Suona la sveglia delle 6:30, è lunedì e un'altra settimana infinita sta per avere inizio. Vado in bagno per lavarmi il viso, mi sento uno strazio. Tutto quello di cui avrei bisogno sarebbe rimanere a letto con le cuffie alle orecchie, isolata da tutto e da tutti, ma alla fine mi preparo, metto la giacca e esco. L'aria di prima mattina è fredda e umida, la strada è deserta, tutto ai miei occhi appare cupo e scuro, il cielo grigio combacia alla perfezione con il mio stato d'animo. Sembra di essere in un vecchio film in bianco e nero, dove tutto ha perso colore e dove domina il silenzio. Sul bus il mormorio delle voci degli altri ragazzi mi infastidisce, in quel momento vorrei solo il totale silenzio e non le urla assordanti che rimbombano nelle mie orecchie di prima mattina.
A scuola tutto è alla normalità, durante la spiegazione della professoressa continuo a fissare un punto della lavagna alle sue spalle assolta in quei pensieri che attraversano ogni minima parte del mio cervello, alcuni arrivandomi dritti al cuore, stanco e dolorante dalle botte ricevute. Piove e a rompere il silenzio del lunedì mattina è il ticchettio della pioggia contro il vetro della finestra alla mia destra, alzo lo sguardo e osservo il cortile che separa l'edificio principale dal bunker. Le gocce di pioggia cadono nelle pozzanghere già formate in precedenza, le selle dei pochi motorini parcheggiati sono completamente bagnate, l'orizzonte si vede a malapena, il vento soffia forte portando con se foglie e sabbia proveniente dalla spiaggia vicina.
Durante la ricreazione, coppie innamorate si scambiano baci e sorrisi e di fronte a tale spettacolo mi domando se un giorno accadrà anche a me, se la persona di cui sarò follemente innamorata mi amerà a sua volta, se quella felicità che provano loro attraverserà almeno per una volta la mia persona. Fantastico su come potrebbe presentarsi ogni istante da vivere se si ha una persona amata con cui condividerlo, sentire sempre una persona vicina a me, qualcuno che ami me e nessun altra. Mi stringo nelle spalle sospirando, allungo le maniche della felpa fino alle dita e attraverso il corridoio di fronte alla mia classe; pur essendo maggio, le temperature sono basse, l'aria estiva fatica a farsi sentire. Tornata in classe mi siedo, appoggio la schiena al muro, tiro su le gambe e nuovamente indosso le cuffie. Ascolto una delle mie canzoni preferite della band che mi conduce in un posto tutto mio, in un posto dove tutto è bello e dove non ho niente di cui preoccuparmi; un posto che, purtroppo, esiste solo per 3 minuti e 46 secondi. Il desiderio di vederli dal vivo si fa sempre più forte e allo stesso tempo impossibile, non mi rimane altro che chiudermi in me stessa, sospirare e andare avanti come se niente fosse.
Una volta tornata a casa, il restante pomeriggio la trascorro china sui libri. Tutte quelle pagine, tutte quelle parole non riescono a rimanere impresse nella mia mente, si mescolano le une con le altre come un insieme di scarabocchi. Se tutto fosse come il testo di una canzone sarebbe molto più semplice, il desiderio di ripeterlo sarebbe più grande e anche più piacevole. La mia mente, il problema più grande è la mia mente. Vorrei cambiarla, vorrei resettarla per poi cominciare da zero, eliminare tutto quello che mi ha fatto soffrire e introdurre tutto ciò che può rendermi felice, in seguito dare ascolto solo a quest'ultima parte e non al cuore, l'arma del dolore che mi porta solo alla sofferenza.
La settimana trascorre sempre allo stesso modo, tra dolore e malinconia, qualche risata rubata e tanta tanta tristezza. Mi domando per quanto dovrà continuare ancora questa situazione, se prima o poi tornerà quel periodo in cui avevo voglia di vivere e divertirmi. Non mi importa se fuori sta diluviando, prendo le chiavi e esco da casa; cammino per più di un'ora sotto la pioggia lungo il fossato vicino casa mia. I miei capelli, lunghi e lisci, gocciolano lungo le spalle, i vestiti sono bagnati fradici, il mascara è colato sulle guance e con lui la matita che avevo sopra agli occhi. Sono ridotta un disastro ma non mi importa, avevo bisogno di uscire e riflettere. Continuo a non capire come la mia vita sia arrivata a quel punto, al punto da non poterla più sopportare in nessun modo. Chiunque mi avesse vista in quel momento non mi avrebbe riconosciuta, non sono più la ragazza dell'anno precedente, sorridente e piena di allegria, che si emozionava per ogni cosa. Sono totalmente cambiata da quell'estate trascorsa ad illudermi per poi essere ferita in una delle peggiori maniere possibili. Torno a casa, mi butto nella doccia cercando di annegare tutti i pensieri che mi frullano nella testa e mi abbandono al getto bollente che mi sovrasta.
I giorni passano, la malinconia trionfa in quella casa in un paesino di periferia. Affronto giorni passati a litigare con i miei genitori su cose che a mio parere sembrano non avere significato, mi sento come se il mondo fosse contro di me. Ci sono io e il resto del mondo che mi guarda prendendosi gioco di me, racchiuso in un insieme di cattiverie, ingiustizie e nessuna comprensione per una ragazza che non riesce a sopportare più la sua vita. Cerco aiuto in lei, ma è pur sempre troppo lontana, non riesco mai a raggiungerla pur volendo. Mi manca e questa è una delle cose che mi tormenta di più in assoluto. Quando finalmente riesco a trovare una persona che mi voglia bene per quella che sono e che apprezzi ogni mio difetto, c'è ovviamente qualcosa che mi impedisce di vederla, di parlare con lei, di sfogarmi e fare tutto ciò che un'amica farebbe, ascoltarti e darti consigli, dirti di essere forte e che, presto, andrà tutto bene.Arriva il week-end, è sabato e la sera dovrò andare a cena con i miei genitori. L'idea mi infastidisce, quello che vorrei è rimanere da sola in camera a guardare Amici, sotto le coperte al caldo, senza nessuno che possa disturbarmi. Alle 17,30 vado all'allenamento, cerco di impegnarmi al massimo ma non ci riesco. Ho un forte dolore alla caviglia che mi impedisce di pattinare come dovrei. Sono fuori di me, nonostante ci metta tutto il mio impegno non riesco a concludere niente. Il mese precedente mi ero slogata una spalla e non ho potuto pattinare per circa 20 giorni; questo episodio riguardante il piede mi ha portato a rimandare gli allenamenti per altrettanto tempo. Questi non sono gli unici aspetti che mi impediscono di andare avanti, il fattore principale consiste nel peso che ho assunto, maggiore di 20 kg rispetto a quello degli anni precedenti. Quando ero piccola ero esile e aggraziata sui pattini, purtroppo adesso non è più così. Mi impongo di essere positiva, ma è molto difficile sapendo che il problema maggiore è proprio quello del peso. Mi guardo, vorrei prendere un paio di forbici e tagliare via il grasso che ormai si è impossessato delle mie gambe, poter ritornare a pattinare come una volta, senza dover impiegare il doppio della fatica rispetto alle altre ragazze. Finito l'allenamento prendo le mie cose, salgo in macchina e ci troviamo con mio padre in una località balneare sul mare, distante circa 15 minuti da casa nostra. Abbiamo una prenotazione ad un ristorante molto carino in cima al pontile principale, ma il mio umore, purtroppo, mi impedisce di apprezzare a pieno la bellezza di quel panorama. Durante la cena ho una discussione piuttosto animata con i miei genitori: loro non riescono a capire la mia situazione, non possono sapere quello che sto passando in questo periodo. Iniziano a dire cose che mi fanno sentire male dentro, la rabbia inizia a salirmi e non riesco più a controllarmi. Prendo le mie cose e abbandono la cena senza dare spiegazioni a nessuno, esco dal locale e vado a sedermi su una panchina. Osservo il mare di fronte a me, le luci dei lampioni si riflettono sulle onde mano a mano che si avvicinano. Metto le cuffie e mi isolo da ciò che mi circonda. Voglio scappare e vedere soltanto volti sconosciuti. Osservo il mare e le lacrime scendono senza mai fermarsi, non so più che cosa fare. Il cervello si annebbia, non riesco più a ragionare, devo trovare assolutamente una soluzione a tutto questo. Sento il bisogno di dovermi sfogare in qualche modo, non riesco più a resistere. Vedo i miei genitori uscire dal locale e senza far notare gli occhi lucidi, mi incammino davanti a loro senza emettere parola. Salgo in macchina e fino a casa domina il più totale silenzio, solo il leggero suono di musica che esce dalle mie cuffie. Arrivata a casa mi butto sul letto, dentro un dolore lancinante mi trafigge il cuore, una confusione totale passa da una parte all'altra del cervello come la pellicola di un film. In 5 minuti rivivo la storia della mia vita, penso e ripenso a lui, a me, ai miei genitori insoddisfatti e a tutto il resto. Mi muovo sopra le coperte fredde del letto, alzo la testa e il mio sguardo cade sul beauty che ho sulla scrivania. Buio. Completamente buio. Come se fossi stata programmata per farlo, mi alzo e con passo lento ma deciso mi avvicino al beauty. Afferro il manico posto sulla estremità superiore per sollevarlo leggermente, con delicatezza lo apro e le vedo, vedo un paio di forbici piccole, quelle che solitamente si utilizzano per tagliare le unghie. Rimango lì ad osservarle per qualche instante valutando quello che stavo per fare. E' stata una riflessione inutile, non ero in grado di riflettere. Come ho già detto...buio. Pongo il braccio in avanti, avvicino le forbici all'avambraccio e applico una leggera pressione. Non sapevo la forza che avrei dovuto utilizzare, non sapevo quanto mi sarei potuta spingere a fondo, non sapevo quando mi sarei dovuta fermare, o meglio, quando avrei voluto fermarmi. Un lieve pizzicore si espande lungo l'avambraccio, lentamente piccole gocce di sangue fuoriescono dal taglio che avevo appena creato. Dopo nient'altro, il pizzicore di pochi istanti prima se n'era già andato, non sentivo più niente. Non era abbastanza, non avevo sofferto abbastanza. Volevo farmi male, volevo far gridare di dolore quel corpo informe. Afferro di nuovo le forbici, un respiro profondo e di nuovo. Vedo il mio braccio mano a mano riempirsi di tagli, la mia pelle si irrita e inizia a bruciare. Non riesco a smettere e continuo a farlo fino a riempire tutto il braccio. Mi fermo e osservo ciò che avevo fatto, metto le forbici al loro posto, mi procuro un fazzoletto per tamponare il sangue e mi siedo sul letto. Straziata, stanca ma allo stesso tempo sollevata, mi infilo sotto alle coperte e lentamente mi addormento.
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EISOPTROFOBIA - Quando uno specchio è il tuo peggior nemico
FanficL'adolescenza, il periodo più brutto che una ragazza possa attraversare. Ogni cosa sembra essere correlata da un problema, come fosse un bagaglio a mano del quale non puoi disfarti. Quel desiderio di voler essere diversa da quella che sei in realtà...