❝ Sbocciano rose
sulla mia bocca
cogliendo i tuoi baci.
Allora perché sento sangue
se avevi detto
non ci fossero spine ❞Manami
prima
Manami sedeva al tavolino di legno della misera cucina di casa, da sola. Aveva scaldato il latte appena tiepido e buttato dentro un cucchiaino di miele di troppo, per addolcire il palato che assaggiava troppo spesso il sapore del suo sangue. Come ogni mattina, nel freddo della sua stanza dai termosifoni spenti e le pareti confuse, nel disordine delle stampe di quadri di Monet, si svegliava con l'amaro in bocca a causa dei litigi della sera prima. La divisa spiegazzata ai piedi del letto la infilava così com'era. Le pieghe della gonna sfioravano le cosce pallide e la camicia bianca fasciava il suo petto rimanendo un po' larga.
Raddolciva le sue piene labbra con del burro di cacao al gusto di vaniglia e lo infilava nella tasca del cappotto color cammello. Sistemava quei lunghi capelli neri, dalle sottili punte sciupate che le carezzavano la schiena, con pochi colpi di spazzola, per paura di tardare e perdere l'unico treno delle cinque e un quarto del mattino, a una stazione a pochi metri dal condominio in cui abitava con la madre.
Le occhiaie e il lucido della sua bocca erano riflessi sul vetro del finestrino del treno. I suoi occhi color nocciola non guardavano più, oltre il vetro, con la curiosità della bambina che era un tempo, troppo lontana per ricordarne anche solo una carezza. I lividi sulla sua pelle e i troppi segni di dolori scaricatile addosso la inchiodavano al presente con puntine colorate.
Dalla stazione di Busan più vicina, Manami percorreva sulle rotaie il tragitto di un'ora verso scuola ogni singola mattina.
Ormai guardava fuori con gli occhi assenti, persi sull'asfalto invece che sui cipressi. Le cuffiette bianche le teneva nelle orecchie dal momento in cui varcava la soglia di casa e faceva partire casualmente sempre la stessa playlist, come se quelle canzoni statiche la rassicurassero, troppo a disagio nei cambiamenti. I suoi trasferimenti continui l'avevano abituata sin da piccola alle modifiche, ma non aveva mai smesso di pregare che un giorno avrebbe trovato il suo posto fisso nel mondo. Adesso ce l'aveva: un appartamento vuoto che non avrebbe più cambiato, in una bellissima città portuale dalle luci sempre accese, da quando sua madre aveva esaurito le forze e le ragioni per spostarsi ancora.Su una poltroncina blu della fila accanto alla sua, divisi dal piccolo corridoio del vagone, ricordava il riflesso del ragazzo dai capelli corvini che la osservava, in silenzio, nei primi giorni di scuola di due anni prima. Forse illuso di non essere visto, rimaneva con la testa appoggiata alla finta morbidezza della poltroncina, con gli auricolari neri nelle orecchie, ad ammirare la triste aura che emanava l'esile corpo di Manami, la stessa che la allontanava dagli altri.
Lei se ne stava con la fronte appoggiata al vetro ghiacciato. L'indice che iniziava disegnando faccine ma non tracciava mai la linea delle bocche. E sospirava, come arresa, e lui la guardava, tra il silenzio dell'inverno, o il sole che le illuminava gli occhi, sempre.
Ogni volta che saliva su quel treno, stesso posto, stesse note, Manami ricordava quando, per la prima volta, le si sedette accanto quel ragazzo. Si era scordata gli auricolari e lui le aveva messo tra le mani uno dei suoi. Come se le avesse appena porto un pezzo del suo stesso cuore, le sue mani tremavano appena, come foglie d'argento.
Il treno entrò in una galleria: luce assente, scaglie giallo-arancio dipingevano volti. Sulle labbra petali di peonie e un sorriso gentile; si presentò come il suo vicino di casa, Jeon Jungkook.Era una notte del dicembre più freddo che Manami ricordasse. Una pioggia di cristalli, che da ore tormentava l'asfalto, tormentava anche il suo sonno.
"Ti prego, parlami." lesse in un sussurro l'ultimo dei messaggi che la teneva sveglia.
Dalla sua bocca sfuggì un lento e freddo sospiro, debole come il vento di settembre. Girandosi nel letto che pian piano si scaldava sotto il suo corpo esile, digitò la risposta tra singhiozzi trattenuti a stento e la pelle calda che precedeva l'arrivo di una febbre.
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FRANGIBILI OSSA | j.jk
Fanfic"Scendeva il diluvio universale e noi non avevamo ombrelli." Bevendo le tristezze delle sette, svuotano calici. Si nutrono di cenere diventando tale. The Official Playlist out now on Spotify.