Cap. 3
Le quattro arrivarono anche troppo in fretta per i miei gusti. Non capivo perché fossi nervoso, non mi doveva giudicare in alcun modo e anche se lo avesse fatto, non mi sarebbe dovuto importare del suo giudizio, insomma, chi era lui per criticare quello che facevo? Nemmeno sapevo il suo nome! Fatto sta che ero agitato.
Continuai a fissare le lancette dell’orologio gigante. Gli ultimi dieci minuti sembrarono non passare mai, eppure durarono pochissimo. Lo so che era un discorso senza senso, ma quando vuoi che una cosa accada in tutti i modi e il più presto possibile, ma allo stesso tempo hai paura di quello che succederà, il tempo comincia a scorrere in modo assurdo, quasi come non ci fosse, come se esistessi solo tu.
Finalmente, o sfortunatamente, le quattro precise arrivarono e con loro anche lo sconosciuto.
Arrivò dalla mia sinistra con passo deciso e fiero, quello che io non aveva mai avuto, si sedette vicino a me, sul pezzo di cartone che faceva da letto/sedia/tavolo/tutto quello che mi serviva, e mi guardò. Io ricambiai lo sguardo. Wow, aveva degli occhi che non sembravano provenire da questo mondo. Erano di un colore indefinito fra il verde e il castano. Se inclinava la testa leggermente di lato e la luce rifletteva direttamente sulle iridi, erano di un verde smeraldo che rischiava di accecare, se invece abbassava un po’ la testa, e l’ombra gli ricadeva addosso, allora erano due pozze marrone-verde scuro. Notai poi che c’era una terza sfumatura. Se mi guardava dritto negli occhi, la pupilla s’illuminava ed era contornata da un verde acqua, però non chiaro come tutti penserebbero, un verde acqua scuro, sporco. Non capivo come quegli occhi potessero avere così tante sfumature e avevo la certezza che se avessi avuto la possibilità di stare a fissarlo in eterno avrei potuto scrivere un poema sui mille colori che potevano esserci nelle sue iridi, era incredibile.
“Ehi” mi risvegliò, “che mi suoni oggi?” Certo, giusto. Dovevo suonargli una canzone.
Mi sistemai meglio per imbracciare la chitarra, nel movimento notai che sulla mia custodia c’era un pezzo da cinque dollari. Grazie, sconosciuto.
Chiusi un attimo gli occhi e poi cominciai a suonare l’introduzione. Lasciai che la musica mi coinvolgesse completamente, come se mi dovesse entrare in circolo nel sangue. Ripetei una seconda volta il primo pezzo, tanto per essere sicuro che si fosse capito e poi cominciai anche a cantare. Non era una cosa che facevo spesso, cantare, anzi non lo facevo mai, mi mettevo troppo in mostra cantando, anche se probabilmente avrei fatto qualche soldo in più. Ma forse non era nel mio DNA, mi piaceva, anzi, amavo suonare la chitarra, ma preferivo così e basta.
Cercai per tutto il brano di non guardare lo sconosciuto, perché sapevo che se per caso avessi incrociato il suo sguardo mi sarei incantato cercando di capire il colore dei suoi occhi, e di sicuro mi sarei distratto sbagliano qualche accordo, e non volevo che accadesse. Se allo sconosciuto non piaceva la canzone, non sarebbe mai più tornato, ed io non volevo che accadesse, mi stava simpatico.
“Wow” mormorò alla fine.
Io non dissi niente, anche perché non sapevo cosa dire. Mi sembrava di aver suonato piuttosto bene, ma il giudizio finale andava a lui.
“Io…” cominciò, “è bellissima.”
Lo guardai stranito. “Davvero?” Ero seriamente stupito, non pensavo gli sarebbe piaciuta così tanto, avevo capito quanto io mi sottovalutassi, ma forse era lui che esagerava. Cercai di capire se volesse solo farmi un piacere dicendomi che ero bravo o se dicesse sul serio. Mh, tutto sommato lo pensava davvero. Non sarei potuto essere più felice.
“Non capisco” mi disse, “sei bravissimo, hai del talento!”
“Grazie” feci.
“Non devi ringraziarmi, io non ho fatto nulla.”
STAI LEGGENDO
My way home is through you
Romance"Parliamoci chiaro, ero un barbone, quello ero, niente di più e niente di meno, ma lui non se ne era preoccupato tanto, non si era fermato a quello che sembravo, ma si era soffermato su quello che ero veramente. [...] Eravamo così simili eppure irri...