IV. Eppure

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L'orologio appeso alla spoglia parete di quest'aula é la mia ossessione odierna. Sto aspettando che scocchino le dodici in punto, ma dieci minuti ancora mi separano dall'orario tanto atteso. Sospiro, perché sono sola dentro l'aula di sostegno: Marco non è venuto a scuola, oggi. Gli altri ragazzi invece sono andati a fare ippoterapia con un paio di educatrici.

Siamo qui sole, io e la mia agonizzante attesa. Questi saranno i dieci minuti più lunghi di tutta la mia vita. Mentre il mio cuore conta gli innumerevoli secondi restanti, la testa è ancora affollata di pensieri, di quesiti privi di responsi. Matteo e Marco sono amici? Matteo sa della nostra corrispondenza? E se avessi sbagliato tutto, sin dal principio?
Non avrei più il coraggio di mettere piede a scuola se, in quelle lettere, scoprissi di aver sbagliato Caronte. Nonostante sia difficile accettare questa possibilità, non la escludo a priori, anche se solo l'idea suscita un pianto sofferente nel mio animo.

La campanella che fa scoccare mezzogiorno suona. Gli studenti si riversano nei corridoi, chi diretto verso i bagni, chi alle macchinette. Devo aspettare che finisca il cambio d'ora, quei cinque minuti in cui tutti gli alunni in fuga da verifiche o interrogazioni ciondolano per la scuola.

Dall'uscio guardo il corridoio colmo di persone. Scorgo Matteo con un bicchierino della macchinetta fra le mani. Marco oggi non c'è e, oggi più che mai, sento la sua assenza martellarmi le tempie.
Il mio respiro scandisce il tempo.
Poi i corridoi lentamente si svuotano, la marea si ritira: è il mio momento.

Le mani tremano di una paura indecifrabile. Frugano distrattamente dietro i distributori automatici, lasciandosi accarezzare i polpastrelli dalla carta di alcune buste.
Gli occhi vengono inondati da fiotti di oceani salati: sono tantissime lettere, troppe. Il terrore di aver sbagliato, di aver frainteso, di aver confuso Marco e Matteo pulsa nelle vene.

Quattro buste rosse, di carta sottile. Su tutte e quattro troneggia una sola parola, un solo nome. Wendy.
Le lacrime iniziano ad innaffiare le mie guance aride, irrigano il mio volto come pioggia in pieno deserto.

Stringo le lettere contro il petto, alla ricerca di una sicurezza. In pochi secondi corro verso il bagno, chiudendomi dentro appena lo raggiungo. Accovacciata su me stessa, mi asciugo le lacrime e guardo nuovamente le buste: sono numerate.

Le mani sono scosse da fremiti, sono impaurite tanto quanto me e, con la loro poca grazia, fanno tutto il possibile per non sgualcire quella carta tanto cara al mio cuore. Apro la prima busta, al cui interno vi sono un biglietto e diversi fogli piegati con cura.

Nella speranza che il Postino degli Inferi abbia fatto il suo dovere, ti auguro una buona lettura, Wendy.
Tuo, Caronte

Incredula, rileggo una seconda volta il biglietto. Postino degli Inferi... Matteo! Il sollievo di questa scoperta si mescola al senso di colpa per aver dubitato dell'identità di Caronte. E se c'è un Dio, spero che la risata che mi esce leggera dalle labbra giunga fino a lui come un ringraziamento.

A cuor sereno, ma ancora ricolmo di curiosità, mi accingo a leggere la lettera di questa prima busta. Sulla bocca un sorriso genuino e rilassato. Eppure, non posso dire di sentirmi pronta a leggere queste parole. Scuoto la testa per scacciare la negatività di questo pianto, trovando conforto ancora una volta nel foglio che ho tra le dita. In pochi minuti le mie emozioni sono nate tristi e morte serene. Ora devo solo concentrarmi. Voglio dedicare tutta me stessa a queste parole.
Diamo, nuovamente, il via alle danze.

Dolce Wendy,
tieniti forte perché questa volta viaggeremo su una barca colma di anime. Non sarà un viaggio facile e, ahimè, questa volta non credo che riuscirò ad essere una lieta compagnia. Compagno di entrambi sarà il dubbio, l' "eppure".
Wendy, so che nella testa ti vorticano miliardi di domande, sento i battiti del tuo cuore spaventato. È questo il preludio di questa prima lettera: la paura.

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