero indietro di ancora tre mesi. Ma Jungkook non viveva più tra il resto del mondo: aveva varcato il cancello nero dall'inizio del dicembre dell'anno precedente, appena un mese prima. Camminava coi talloni su spilli d'argento, e che fosse la metà di gennaio o la fine di aprile cambiava ben poco. Erano pur sempre spilli ed era pur sempre freddo. Se fossero stati vicini alla primavera o nel bel mezzo dell'estate, Jungkook non avrebbe comunque sentito la differenza. Quella stanza era su un altro pianeta: si continuava a morire alle cinque di un aprile da nessuno ancora mai vissuto.Allo specchio guardava uno spettro e pensò che non si era mai visto tanto sciupato.
Le sue labbra un tempo morbide e rosse per i baci, adesso lo erano per gli squarci del freddo e i tremendi morsi di bocche bramose. I lisci capelli neri sul suo viso erano un forte contrasto: una goccia d'inchiostro sulle sue bianche tele strappate. Aveva la pelle pallida e fragile di una statua dall'apparenza di marmo ma plagiata da lacrime. E se solo lei avesse visto le sue scure occhiaie... Jungkook chiuse gli occhi e quasi la sentì sussurrare.
«Guardale con gli occhi di un bambino, Jungkookie. Non credi, forse, che gli sguardi degli adulti ci sciupino già abbastanza?»I fogli appesi fremevano, così come le sue gambe. Corse a chiudere la finestra solo quando vide i primi volteggiare come foglie d'autunno verso il pavimento. Oltre al vetro, allora, vide un'ombra, nell'appartamento di fronte e subito capì perché, in quegli ultimi giorni, il profumo di Manami era meno forte sul suo cuscino.
Ciocche color cioccolato erano strinte tra mani che infliggevano dolore e stringevano manici astratti di coltelli. Al tempo stesso, imploravano pietà nel silenzio, sbattute contro il cemento per un amore sofferto.
Jungkook non credeva di aver mai sentito singhiozzi così forti. Il pianto di Taehyung era un uragano di sofferenza. Dita rotte stringevano con violenza i capelli e l'intero corpo era scosso da spaventosi tremiti. Il solo sentirlo era così straziante da procurare profonde crepe nel petto e fiotti di sangue si riversavano dal cuore di chiunque assistesse al suo dolore.
Non l'aveva mai visto piangere fino a sentirsi male o piegarsi in due per le fitte allo stomaco che lui stesso provava al solo pensiero dei rari sorrisi di miele di Manami, o delle sue lacrime salate che assaggiavano le loro labbra assetate.Con gli occhi gonfi lo vide stendersi sul letto di lei e avvolgere il tremore del suo corpo attorno ad una coperta celeste. E per un istante, solo un breve attimo, l'odio che bruciava al suo interno andò raffreddandosi, mentre vide, per la prima volta, Taehyung con gli occhi di Manami: la parte fragile.
Quello era il loro unico punto in comune.
Essere carnefici e da amanti soffrirne
riducendosi
da uomo
a frangibili ossa.──────────────
versi sciolti
I rari sorrisi di miele di Manami,
le bianche tele strappate di Jungkook,
le dita rotte di Taehyung e i manici dei suoi molteplici coltelli.
Questi tre personaggi possono sembrare apparentemente opposti per alcuni o, forse, molto simili per altri. Qualunque sia il punto di vista, ciò che unisce i loro mignoli con del filo rosso è l'impotenza sul tempo e la fragilità dell'essere, dannatamente, umani.
Il tempo...
Il pianto del rimpianto. Taehyung non può tornare indietro.
Jungkook ferma le lancette del suo orologio ma il mondo scorre lo stesso, senza di lui, come il treno delle cinque e un quarto.
Manami è stata l'unica in grado di fermare il tempo. Ma il prezzo da pagare era troppo alto.Spero lo abbiate apprezzato. Non so di preciso perché, ma questo capitolo lo sento molto vicino al centro di me stessa.
Elisa
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FRANGIBILI OSSA | j.jk
Fanfic"Scendeva il diluvio universale e noi non avevamo ombrelli." Bevendo le tristezze delle sette, svuotano calici. Si nutrono di cenere diventando tale. The Official Playlist out now on Spotify.