Capitolo 2.

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Eravamo in quel bar da qualche ora ormai, a parlare di qualsiasi cosa e a ridere come due bambini. Era tanto tempo che non ridevo, non sul serio almeno. Era strano, come un sconosciuto potesse farmi un simile effetto. Essere con lui mi sembrava così giusto, in quel momento.

"Come mai eri su quel tetto?" mi chiese Harry, all'improvviso. Rimasi in silenzio per qualche secondo, indeciso se parlare o meno. In fondo non lo conoscevo, non sapevo nulla di lui, ma per qualche motivo, a me ignoto, mi fidavo di lui. "Sono andato via da casa molto presto e mi sono dovuto mantenere da solo, non avevo nessuno che mi aiutasse. All'inizio facevo qualche lavoretto quando riuscivo a trovare qualcosa. Poi ho trovato lavoro in un negozio in centro, fino a pochi giorni fa. Mi hanno licenziato perché non avevano abbastanza soldi per pagarmi e, visto che ero l'unico con un contratto a tempo determinato, mi hanno buttato fuori", dissi d'un fiato. Feci una pausa e osservai Harry. Mi guardava dispiaciuto, ma lo sguardo nei suoi occhi mi fece capire che non gli facevo pena. Era una buona cosa no?

"E i tuoi amici? Non possono aiutarti loro?". A quella domanda, quasi mi strozzai con il panino che stavo mangiando, abbassando lo sguardo. Se fino a quel momento non provava pena nei miei confronti, se gli avessi detto come stavano le cose, adesso gli sarei sembrato un caso umano. Non volevo essere guardato in quel modo, non volevo leggere nei suoi occhi quanto fossi davvero disperato. Alzai la testa e incrociai il suo sguardo che mi trasmise sicurezza e con un sorriso gentile, mi incoraggiò a rispondere. "Non ho amici. Nell'ultimo periodo mi sono concentrato solo sul lavoro e li ho persi, ormai è troppo tardi per tornare indietro". Non riuscii più a continuare. Volevo tornare a qualche minuto prima, a quando ridevamo parlando di cose stupide. A quando partì una canzone nel bar in cui eravamo e Harry, con un sorriso enorme in volto, iniziò a cantare, ed era così felice che fece sorridere anche me.

Sentivo il suo sguardo sul mio viso, sapevo che mi stava fissando, che cercava i miei occhi. In quelle ore insieme a lui, avevo scoperto che bastava uno sguardo per capirci. Tutto questo mi spaventava e allo stesso tempo mi piaceva. Essere così complice con una persona appena conosciuta era assurdo, ma sembrava la cosa migliore. Mi stavo sforzando per trattenere le lacrime, ma prima che potessi fare o dire qualsiasi cosa, Harry mi fece un'altra domanda e da lì fu impossibile trattenerle. "E la tua famiglia?" Cercai di non cedere, ci provai davvero, ma non ero così forte. Ero sempre stato un ragazzo sensibile, a volte anche troppo. Scoppiai così in un pianto silenzioso.

Harry mi affiancò subito e mi fece girare in modo da stare uno di fronte all'altro. Mi sollevò il volto, e mi asciugò le lacrime, una ad una. Quel gesto mi fece calmare un po', ma non del tutto. Si avvicinò di più a me e mi abbracciò, stringendomi forte i fianchi.
Rimanemmo in quella posizione per diversi minuti, finché non mi calmai. "Scusa, non volevo farti piangere". Mi disse staccandosi leggermente da me, il minimo indispensabile per potermi guardare negli occhi. Non avevo la forza di rispondere, mi limitai a guardarlo e lui sembrò capire. "Andiamo, ti porto a casa."

E se Harry quella sera rimase a casa di Louis, e se quella sera dormirono abbracciati, stretti uno all'altro, con Louis sul petto di Harry, e quest'ultimo ad accarezzargli i capelli, questo non ci è dato saperlo.

E se entrambi provarono una strana sensazione all'altezza dello stomaco, prima di addormentarsi, questo ve lo dico io.

𝐋𝐚𝐬𝐜𝐢𝐚𝐭𝐢 𝐬𝐚𝐥𝐯𝐚𝐫𝐞 || 𝐋𝐚𝐫𝐫𝐲 𝐒𝐭𝐲𝐥𝐢𝐧𝐬𝐨𝐧Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora