Almeno a Napoli non ci sono le capre

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La voce di Adam Levine risuonava nelle cuffiette di Francesco. Con gli occhi chiusi, cercò di concentrarsi sulla voce del cantante per scacciare il ricordo di quella della madre.
“Devi sparire per un po’”. Che esagerazione. Sì, il ragazzo di Amalia era arrivato sotto casa a minacciarlo, ma mica l’avrebbe ammazzato davvero, no? Al massimo ci sarebbe stata una scazzottata e stop. E invece sua madre aveva dato di matto, così si ritrovava su quel cazzo di treno. Destinazione Napoli.
Uno dei Centri di preparazione universitaria più importanti d’Italia, ma soprattutto l’unico che aveva garantito anche l’alloggio. Ma, giusto perché le cose andavano a gonfie vele, non avrebbe dormito nella loro struttura, no. Doveva stare a casa della sua preparatrice. Sbuffò. La madre con quella mossa si era garantita il recupero degli esami e gli aveva messo addosso pure una cazzo di baby-sitter. Ma l’alternativa era a casa dei nonni.
E lui non aveva nessuna intenzione di starsene in un paesino sperduto tra le montagne del Trentino in mezzo alle caprette. Tutta colpa di Amalia e delle sue stronzate. Perché le aveva creduto quando gli aveva detto che era finita col suo ragazzo? Avrebbe dovuto immaginare che non fosse vero. Quei due erano mesi che si lasciavano e riprendevano di continuo. Si era fatto fregare dalle sue moine e dalla voglia di portarsela a letto da un sacco di tempo.
Ma questo piccolo particolare della bugia mica l’aveva detto a quel cretino del suo ragazzo.
«Stronza!»
L’occhiataccia della signora di fronte gli disse che lo aveva detto a voce più alta del previsto. Spense la musica, tirò con forza le cuffiette e se le ficcò in tasca. Per colpa di Amalia sua madre gli aveva anche confiscato la carta di credito. Avrebbe dovuto mantenersi con delle ricariche che gli avrebbe fatto su una prepagata. Quale metodo migliore per assicurarsi che non avrebbe rifilato un bidone alla preparatrice per andarsene in qualche albergo? Francesco richiuse gli occhi e inalò quanta più aria poteva. Era solo una situazione temporanea.
Avrebbe aspettato che si calmassero le acque a Bologna, avrebbe recuperato quei cazzo di esami e sarebbe ritornato a casa. Quel periodo a Napoli era solo una vacanza e una soluzione migliore a una visita a casa dei nonni. Più sereno, riaprì gli occhi e si sistemò meglio sulla poltrona del treno. Si sentì osservato, si girò verso i sedili paralleli al suo e trovò due ragazze con gli occhi puntati su di lui, che sorridevano e confabulavano tra loro.
Ed ecco che iniziava sul serio la sua vacanza. Francesco sfoggiò "lo sguardo sfilamutandine", con un sorriso in grado di sciogliere all'istante ogni ragazza. Le due fanciulle continuarono a ridacchiare e a lanciargli sguardi ammiccanti. Poggiò il gomito sul bracciolo e si allungò appena nella loro direzione. Stava per chiedere i loro nomi, quando la voce nell'altoparlante li informò che erano giunti alla stazione Centrale di Napoli. Francesco imprecò contro la sua sfortuna: era stato così impegnato a riflettere sulla sua situazione che non si era accorto di quelle ragazze prima. Invece di scervellarsi, avrebbe potuto fare un viaggio in dolce compagnia, cazzo. Si alzò, raccolse il borsone dallo scomparto sui sedili e se lo mise in spalla.
Si diresse verso la porta di uscita, si girò per rivolgere alla giovani un altro dei suoi famosi sguardi, fece l'occhiolino e andò via con la certezza che sarebbe stato il soggetto di un sogno erotico di altre due ragazze quella notte. Sapeva di esserlo di un numero così imprecisato di giovani fanciulle che mancava poco che inserissero il suo nome nel libro dei sogni. Seguì la folla all'esterno della stazione e, appena fuori, si guardò intorno. La piazza era ancora affollata, la strada piena di automobili e il suono dei clacson rimbombava nell'aria. Classico.
Sarebbe dovuto arrivare alle tre e mezza, un orario più tranquillo, invece il treno aveva fatto un'ora e mezza abbondante di ritardo. Poggiò il borsone a terra, recuperò il cellulare dalla tasca e digitò l’indirizzo della sua preparatrice su Google Maps. Non distava molto dalla stazione, avrebbe potuto arrivarci a piedi e approfittare per dare anche un’occhiata in giro. Non era mai stato a Napoli, anche se molti dei suoi amici gliene avevano parlato bene, dicendogli che la cucina era ottima, il clima bellissimo e le donne ancora di più.
Certo, sarebbe stato meglio venirci proprio in loro compagnia, ma se la sarebbe fatta andare bene lo stesso. Avrebbe trovato in fretta i giusti compagni per godersi la città. Doveva trovare solo un modo per tenere buona l'insegnante per quel po' di tempo che sarebbero stati insieme. Che problema avrebbe potuto recargli una vecchia professoressa? Inoltre, lui ci sapeva fare con le donne di ogni età.
Con il dorso della mano si asciugò alcune gocce di sudore dalla fronte, un dito allentò il colletto della felpa. La maggior parte delle persone indossava maglie a manica corta, pur essendo solo Aprile. Bene, quella cosa gli piaceva un sacco. Lui amava il sole e le giornate calde. Si sfilò la felpa, la ficcò nel borsone ai suoi piedi e rimase anche lui con solo la t-shirt addosso, pronto a immettersi nel bagno di folla.
Mentre camminava, si accorse degli sguardi che gli lanciavano alcune ragazze. Sorrise. Anche senza sfoderare il suo famoso sguardo si faceva notare. La sua attenzione, però, era concentrata su ciò che lo circondava. Napoli era caotica. Si sentiva addosso il vociare delle persone, i rumori, il gesticolare di ogni persona, che lo faceva anche se parlava al telefono. E Francesco guardava tutto.
Si fermò dai venditori che stazionavano con le bancarelle sul marciapiede, e sostò più volte vicino alle vetrine piene di cibo, perché attratto dal loro profumo. Mangiò la famosa sfogliatella, calda e croccante, e decise che lo avrebbe fatto ogni giorno. Assaggiò "la pizza fritta", una specie di panzerotto gigante ripieno di ricotta, prosciutto e pepe.
E si ritrovò, senza sapere come, con sei paia di calzini nuovi. Arrivato a piazza Dante, Francesco spalancò gli occhi. Davvero avrebbe vissuto a pochi passi da lì? Il navigatore gli confermava che, sì, l’abitazione della preparatrice distava solo qualche centinaio di metri. Fece vagare lo sguardo e un sorriso affiorò sulla sua bocca.
Gruppi di ragazzi stazionavano nella piazza, alcuni erano seduti ai tavolini dei bar, altri sedevano ai piedi della grande statua del poeta e altri ancora se ne stavano semplicemente in piedi a parlare. Francesco comprò una granita al limone da un chioschetto e se la gustò mentre camminava tra le bancarelle piene di vecchi libri e DVD. Avrebbe davvero voluto continuare quel giro turistico, ma non voleva presentarsi troppo tardi dalla sua insegnante e soprattutto il borsone stava cominciando a essere troppo pesante.
In fondo aveva tempo per scoprire ogni angolo di quella città. Riprese il cellulare per guardare il navigatore, attraversò alcuni vicoli e si fermò davanti a un vecchio e grosso portone di legno. Mentre cercava il cognome sul citofono, si sentì osservato. Vagò lo sguardo intorno, ma nessuno, tra negozianti e pedoni, lo stava fissando. Con la coda dell'occhio colse un guizzo bianco.
Alzò lo sguardo verso il palazzo di fronte e, al secondo piano, riuscì a vedere due occhietti e una mano rugosa subito nascosti da una tenda bianca. Il suo corpo fu scosso da una pioggia di brividi. Chi era quella vecchia? Si girò di nuovo verso il portone e continuò a leggere i cognomi sul citofono.
«A chi volete, giovanotto?» si sentì chiedere. Alzò gli occhi verso il balcone al primo piano del suo palazzo, e gli apparì un altro viso tutto rughe che lo stava studiando. Merda, era circondato da gente che era nata, come minimo, agli inizi del secolo precedente.
«Giada Castaldi» rispose.
«Ah, siete un suo alunno?» domandò, più serena regalandogli anche un sorriso. Sorrise anche lui, soprattutto per come la signora gli desse del voi e non del lei. Forse era un'amica della sua insegnante, quella con cui andava a messa la domenica. Beh, se lui voleva ingraziarsi la Castaldi, per la loro momentanea convivenza, forse essere simpatico alla sua amica sarebbe stato un buon inizio.
«Sì, sono arrivato oggi da Bologna» le rispose e sfoggiò il suo miglior sorriso. «Mo vi apro io. Dovete andare al secondo piano.»
«Va bene, grazie.» Scattò la serratura, Francesco aprì la porticina ricavata dal portone e si ritrovò in un grande vano. Di fronte c’erano le scale, alti gradini che si arrampicavano insieme a una sottile ringhiera nera.
Arrivato al secondo piano lesse le targhette fuori la porta. Trovò il cognome che cercava e bussò. Passò qualche secondo. «Chi è?» chiesero dall'altro lato della porta.
«Rinaldi» rispose e l'uscio si aprì di uno spiraglio. La prima cosa che Francesco vide fu un paio di occhiali grossi quasi quanto il viso che li indossava, e una massa di capelli ricci e incolti. Dei grandi occhi marroni lo guardavano, sorpresi. Non c'era niente da fare, le donne proprio non gli resistevano. Non sapeva che la Castaldi avesse un'altra allieva in casa. La ragazza doveva essere fuori corso di un bel po'.
«Ciao,» la salutò, ma lei restò come imbambolata, con la bocca spalancata e lo sguardo vacuo.
«Sono Francesco Rinaldi, l'alunno che l'insegnante stava aspettando.»
E le rivolse il suo accattivante sguardo sfilamutandine. Ma, invece di sorridergli come si aspettava, la ragazza spalancò ancora di più gli occhi, e gli sbatté la porta in faccia. «Come si sono permessi di mandarmi nu strunzo a casa mia?» Francesco rimase a guardare il pannello della porta. Non c'era bisogno di essere napoletani per capire come l’aveva definito. Un senso di calore gli infiammò lo stomaco. Alzò il pugno e diede due colpi forti alla porta.
«Apri la porta e chiama immediatamente la Castaldi, o vado al Centro e ti faccio cambiare insegnante!»
Dopo qualche secondo la porta si aprì del tutto, la minaccia aveva avuto il suo effetto. La ragazza comparve nel suo campo visivo, con una tuta di cotone di un paio di taglie più grande di lei e con degli strani calzini di lana ai piedi.
«Fammi capire una cosa» gli disse, con un marcato accento napoletano. «Tu cerchi a Giada Castaldi?» Lui annuì e lei imprecò tra i denti.
«Sono io.»
«Cosa?» tuonò lui.
«Già, si vede che abbiamo avuto tutti e due una bella sorpresa, perché io aspettavo Francesca Maria Rinaldi» sibilò tra i denti.
«Quindi, mo, fammi capire una cosa: sei donna all'anagrafe e sei diventato uomo strada facendo?» Nessuno aveva mai messo in dubbio la sua virilità.
«E tu sei donna all'anagrafe e sei diventata un cactus strada facendo?» Si portò le mani ai fianchi e lo guardò come se avesse voluto incenerirlo sul posto. Bene, il suo soggiorno a Napoli si preannunciava proprio dei migliori. Ma di una cosa era certo: non voleva restare un secondo di più con quella ragazza inacidita. Avrebbe preteso di cambiare subito insegnante.

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