━ Pioggia estiva sui pali di corrente

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❝ I pali della corrente illuminano la strada
la mia camera nera in una notte tranquilla.
spendo il tempo
immaginando
in quale sogno apparirai
questa notte. ❞

Jeon Jungkook

dopo

Un lenzuolo di corpi celesti si stendeva sopra le loro teste, avvolte in nuvole grigie di fumo che danzavano, roteando, come piedi di ballerine. Nocche sbriciolate cadevano come polvere assieme alla cenere delle loro sigarette, consumate come pasti. Con i piedi penzoloni, sbattevano le suole delle converse consumate dai passi, guardando la città di notte, con le parole morte in bocca, sul tetto del condominio.
Taehyung aveva preso due cicche dal suo pacchetto di Chesterfield e ne aveva accesa una al ragazzo accanto a lui. Una generosa condivisione di veleno che si attaccava alle loro labbra, contaminate, di fumatori.
Il maggiore vedeva la città. Non la guardava, la vedeva soltanto. Con la schiena ricurva come un girasole in assenza di raggi, le labbra schiuse e pallide sotto le torture dei denti, e la testa stancamente appoggiata su una spalla.
Jungkook osservava le sue mani, che stringevano con forza il cornicione, ma la ragione non era una paura tremenda di cadere.
Taehyung gli faceva bruciare il petto, a causa del fuoco che aveva dentro, con cui avrebbe voluto inghiottirlo.
Era acqua fredda, la sua stanchezza, che si riversava su di lui, alleviando l'incendio. Prosciugato di ogni forza, si limitava a scrutarlo con un velo indecifrabile che scendeva dalle sue palpebre: sembrava star guardando il soffitto spoglio di camera sua, nello stesso stato di finta apatia.

«Perché mai, mi chiedevo, avrebbe dovuto amare te al mio posto?» domandò il minore tagliando il silenzio con una lama affilata, mentre rivolgeva lo sguardo stanco ai palazzi.
Taehyung aveva perso la voce, a forza di gridare, e rispondere fu faticoso quanto inghiottire i fiotti di sangue che scorrevano nella sua gola.
Taehyung gridava contro i muri, i suoi parenti, contro i silenzi delle persone e i vuoti che si formavano dentro di lui come grumi d'aria. Urlava arreso, ai piedi dei bidoni della spazzatura, nei vicoli sotto casa, fino a consumarsi come cenere. Fino a farsi male, a sentire le corde vocali
bruciare
così tanto
da impazzire.

«Un giorno m'ha detto: "Taehyung, vedi... tu ed io siamo diversi. Siamo tanto diversi
eppure viaggiamo
sulla stessa lunghezza d'onda". Ho trovato la risposta alla tua domanda in queste frasi, Jungkook, ma so che non è questo che vorresti sentirti dire.»
L'altro rimase zitto, limitandosi a prendere un'altra boccata di dolce veleno e a contemplare i colori sfocati sotto i lacci sciolti.
Tredici metri, pensava. Se salto ti raggiungo?

«So che vuoi sentirti dire che no, lei non mi amava, perché chi amerebbe mai uno come me? Ma sarebbe solo illusione, la tua. Sarebbe solo una delle tante bugie che ti mangi a colazione, Ragazzo Del Balcone. Perché lei mi amava davvero. Non so come, ma mi amava. Come nessuno aveva mai fatto. E solo adesso me ne rendo conto. Solo adesso. Che è troppo tardi.»
Allora prese, con le punte di pollice e indice, il mozzicone che racchiudeva i suoi vizi e la sua condanna a morte. Lo lasciò penzolare, poi, sospirando aria d'inverno, lo guardò cadere come aveva visto fare a Manami: nel silenzio dell'indifferenza. Adesso ne pagava il prezzo,
per essere stato
solo un bastardo.
E soffriva come un cane, mentre appassiva lento, come un fiore allo sbocciare dell'inverno, e cento lame conficcate nella sua, già spezzata, schiena ricurva.
Jungkook sentiva gli occhi pizzicare, mentre il moro sembrava non smettere più di tossire. Quelle parole risucchiavano la sua anima in un vortice nero, analizzandone il dolore per gradazioni di colore. E improvvisamente si sentì prosciugato, come se sulla pelle portasse il peso dell'angoscia sul volto dell'Urlo di Munch.
Guardò in alto, maledicendo il mondo, mentre l'altro si accendeva erba per soffocare la tristezza nella dimenticanza.
«Jungkook, io non t'ho mai odiato, a differenza tua», riprese a dire il maggiore, aspirando la certezza di perdere un po' di se stesso in quel primo tiro.
«Cosa c'entra, questo, con lei?» sputò l'altro guardando il suo profilo e i suoi zigomi tagliati.
Taehyung si voltò e lo guardò dritto negli occhi. La luce in essi tremava come il riflesso della luna sulle increspature dell'acqua di un ruscello. Proseguì come se la voce spezzata del più piccolo non fosse mai arrivata.
«Non so se per te sarà solo uno strazio più grande o l'unica dolcezza dopo un mese di sofferenza. Ma lei ti ha amato, Jungkook, e penso sia più giusto che tu lo sappia.
Me l'ha detto, sai?, mentre la pregavo di alzarsi dal marciapiede.
Pioveva forte, l'acqua sembrava sciogliere la sua pelle come fosse fatta di cera.
La pregavo di alzarsi, di tornare a casa insieme, che si faceva buio. Che quella pioggia estiva incollava le mie suole all'asfalto e i suoi piedi nudi si ferivano sotto ai sassi; che scendeva il diluvio universale e noi non avevamo ombrelli.»

FRANGIBILI OSSA | j.jkDove le storie prendono vita. Scoprilo ora