7) "TU COSA NE PENSI?"

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Il giorno del mio ventunesimo compleanno, dopo svariati mesi di pianti, sesso a non finire, rifiuti e discussioni, la Lepreh mi confessò di amarmi, non prima di aver fatto un lunghissimo monologo di cui non ricordo una parola. Il mio cervello si era purtroppo fermato a quel “Io ti amo” che solo in quell’istante mi ero resa conto di non ricambiare. Il danno però era fatto: lo avevo, in un certo senso, costretto ad amarmi e non potevo dirgli “No, guarda, lascia stare, io non ti amo”. Ci avrei fatto la figura della bastarda e gli avrei causato altri problemi a livello emotivo.
Ci mettemmo insieme la sera stessa, consacrando l’unione con altro sesso.

Nei mesi a venire, mi ero resa conto che in effetti quella fosse la nostra colla, l’unica cosa che andasse alla grande nel nostro rapporto. Passavamo gran parte del tempo a letto quando ci vedevamo e quando eravamo lontani, la rompiballe in me fuoriusciva per lamentarsi di ogni piccola cosa.
Non volevo più vivere una relazione in cui mi tenevo tutto dentro, ma stavo decisamente esagerando. Alberto era rimasto un “lupo solitario” che, spesso e volentieri, si chiudeva a fare le sue cose e si scordava della mia esistenza. Io, dal mio canto, volevo la sua costante attenzione, volevo che mi dimostrasse seriamente di amarmi. Gli davo spesso dell’egoista, senza rendermi conto che quella egoista ero io.

Nel frattempo, il fantasma di Leonardo era tornato a manifestarsi. In tutti quegli anni non mi aveva mai abbandonata; delle volte ci eravamo sentiti per litigare, altre in modo pacifico, ci scambiavamo auguri, quando ero ancora con Flavio la sua ex dopo di me era venuta a cercarmi per un motivo che tuttora mi è sconosciuto.
Insomma, quella storia era chiusa ma mai del tutto. Bastava un nonnulla per riaccendere la speranza e i miei desideri segreti.

Stare con Alberto era l’ennesimo tentativo di dimenticare, di provare di nuovo quelle sensazioni che tanto mi mancavano e delle volte mi convincevo di amarlo. Fisicamente era sicuramente il mio tipo: alto, spalle larghe, bellissime labbra e occhi, la sua carnagione scura e la pelle morbidissima mi facevano impazzire e il suo profumo mi faceva girare la testa. Il problema era il carattere. Finalmente ero riuscita a comprendere, almeno in parte, Leonardo: stavo con una persona che sarebbe potuta essere quella giusta per me, perfetta, ma i suoi difetti mi stavano portando a odiarla.

In sintesi, mi ero nuovamente ritrovata intrappolata in una relazione che non avrebbe portato a nulla e, di nuovo, avevo la chiave della mia gabbia, ma non avevo il coraggio di stare sola. Perché anche quando ero stata single, non lo ero stata davvero del tutto: io e la Lepreh parlavamo praticamente tutti i giorni, uscivamo spesso, eravamo arrivati ad avere una relazione “di letto”… tutte quelle cose che, in fondo, si fanno con il proprio ragazzo. Forse era stata quella la cosa che mi aveva spinta a voler a tutti costi mettere un’etichetta sul nostro rapporto e portata a commettere l’ennesima stronzata.

Come se non bastasse, la madre di Alberto e la Queen non mi avevano presa in simpatia, nonostante non avessimo avuto alcun tipo di interazione, se non un paio di volte. E in quel paio di volte avevo sfoggiato i miei migliori sorrisi e tutta l’educazione che mi era stata rigidamente impartita dall’asse Mamma-Nonna. Tuttavia, la genitrice della mia Lepreh sembrava non volermi in casa sua poiché sosteneva che fossi “Una Rumena che le avrebbe rubato in casa”. Erano molte le critiche che avrei potuto muoverle contro, come per esempio che non mi sarei mai aspettata del razzismo da una semi-Etiope, che quello che aveva detto era uno stereotipo offensivo e soprattutto che fossi Polacca e non Rumena, ma qualcosa mi diceva che da un orecchio sarebbe entrato e dall’altro uscito, quindi avevo optato per abbozzare. E non mettere più piede in casa di Alberto se ci fossero stati i suoi.

E quando avevo ormai perso le speranze e iniziato a stufarmi di quella relazione, l’universo aveva deciso di colpire ancora. All’università avevo conosciuto un ragazzo più piccolo di me, ma che fin da subito aveva attirato la mia attenzione. Era intelligente, spiritoso, divertente e quella fossetta che gli si creava sulla guancia quando rideva, aveva il potere di distrarmi da qualsiasi altra cosa.
Mi ero posta subito dei paletti: non avrei combinato un’altra cazzata, non mi sarei lasciata nuovamente soffocare dal rimorso, soprattutto perché di rimorso dentro ne avevo fin troppo.
Eppure non riuscivo a smettere di pensare a quel ragazzo e quando le nostre chiacchiere si erano spinte oltre i dieci minuti di pausa tra una lezione e l’altra, capii di essermi addentrata in una strada a senso unico che, in tutta probabilità, si sarebbe rivelata un vicolo cieco.
Stavolta decisi di fare la persona matura e informai il mio ragazzo di aver stretto amicizia con un ragazzo e, come previsto, la Lepreh non ebbe alcuna reazione e tornò a scorrazzare nei prati di DotA e Minecraft.

Io però non mi ero ancora arresa del tutto con lui, anche se mancava pochissimo che lo facessi. Ed è stato proprio quando arrivai a quel limite che Alberto sembrò avere l’illuminazione e a comportarsi come ogni ragazzo nei confronti della propria ragazza. Solo che era tardi.
Ogni cosa che faceva o diceva, creava in me l’effetto opposto a quello desiderato, ero diventata io quella indifferente e lui quello bisognoso di attenzioni. Lo trattavo male e non me ne sentivo dispiaciuta, tanto ormai stavamo appassendo. Non ero nemmeno più disposta a fare sesso, non ne traevo alcun piacere e, a dirla tutta, mi faceva girare le scatole. Passavo più tempo con il mio nuovo amico che con il mio ragazzo e alla Lepreh la cosa aveva iniziato a dar fastidio e soprattutto insospettire. Ovviamente, avrei negato fino alla morte di essermi presa una sbandata per un altro ragazzo, anche se mi si leggeva in faccia.

In un disperato tentativo - l’ennesimo - di riconquistarmi, Alberto propose di andare in vacanza insieme; i suoi sono proprietari di un monolocale che affaccia sulla Promenade in quel di Nizza e avremmo potuto passare lì una settimana, prima che arrivassero gli altri ospiti. Accettai, ma alla condizione di non andare soli. Qualcosa dentro di me non si fidava a restare sola con lui in un altro Paese. Fu così che proponemmo il viaggio alla mia Watson e al suo ragazzo che, per fortuna, accettarono.
Il posto era splendido, ma il viaggio era iniziato male e finito anche peggio. Quel tentativo di riavvicinarci era fallito ancora prima di mettere piedi sull’aereo di andata. In una sola settimana, avevo dato il peggio di me, facendo infine uscire di sé anche il mio calmissimo e apatico partner (e rovinando la vacanza agli altri due nostri compagni di viaggio che, a causa di ciò che è stato, non faranno mai più viaggi di coppia).

Come dicevo, la vacanza era stata un incubo vestito da lite incessante e continua. Ma se da parte mia vigeva comunque la volontà di “lavare i panni sporchi in casa”, da quella dell’ottusissima Lepreh le cose erano totalmente distorte: Alberto metteva in mezzo alle nostre discussioni gli altri due che, giustamente, si ritrovavano a dover prendere delle parti che non volevano prendere. Se possibile, questo suo atteggiamento immaturo mi faceva incazzare ancora di più. La vacanza peggiore della mia vita, appunto.
Gli altri sarebbero ripartiti un giorno prima per questioni personali e io sarei rimasta per un giorno e mezzo da sola con un ragazzo che accennava i primi segni di squilibrio; perché quello che ancora non sapevo, nonostante l’anno passato insieme, era che il Leporide fosse molto incline all’aggressività una volta accesa la miccia della rabbia. Mi faceva paura? Decisamente. Mi sarei comportata bene? Assolutamente no.
La sera stessa che i due partirono, Alberto mi fece un discorso di cui non ricordo molto perché mentre lui parlava, io mi stavo addormentando. Alla fine, colpa anche del sonno disturbato dalla sua voce, sbottai e gli dissi che avrei preferito farlo una volta tornati a casa, ma che tanto valesse togliersi subito il pensiero e lo lasciai. Certamente se l’era aspettato, ma quando mi aveva chiesto se lo facessi per l’altro, risposi - di nuovo in dormiveglia - che non fosse così perché il mio amico era gay.

So cosa state pensando e lo penso pure io. Non mi giustificherò, so perfettamente di aver fatto l’ennesima stronzata senza via di ritorno, perciò lascerò le cose così senza ulteriori spiegazioni.
La giornata seguente era stata triste e silenziosa: andammo in spiaggia, chiacchierammo tranquillamente, preparammo le nostre cose e nel pomeriggio ci dirigemmo all’aeroporto. Sull’aereo Alberto mi tenne la mano dolcemente, sapendo che sarebbe stata l’unica cosa che mi avrebbe distratta dal panico che provo nel volare. E io quasi mi pentii di averlo lasciato in tronco.
Ricordo che prendemmo in treno dall’aeroporto insieme e che lui scese alla sua stazione rivolgendomi un sorriso cupo e un “Stammi bene” che mi fece male. Piansi, incurante di avere gente attorno. Era davvero finita e io ero di nuovo sola con la mia sofferenza a farmi indesiderata compagnia.

Diario di una romantica cinicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora