Stelle sanguinanti.

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2. STELLE SANGUINANTI.


-Non c'è fuoco né gelo tale da sfidare ciò che un uomo può accumulare nel proprio cuore.-
(Scott Fitzgerald)


La domenica era il giorno che Aranel più detestava perché doveva restarsene a casa senza far nulla. Aveva da poco terminato l’articolo che sarebbe uscito l’indomani e si accingeva a prepararsi un’altra tazza di the verde. Faceva caldo, le porte della terrazza erano spalancate e il soggiorno era invaso dal sole. Le venne in mente l’ultima estate passata insieme a Scott e Stiles al campo estivo in mezzo al bosco, allora era una sedicenne piena di rabbia e delusione per quello che stava capitando alla sua famiglia. Lasciare Beacon Hills era stata la scelta più saggia che lei e sua madre potessero fare perché, nonostante agli inizi ambientarsi fosse stato difficile, alla fine si erano costruite una nuova vita come desideravano.
“Esiste un tasto per spegnerti?”
Theo si avvicinò a lei massaggiandosi il collo, aveva i capelli in disordine e gli occhi ancora assonnati.
“Sono le undici, a dire il vero. Vuol dire che finalmente sei riuscito a dormire.”
Era vero, aveva dormito senza essere scosso dai soliti incubi, sereno come un bambino. Si sedette presso l’isola della cucina e accettò volentieri la tazza di caffè che lei gli aveva dato.
“Beh, direi che salvare vite mi stanca.“
Aranel rise mentre controllava che le lasagne fossero pronte. Avevano invitato tutto il gruppo a pranzo per discutere dell’attacco dei pettirossi avvenuto il venerdì notte.
“Comunque io ho già cucinato, perciò tocca a te apparecchiare la tavola. Tra un’ora si pranza.”
“Non posso tornarmene a letto ed evitare questo pranzo? Ti prego!”
“Non fare il bambino, Raeken, e vatti a vestire.”
“Sissignora!”
Theo le baciò la guancia e andò a farsi una doccia fredda nella speranza di svegliarsi del tutto.


Zakhar ispezionò la posta, che in quel palazzo arrivava anche di domenica, e selezionò quella indirizzata ad Aranel e a Theo. Prima di rientrare, si volse a guardare il cielo azzurro e luminoso. Era una giornata di sole, di quel genere che sua moglie Sasha avrebbe adorato. Era una donna gentile e premurosa, lo aveva sposato malgrado lui fosse una spia russa ed erano stati felici fino a quando una maledetta notte cadde, spaccandosi la schiena al suolo. Lui aveva appeso la fede al collo e almeno una volta giorno la baciava come a salutare la sua Sasha. La particolare carta di una delle lettere che aveva recapitato lo incuriosì: era una busta color oro per Aranel. Prese l’ascensore e salì all’attico, dove avrebbe pranzato con gli altri per uno strano avvenimento a cui lui non aveva assistito. Fu Aranel ad aprirgli la porta, radiosa in un semplice vestito di cotone grigio, e gli regalò un sorriso cordiale.
“Vieni, entra pure. Theo è in terrazza per apparecchiare.“
Infatti, intravide il suo amico sistemare le posate su una tovaglia verde acqua.
“Queste sono per voi.”
La ragazza rapidamente passò in rassegna la posta e sollevò le sopracciglia quando riconobbe una lettera dorata su cui erano incise due iniziali: C&T, ossia Chantal Thompson, sua nonna. Strappò la carta e lesse subito il cartoncino al suo interno: Madame Thompson è lieta di invitarvi  questa seta nella sua dimora per il party a tema ‘Il Grande Gatsby’ . Ore 21.00. Si raccomandano un vestiario ispirato al libro e la puntualità. Saluti, Chantal Thompson.
“Oh, no. Riconosco quella lettera e già ti dico di no!” le lamentele di Theo sopraggiunsero scontate come sempre. Lui e Chantal si odiavano, litigavano ogni qualvolta si trovassero nella stessa stanza e uno sparlava dell’altro. Il loro astio era causato dal disprezzo che l’anziana donna provava per lui dopo che Aranel aveva deciso di sposare uno squattrinato. Era una donna elitaria e selettiva, voleva che la sua unica nipote sposasse un uomo del loro calibro e non uno di periferia.
“Theo, per favore, non fare così. Questa volta ha organizzato una festa ispirata al ‘Grande Gatsby’ e non possiamo rifiutare.”
“Tu sei libera di andarci ma io non ne ho la minima intenzione. Tua nonna è insopportabile, io la odio e non voglio vederla.”
“Allora esiste una persona peggiore di te!”
Roxy entrò in salotto dalla terrazza, che aveva raggiunto arrampicandosi di balcone in balcone, e salutò tutti con un cenno del capo. Aranel scosse la testa, la giornata stava andando a rotoli e non era neanche iniziata.
“Andiamo a berci un drink, Roxy.” Disse Theo, prese il portafogli e il cellulare e uscì di casa. Aranel lo rincorse nel corridoio con la rabbia che le bruciava dentro.
“Dove credi di andare? Tra poco i nostri amici saranno qui per il pranzo!”
“Quelli sono i tuoi amici, tesoro.”
Senza dire altro, Theo e Roxy lasciarono il palazzo. Zakhar le toccò la spalla per consolarla ma lei si era già rassegnata.
“Torniamo dentro, dai. Ti aiuto io.”


“Questa torta è deliziosa!” si complimentò Liam mentre faceva il bis del dolce.
“Ti ringrazio, Liam.” Disse la padrona di casa con un sorriso. Il pranzo era giunto al termine e Theo non era ancora tornato e né aveva dato sue notizie. Roxy non andava bene per lui, la loro amicizia stava diventando tossica ma Aranel non sapeva come dividerli.
“Tutto bene?” le mormorò Nadia, il tono dolce come sempre.
“Sono preoccupata per Theo. Forse ci siamo sposati troppo in fretta, forse non era ancora pronto per un impegno tale e adesso si sente intrappolato.”
“Non si tratta di questo. Theo stravede per te. Io credo che ci sia dell’altro sotto.”
“Io provo a richiamarlo.”
Si chiuse in bagno e lo chiamò per l’ennesima volta, però rispose ancora la segreteria telefonica. Decise allora di lasciargli un messaggio: sono ancora io. Sono davvero preoccupata, non so dove ti trovi e come stai. Torna a casa e discutiamone insieme, per favore. Theo, io … Torna. Torna, ti prego.
Tornò dagli altri come se nulla fosse, si sedette e bevve altro caffè.
“Quindi uno stormo di pettirossi ha assediato il Le Bain?” domandò Zakhar con incredulità mista a curiosità.
“Sì, quelle bestiacce mi hanno rovinato il compleanno.” Commentò Mason. Liam finì di ingozzarsi di torta e si rese partecipe del discorso.
“Secondo voi dovremmo preoccuparci?”
“L’habitat tipico del pettirosso sono i boschi di conifere, ma anche siepi e giardini, e inoltre non si spingono oltre le Azzorre. E’ un uccello che difende sempre il proprio territorio mettendo in mostra il petto rosso per spaventare gli intrusi. Perciò non capisco come siano arrivati in grande massa a New York e cosa avessero intenzione di fare.” Spiegò Nadia che, in qualità di emissario, era tenuta a fornire informazioni circa il regno animale e vegetale. Corey stava smanettando al cellulare e scorreva la schermata del calendario.
“Ragazzi, manca una settimana alla luna piena. Forse è per questo che i pettirossi hanno attaccato.”
“E come spieghi il loro arrivo in massa a New York? La luna piena può influenzare davvero a tal punto?” chiese Zakhar, beatamente stravaccato su una sdraio a bordo piscina.
“E se ci fosse dell’altro? Intendo qualcosa di pericoloso che si nasconde dell’ombra.” Fece Aranel con nonchalance, come se parlasse di smalto e trucco. Liam le riservò uno sguardo complice, avevano avuto la stessa spiacevole idea. Anche gli altri sembrarono pensarci su e d’improvviso quell’eventualità stava trasformandosi in concretezza.
“Calmiamoci tutti. Non ci sono altri indizi ad indicare che stia per accadere qualcosa di terribile. Non ci fasciamo la testa prima di cadere. L’arrivo dei pettirossi ha certamente a che fare con il sovrannaturale perché erano in troppi e troppo lontani dal loro habitat, però ciò non prelude qualcosa di pericoloso per forza.” Disse Mason, forse l’unico che cercava la razionalità in quell’evento. Nadia convenne con lui che era necessario non arrivare a conclusione affrettate.
"D’accordo. Prendiamoci del tempo per capire meglio.”


Theo trangugiò quello che doveva essere almeno il decimo Margarita al limone. Erano le quattro del pomeriggio e il bar stava cominciando a riempirsi per il cocktail post pranzo. Accanto a lui, Roxy si stava scolando l’ennesima bottiglia di birra.
“Quella tipa non smette di guardarmi. Devo essere proprio un bocconcino.” Esordì la ragazza, poi iniziò a mangiucchiare le noccioline.
“Va a parlarci.” Le suggerì Theo con un ghigno. Roxy la colse come una sfida e si diresse al tavolo della bionda che guardava nella loro direzione. Lui le vide chiacchierare amichevolmente mentre brindavano e l’attimo dopo entrambe tornarono al loro tavolo.
“Theo, lei è Jennifer. Vuole conoscerti, ecco perché guardava qui. Bene, io andrò a prendermi altro da bere. Fate i bravi!”
La ragazza si sedette timidamente accanto a lui e si spostò una ciocca di capelli dal viso con estremo imbarazzo. Era bella senza dubbio, lunghi capelli color grano e occhi azzurri, e un abbigliamento che metteva tutto in mostra.
“Roxy mi ha detto che ti senti solo e hai bisogno di compagnia.” Disse lei, e la sua voce era dolce anche più dei suoi grandi occhi. A Theo ricordò la sera in cui aveva conosciuto Aranel in quel bar isolato alle dieci di sera e gli salì il cuore in gola.
“Sei carina, Jennifer, e lo dico davvero. Il fatto è che Roxy ha mentito. Io sono sposato e mia moglie è l’unica donna a cui concedo di farmi compagnia.”
“Beh, tua moglie è fortunata ad avere un uomo che ha occhi solo per lei.”
“Il problema è che non glielo dimostro mai.”
“Allora dovresti farlo, adesso.”


Aranel sbuffò per colpa di quel maledetto ombretto che sembrava proprio non volersi stendere sulla palpebra. Fece cadere il pennello sul bordo del lavandino ed emise un sospiro frustrato. Mancava un’ora al party, già aveva indossato il vestito e le scarpe, e stava terminando il trucco, o almeno era quello che tentava di fare da venti minuti. Theo non si era fatto sentire e non era ancora tornato, perciò la sua delusione per quel comportamento immotivato stava rovinando il suo umore. Non capiva perché si fosse chiuso in se stesso più di prima, perché fosse costantemente nervoso e brusco, ma sapeva che l’anniversario della morte di Tara era solo una scusa. Per quanto lui si pentisse di quella morte, al tempo stesso non se ne curava più di tanto poiché si era rassegnato all’idea che la colpa non poteva essere di un bambino di nove anni. C’era qualcosa in lui che non la rassicurava, sembrava che un demone lo stesse divorando dall’interno e lui si lasciasse fagocitare senza opporsi. Negli ultimi due anni era migliorato, si confidava di più e la rendeva partecipe dei suoi pensieri, ma era cambiato tutto da quando avevano iniziato a organizzare il matrimonio. Forse non era pronto, forse era un impegno che non era disposto a prendere, oppure si era semplicemente accorto di non amarla più. Theo era un ragazzo dalla bellezza prorompente, era sfacciato e intelligente, aveva il fascino del ‘’bello e dannato’’  e questo lo rendeva un bersaglio per tutte le donne. Scrollò la testa e si decise a sbrigarsi, non poteva tardare. Finì di truccarsi, si sistemò i capelli in una treccia  alla francese e indossò gli orecchini. Il vestito richiamava in modo marcato la moda dei ‘ruggenti anni ‘20’ del ‘900: lungo sino al ginocchio, terminava in numerose frange, e i colori del nero e del bordeaux si fondevano alla perfezione. Sulla testa si pose il diadema munito di piuma, tipico di quegli anni, e si spruzzò poche gocce di profumo. Quando uscì dalla camera da letto, si morse la lingua per non urlare. Theo se ne stava seduto al bancone della cucina con un calice in mano e la bottiglia di vino rosso a pochi centimetri.
“Sei impazzito? Mi hai fatta spaventare!”
“Hai paura di me?”
Il suo tono di voce apparve atono e intriso di veleno, come se una sola parola potesse ferire come un cobra. Aranel non aveva la forza di affrontarlo in quelle condizioni e si incamminò verso la porta con i tacchi che picchiavano sul pavimento simili a proiettili. Lui, però, fu più veloce e chiuse la porta a chiave.
“Che stai facendo?”
“Hai paura, Aranel?”
Aranel di istinto indietreggiò ma continuò a guardarlo dritto negli occhi perché, se lui aveva voglia di giocare al gatto e al topo, lei non sarebbe stata la vittima.
“E tu hai paura, Theo?”
“Di te? Da morire.”
Adesso lui aveva la schiena contro la porta e lei gli stava a qualche spanna di distanza, due animali pronti ad attaccarsi.
“Perché hai paura di me?”
“Perché sei spaventosamente luminosa e si sa che il buio soffoca la luce.”
“E la luce rischiara il buio.”
Gli occhi lucidi di Theo erano il chiaro segno che fosse brillo e che di conseguenza per la mente gli passasse di tutto.
“Non è così facile.”
“Scusami, ma adesso non ho tempo da perdere con le tue idiozie da ubriaco. Devo partecipare ad una festa.”
“Lo sai che i lupi non possono davvero ubriacarsi.“
“Bene, allora non ho tempo da perdere con le tue idiozie da lupo lucido. Spostati.”
“Adesso fai la dura, perché?”
Aranel incrociò le braccia e sospirò, era davvero esausta di quella situazione.
“Perché fino ad ora sono stata troppo buona. Sono stanca di dover essere quella che capisce tutti, quella che deve perdonare e amare senza condizioni. Non ne posso più. Sono una persona anche io, con i miei problemi e le mie brutte giornate, eppure nessuno sembra capirlo. Tu più di tutti mi stai ignorando negli ultimi tempi. So che mi nascondi qualcosa, te lo leggo in faccia, e so anche che non me lo dici perché ti terrorizza la mia reazione. Ho lottato per te, Theo. Ti ho difeso dalle accuse del branco, ti ho difeso dalla giustizia e da te stesso, ti ho amato e ti amo come il primo giorno, però a tutto c’è un limite oltre il quale ho deciso di non andare. Se ami un’altra donna, io lo accetterò e ti lascerò andare perché logorarsi in questo modo non fa più per me.”
Theo in un attimo vide il suo mondo crollare sotto le macerie delle bugie che aveva detto. Nella vita aveva perso già tutto e non avrebbe perso l’unica persona che amava. La soluzione era dire la verità, per quanto atroce potesse essere.
“Io sogno la notte in cui mia sorella è morta, poi sogno lei che mi rincorre e mi strappa il cuore, e i sogni continuano in loop fino a quando non mi sveglio. Non dormo bene da mesi ormai e questo mi rende irascibile. La cosa peggiore è che ho paura di fare del male anche a te come l’ho fatto a Tara, ho paura di ucciderti senza rimorsi ed esitazioni. E’ difficile starti vicino perché temo di ferirti quando entrambi meno ce lo aspettiamo. Sono uno che mantiene sempre il controllo sulle emozioni, ma ultimamente non ci riesco, mi sento scombussolato e disorientato. Ho la sensazione che stia per accadere qualcosa di brutto e tutto questo mi sta allarmando. Ti amo troppo per perderti.”
Aranel in cuor suo sorriso perché finalmente il marciume era venuto a galla e adesso potevano risolvere la questione. Gli accarezzò la guancia delicatamente, quasi potesse frantumarsi a momenti.
“Tu non mi farai mai del male, e non perché mi ami, ma perché sei cambiato. Sai cosa è giusto e sbagliato, riesci a scegliere come agire e sono certa che prenderai le decisioni giuste. Capisco che la morte di tua sorella per te sia stato l’inizio dell’inferno, però è importante che tu capisca che ormai è tutto finito. Si tratta solo di un incubo, un po’ come quelli che fanno i bambini e che le mamme riescono a mitigare. Parlarne aiuta ad alleggerire il peso. Io non so se la tua sensazione derivi dai sogni oppure da un timore reale, ma posso assicurarti che lo capiremo insieme, se vorrai.”
Il citofono interruppe quell’atmosfera di confidenze e timori. Era l’autista che sua nonna le aveva messo a disposizione per raggiungere la festa.
“Devi andare.” Si limitò a dirle Theo, poi si sottrasse al suo tocco e si allontanò. Aranel fece un mezzo sorriso, uno di quelli causati dall’amarezza.
“Non sono disposta a starti dietro ancora per molto. Vieni alla festa e per noi ci sarà un’altra possibilità, altrimenti è finita.”
Due minuti dopo Aranel lasciò il palazzo da sola e con gli occhi umidi.


Park Avenue era uno dei più lussuosi quartieri di New York. Popolato dalle famiglie più ricche della città, si presentava come un agglomerato di ville sfarzose e auto sportive molto costose. La macchina parcheggiò nel vialetto e le venne aperto lo sportello, così Aranel si fece coraggio e scese. La stradina che portava dall’ingresso alla villa di sua nonna era decorato da piume bianche e lucine azzurre. Il meraviglioso giardino ospitava numerose fontane entro cui l’acqua zampillava fresca e a suon di musica quasi. Sulla soglia mostrò l’invito agli addetti e oltrepassò la corda rossa per entrare. L’ampio salone che accoglieva la festa era la perfetta imitazione del ‘Grande Gatsby’, lusso, musica jazz e champagne rendevano l’aria squisitamente magica. Sembrava di trovarsi davvero nel 1922. Alcune coppie già ballavano, altre bevevano e altre ancora chiacchieravano in allegria.
“Aranel!”
Chantal Thompson camminava verso di lei con indosso un abito bianco di pizzo e frange, due grandi perle ai lobi e il suo immancabile rossetto fucsia. Si abbracciarono, e Aranel poté annusare la lacca alla fragola che fissava i capelli bianchi della nonna.
“Nonna, è un vero piacere incontrarti. Questa festa è proprio nel tuo stile, appariscente ed esuberante!”
“Oh, cara, lo sai che le cose normali non fanno per me! E tu sei bellissima con questo abito, le signore qui presenti già ti invidiano!”
“Mai quanto invidiano te, la regina dei salotti!”
“Attenta a non rimpolpare troppo il mio ego già smisurato! Comunque, dov’è il tuo accompagnatore?”
Chantal diede un’occhiata alle sue spalle per verificare la presenza o meno di suo marito. Aranel deglutì, non si era preparata per quel momento.
“Theo è …”
“Sono qui. Perdona il ritardo, stellina, ma sono stato trattenuto da Liam. Madame Thompson, che piacere!”
Theo le strinse il fianco e le sorrise, sereno e contento. Indossava un semplice completo grigio, la camicia sbottonata di poco e le bretelle rosse. L’anziana donna non era affatto felice di quella visita, sorrise forzatamente e gli strinse la mano controvoglia.
“Adesso vi lascio per salutare gli altri ospiti. Ci rivediamo al tavolo rotondo.”
Non appena si fu scostata da loro, Aranel impugnò la giacca di Theo e lo trascinò nel corridoio silenzioso che conduceva al piano di sopra.
“Che diamine ci fai qui?”
“Sono qui per un’altra possibilità. Te l’ho detto, insieme possiamo funzionare ovunque.”
“Va bene, ma non sarà così facile. Abbiamo dei problemi di coppia da risolvere.”
Quando lei si avviò verso la sala, Theo la spinse dolcemente contro il muro e la baciò con estrema passione. Aranel cedette, gli circondò il collo con le braccia e approfondì il bacio.
“Tu e nessun’altra. Esisti solo tu, Aranel.”
Lei annuì e gli baciò di nuovo la bocca, questa volta consapevole che le cose sarebbero andate meglio.


“Che cosa sta succedendo laggiù?” Aranel guardò il punto che Theo le stava indicando e ridacchiò, poi bevve in un colpo solo lo champagne nel flute. Si erano appartati in giardino, intorno ad un tavolino spoglio e nei pressi delle aiuole tempestate di rose bianche.
“Si tratta del tavolo rotondo, ossia il tavolo in legno di acero che appartiene alla nostra famiglia da almeno duecento anni. Ogni volta che mia nonna dà una festa a metà serata invita tutti a quel tavolo per discutere di arte, letteratura e gossip. Lei è famosa per essere la regina dei salotti, e come puoi ben notare la gente ricca e popolare di New York la ama per questo.”
“Tua zia e tua mamma non sono come lei. Perché?”
“Perché loro sono cresciute perlopiù con mio nonno, che proveniva da una famiglia di contadini semplici e devoti alla vita essenziale. Mia nonna era follemente innamorata di sé stessa e della propria carriera anche a discapito della famiglia.”
Theo intuì una nota dolente in quell’ultima frase. Sua moglie giocava con le frange del vestito ed evitava di alzare lo sguardo, come se si sentisse colpevole di qualcosa.
“Temi di diventare come lei?”
“Ossessionata dalla carriera, intendi? Sì, lo temo. Non ti nascondo che lei è un modello di indipendenza per me, però è anche un monito a non dimenticare che c’è altro oltre al lavoro.”
“Questo timore ha a che fare con quanto successo a Vernazza?”
Gli occhi di Aranel saettarono su di lui all’istante, era bello con la luce che gli illuminava il volto e quel completo raffinato, ma era anche arrabbiato e tanto ferito.
“No, Theo, quella faccenda non ha nulla a che fare con questo timore. Quello che è successo è nato a Vernazza e lì è sepolto. Basta parlarne. Non è colpa di nessuno.”
Il maggiordomo picchettò l’indice sulla sua spalla per farla girare.
“Perdonate l’interruzione ma Madame Thompson richiede la vostra presenza al tavolo.”
“Grazie, le dica che arriviamo.”
Theo le porse la mano per aiutarla ad alzarsi e la prese a braccetto.
“Andiamo a sfidare la nonnina.”


Chantal Thompson aveva appena riunito tutti i suoi invitati nell’ampio salone e solo pochi eletti avevano ricevuto l’onore di sedersi al suo tavolo rotondo. Tra questi figuravano anche Theo e Aranel.
“Amici e amiche, questa sera al tavolo abbiamo la fortuna di ospitare due persone, a mio dire, straordinarie. Due persone che negli ultimi anni hanno rivoluzionato il mercato immobiliare e l’editoria, due persone che io sono fiera di avere qui stasera e di poter condividere con voi. Saluto Octavius e Savannah Wagner!”
Aranel e Theo si scambiarono un’occhiata sbalordita e accigliata al tempo stesso. Octavius, in un fine completo nero gessato, e Savannah, ammaliante nel suo abito blu ricoperto di frange, salutarono Chantal e presero posto accanto a lei. Fu istintivo per Aranel stringere la mano di Theo sotto il tavolo per cercare conforto, al che lui avvicinò la sedia attaccandola alla sua.
“Sta tranquilla, stellina.” Le sussurrò all’orecchio, poi incastrò le dita a quelle di lei in una morsa di sostegno e coraggio.
“Che il tavolo rotondo abbia inizio!” annunciò il maggiordomo con un inchino, scampanellò una vecchia campanella argentata e lasciò la stanza. Chantal era colei che poneva le domande ai giocatori e che assegnava i punti, alla fine il vincitore si sarebbe aggiudicato una bottiglia di vino rosso del 1922 (anno di ambientazione del Grande Gatsby).
“Giocatori, la prima domanda è: quale opera di Picasso può essere associata all’immagine di un salice?”
“Potresti essere più chiara?” domandò la signora Preston, una dei partecipanti. Chantal scosse la testa e fece di no con il dito. Nessun altro chiarimento.
“Donna che piange!” disse Aranel dopo aver scovato nella sua mente le notizie relative a quel quadro. Sua nonna sorrise compiaciuta e segnò una ‘x’ accanto al suo nome. Da lì in poi fu un susseguirsi di domande e risposte, di errori, di risate, di frustrazione, di punti assegnati e persi, di competizione e smania di vincere. Alla fine del gioco a contendersi la vittoria furono Octavius e Aranel. Chantal si accinse a proporre l’ultima domanda che avrebbe aggiudicato la vittoria a uno dei due.
“Ventesima domanda: quale animale ha i cinque sensi sviluppati ed è innamorato della luna?”
“Lupo!”
“Lupo!”
Esclamarono all’unisono i due concorrenti e nella sala calò il silenzio. La padrona di casa non fu affatto imbarazzata, anzi sorrise e sollevò il calice.
“Per la prima volta nella storia del tavolo rotondo la vittoria va a entrambi. Octavius e Aranel, avete vinto.”
“Grazie, Madame Thompson.” Octavius le baciò la mano e brindò con lei. Aranel, dal canto suo, decise di rimanere fedele al gioco.
“Rifiuto l’offerta. Non condivido la vittoria, preferisco perdere. Signor Wagner, lei è il vincitore.”
“Almeno mi dia l’opportunità di offrirle un goccio di quel vino, la prego.”
“Ma certo! Unisciti a noi, tesoro!”
Sua nonna la obbligò ad accettare e tutti e tre andarono in cucina per sorseggiare quella bottiglia insieme.
Dall’altra parte della villa, in riva al ruscello, Theo se ne stava placidamente seduto sull’erba a fissare la luna riflessa sulla superficie dell’acqua.
“L’animale innamorato della luna.” Esordì qualcuno alle sue spalle, una voce che conosceva bene perché da qualche giorno l’ascoltava tutti i giorni. Era Savannah.
“Come hai detto, scusa?”
“Ripetevo il tema centrale dell’ultima domanda. Octavius sarà furioso, odia quando qualcuno gli cede la vittoria con tanta facilità. Miseria, è un uomo talmente ambizioso da causarmi i conati di vomito!”
La donna si tolse le scarpe e immerse i piedi nell’acqua fredda del ruscello, guardava verso la luna mentre girava su se stessa.
“Aranel è altrettanto ambiziosa, e questo è uno dei tanti aspetti che mi incanta di lei.”
“Sei davvero ridicolo, Theo.”
La risata gracchiante di Savannah lo irritò più di suo marito che beveva con Aranel.
“Perché?”
“Perché ti sforzi di amare Aranel. Inventi di amarla perché è l’unica persona che ti ha offerto un posto nella propria vita. Lo capisco, anche io credevo di amare Octavius per poi capire solo in seguito che amavo la sensazione che qualcuno si preoccupasse di me. Il mondo di quella ragazza non fa per te, troppo opprimente e buonista per uno come te.”
“Uno come me?”
Savannah si sedette sul basso fondo del ruscello permettendo all’acqua di bagnarle l’abito e i capelli. Puntò gli occhi a mandorla su di lui e sembrava che gli stesse trivellando l’anima.
“Tu sei selvaggio, libero, spietato, e perverso. Lei è troppo innocente per un animale affamato come te. La tua fame reclama un pasto appagante che Aranel non può concederti.”
Questa volta fu il turno di Theo di scoppiare a ridere. Si mise in piedi e camminò avanti e indietro con gli occhi rivolti alla luna.
“E tu potresti appagare la mia fame?”
Savannah lo raggiunse, grondante d’acqua, e gli tracciò il contorno delle labbra con il pollice.
“Ovviamente.”
“Io ho capito il vostro gioco, sai. Tu e Octavius andate a caccia di coppie da coinvolgere nella vostra relazione aperta. Beh, mi dispiace per voi, ma io e Aranel siamo felicemente sposati.”
Savannah assunse una smorfia di fastidio e tentò di trattenerlo, però lui stava già tornando verso la villa.
“Theo!”
“Lasciami in pace. Anzi, lasciate in pace il nostro matrimonio oppure ci saranno gravi conseguenze!”


Aranel ingoiò quel vino acido a fatica e subito ingurgitò un dolcetto per deliziare il palato. Sua nonna e Octavius da circa dieci minuti chiacchieravano delle sventure finanziare di un loro comune amico, mentre lei si guardava attorno passando in rassegna l’arredamento della cucina.
“Tu che ne pensi del povero Albert, cara?”
Chantal le diede un pizzico al braccio per farla tornare alla realtà.
“Ehm, io credo che i problemi di Albert sia solo un affare di Albert.”
Octavius ridacchiò per l’espressione furibonda di Chantal per la risposta della nipote. Erano simili quelle donne, eleganti, testarde e con la lingua tagliente.
“E’ davvero bello rivederti, Aranel.”
Aranel fu colta di sorpresa, non pensava che lui potesse tirare fuori quella cena avvenuta a Vernazza. Come da copione, sua nonna rincarò la dose.
“Voi vi conoscete già?”
“Oltre ad essere il presidente del premio Pulitzer, Octavius e sua moglie hanno cenato con noi a Vernazza durante il viaggio di nozze.”
“Oh, cara, non ricordarmi l’uomo che hai deciso di sposare!”
“Ma come? Non le piace Theo?” Octavius sembrò vagamente divertito da quello screzio tra nonna e nipote. Chantal alzò gli occhi al cielo e sospirò.
“Quel ragazzo non è all’altezza di mia nipote. E’ un teppista e un perdigiorno, mentre io voglio solo il meglio per la mia dolce Aranel. Mi rifiuto di pensare a loro come ad una coppia sposata!”
“Okay, nonna, adesso basta! Abbiamo già affrontato questo discorso e ti ho ribadito più volte che Theo è mio marito, che lo amo e che la tua opinione non conta. Adesso scusatemi, ma questo vino all’improvviso mi sta andando di traverso.”
Aranel in fretta prese le distanze da loro per andare a cercare Theo. Chantal si versò altro vino e lo buttò giù in un solo fiato.
“Quella ragazza è davvero irremovibile.”
“Chantal, ti ricordo che io e te abbiamo un accordo. Io finanzio la tua vita agiata e tu mi dai Aranel. Non deludermi.”
Octavius ordinò al cameriere di incartargli il vino e poi tornò a conversare con gli altri invitati.


“Una principessa non dovrebbe fumare, il galateo lo impedisce.”
Aranel aspirò ancora la sigaretta senza voltarsi, si limitò a ghignare.
“Allora non sono una principessa. Roxy ne rimarrà dispiaciuta.”
“Perché fumi? Scommetto che è successo qualcosa di spiacevole mentre festeggiavi la mancata vittoria.” Disse Theo, poggiandosi di schiena al parapetto del balcone.
“Mia nonna ha parlato male di te davanti a Octavius, io mi sono arrabbiata e sono andata via. Questo posto non fa per noi, c’è troppa cattiveria che serpeggia fra le mura.”
“Di solito è il cavaliere che difende la donzella in pericolo, ma tu sembri capovolgere sempre tutto. Comunque, devo parlarti di Octavius e Savannah.”
Aranel gettò via il mozzicone e incrociò le braccia in posizione di ascolto.
“Dimmi pure.”
“Credo che quei due a Vernazza ci abbiano adocchiato di proposito. Savannah poco fa mi ha proposto di andare a letto con lei perché tu non sei capace di offrire un pasto appagante alla mia fame selvaggia.”
“Scusa? Ti ha proposto di tradirmi?"
Theo la bloccò prima che tornasse alla villa e la tenne stretta per non farla scappare.
“Sta calma, Aranel. Il problema sono loro due come coppia. Qualcosa mi dice che ci vogliano includere nella loro relazione aperta sin da quando abbiamo conosciuto Savannah in quel bar. Non è un caso che lei sia il mio nuovo capo e che lui sia il presidente del premio per cui sei candidata.”
“Si sarebbero addirittura trasferiti da Londra a New York per farci seguire la loro perversa teoria?”
“La gente fa cose ben peggiori, ricordatelo.”
“E se l’attacco dei pettirossi fosse collegato al loro arrivo? A questo punto tutto è plausibile.”
Aranel non aveva tutti i torti, da quando quei due avevano messo piede in città le cose sembravano diverse in senso negativo. Theo si passò una mano tra i capelli, qualcosa si stava muovendo nell’ombra e attendeva con ansia di liberarsi.
“La domanda che dobbiamo porci è: chi sono Octavius e Savannah? Dobbiamo acquisire informazioni su di loro mentre gli altri continuano a indagare sull’attacco dei pettirossi.”
“L’unico strumento che abbiamo per sapere tutto di loro è Roxy.”
“Sono d’accordo con te.”
Aranel lo afferrò per le bretelle e accostò le loro in bocche in modo che si sfiorassero.
“Adesso portami via di qui, ti prego.”
“Volentieri, stellina.”
Tornarono al parcheggio mano nella mano attraversando il giardino, che era silenzioso e scarsamente illuminato. La musica jazz si diffondeva dall’interno creando un alone magico intorno alla villa. Il gorgoglio delle fontane si assimilava alle risate degli invitati. D’improvviso la confusione si placò. Aranel guardò con fare guardingo a destra e a sinistra.
“Aranel.”
Il tono lugubre di Theo la spaventò e, portando lo sguardo al cielo come lui, spalancò gli occhi. Lampi di colore rosso danzavano fra le nuvole oscure, le stelle sembrava fiammelle, e il cielo appariva come un bagno di sangue. I bagliori rossastri si alternavano, si inseguivano, si esibivano sotto gli sguardi meravigliati di tutti. Poco dopo iniziò a piovere. Aranel si sentì toccare la spalla da una sostanza viscosa che riconobbe essere sangue.
“Oddio! Theo, sta piovendo sangue!”
Anche la giacca del ragazzo si imbrattò di gocce liquide e rosse, infatti il suo olfatto sviluppato annusò il sangue dappertutto.
“Ce ne dobbiamo andare, ora!”
Mentre riprendevano a camminare in gran fretta, notarono Octavius e Savannah sul terrazzo della villa sorridere trionfanti.
“Andiamo, per favore.”
Aranel lo trascinò sino all’auto ma, prima di salire a bordo, guardò di nuovo il cielo: i lampi continuavano imperterriti nel loro spettacolo, come fuochi di artificio che esplodono tra le stelle.
“Aranel, entra subito in macchina.”


Erano le quattro di mattina, il sole aveva lasciato il posto ad un terribile acquazzone che da un paio di ore si protraeva nel cielo newyorkese. Aranel si appollaiò sul divano senza staccare gli occhi dalla finestra ricoperta da gocce d’acqua. Sussultò quando Theo le sfiorò il braccio sedendosi.
“Tranquilla, sono solo io.”
“Questo momento mi ricorda l’estate in cui ci siamo conosciuti. Pioveva quando abbiamo passato la nostra prima notte insieme.”
“Difficile dimenticare una giovane donna che indossa la sottoveste.”
Aranel lo colpì ad un braccio e si finse offesa, poi si sciolse in una breve risata.
“Che cosa è successo poche ore fa? Lampi rossi e pioggia di sangue?”
“Secondo i telegiornali si è trattato dello spettro rosso.”
Lo spettro rosso è un fenomeno atmosferico connesso all’elettricità, si manifesta negli strati alti dell’atmosfera ed emana fulmini rossi causati dall’azoto.
“E la pioggia di sangue come è stata spiegata?”
“E qui arrivano le cattive notizie. Non era sangue, era una comune pioggia di acqua. Stamattina i nostri vestiti erano umidi ma non era sporchi di sangue.”
Aranel fece silenzio per qualche istante, meditò su quanto le era appena stato detto e, quando giunse alla conclusione, si sentì terrorizzata.
“Mi stai dicendo che abbiamo creduto che fossero gocce di sangue?”
“Aranel, quello che ti sto dicendo è che questa situazione è legata al soprannaturale. Solo noi due, Nadia, Liam, Roxy, Corey e Zakhar abbiamo visto il sangue. Sta succedendo qualcosa di molto preoccupante.”
“Aspetta, perché io l’ho visto e Mason no? Siamo entrambi umani.”
“Questa è un’altra domanda a cui non abbiamo una risposta. Mi dispiace, stellina.”
Ecco che il pericolo ripiombava nella loro vita come una tempesta di orrore e paura.


Salve a tutti! ^_^
Le cose per i novelli sposi non stanno andando molto bene.
Chissà cosa sta succedendo e chissà chi sono Octavius e Savannah.
Nessuno sfugge al pericolo.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.

Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.

A touch of light 2 || Theo Raeken Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora