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Cap. 1

Quella mattina non avevo raccapezzato uno spicciolo che fosse uno. Un gruppetto di ragazzi si era fermato a sentirmi strimpellare, ma dopo avermi fatto i complimenti se ne erano andati senza nemmeno lasciarmi una piccola monetina che mi stimolasse a continuare a suonare.

La gente semplicemente non mi capiva, ed io non capivo la gente, e questo poteva essere un problema se la tua unica fonte di sostentamento era l'elemosina, e infatti, era un problema.

Perché gli altri quando mi vedevano lì, seduto con la mia chitarra in grembo, provavano compassione per me, mi rivolgevano qualche sguardo e poi se ne andavano, come se non fosse successo nulla, come se io non fossi mai esistito. Ma io esistevo eccome! In quel fottutissimo sottopassaggio di quella schifosa stazione io ci vivevo, non che la cosa mi piacesse, ovviamente. La mia unica compagna era la mia carissima chitarra, non so come avrei fatto senza di lei, probabilmente mi sarei buttato giù dal primo ponte sufficientemente alto che avessi trovato. Davvero, posso sembrare esagerato, ma la verità era questa. Quando passavo le dita fra le fredde corde di quello strumento io mi sentivo qualcuno, mi sentivo vivo, non quello schifo che mi faceva sentire la gente. Non aveva ancora capito perché funzionasse sempre, forse era una specie di magia, ma dovevo ancora capire se credere o no nella magia. A dire la verità mi piacerebbe crederci, chi non vorrebbe che esistesse? Se avevi la magia, avevi tutto: sempre qualcosa sotto i denti, un tetto sopra la testa, un fuoco sempre acceso a riscaldarti, magari anche qualcuno da amare. Perché in fondo erano quelle lo cose che contavano, almeno per me, ma credo per tutti.

E così passavo le giornate. Se avevo la fortuna di ricevere qualcosa con cui comprarmi da magiare, allora ero al settimo cielo, altrimenti, a sera tardi, frugavo nei cassonetti o andavo a rubare gli spiccioli dal cappello di qualche vecchio rimbambito che, invece di fare la guardia al suo patrimonio, dormicchiava con la bava alla bocca. Non mi piaceva rubare, soprattutto a chi era nelle mie stesse condizioni, ma quando hai fame, non ci puoi fare niente e ti abbassi anche a questo livello. Comunque, più o meno tutte le sere, riuscivo a mettere qualcosa nella pancia.

Però, non è che mi facesse completamente schifo vivere là sotto come un topo, c'erano anche delle cose interessanti in quella vita. Per esempio, stando tutto il giorno a vedere la gente che passava nella speranza che qualcuno capisca che sei bravo con la chitarra e ti lasci qualcosa, avevo l'occasione di vedere molti tipi strani e interessanti, e la cosa mi divertiva. Molto spesso passava una ragazza, presumo una studentessa, dato che la vedevo nei giorni di scuola. Mi era rimasta subito simpatica e quando mi scorgeva in lontananza, mi sorrideva sempre. Era piuttosto alta, più o meno doveva avere quindici o sedici anni. Indossava quasi sempre jeans e magliette di band che avevo avuto l'occasione di conoscere quando ancora vivevo con i miei genitori, era forte anche per quello. Ai piedi portava degli anfibi o delle scarpe da ginnastica, e alle orecchie aveva sempre le cuffie, che però toglieva quando mi passava davanti per potermi ascoltare. Portava i capelli scuri lisci fino alle spalle e aveva due occhi fantastici, blu. Mi piacevano i suoi occhi, erano davvero belli, non ne avevo mai visti di così particolari, e comunque dire 'blu' era estremamente riduttivo.

Quello era uno degli aspetti che amavo di vivere in quel sottopassaggio. Forse non ce ne erano altri, ma quello me lo dovevo far bastare.

La mia vita era quella, fino ad allora.

My way home is through youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora