Avevo all’incirca 14 anni quando presi la prima vera batosta che mi costò un pezzetto del mio giovane e innocente cuore. E magari solo quello.
Dovete capire che per una giovanissima di quell’età, non esattamente considerata “figa”, indubbiamente sovrappeso e con l’acne incombente solo su parti del corpo visibili al pubblico, ricevere le attenzioni di un ragazzo fisicamente bello e soprattutto più grande, è come vincere alla lotteria un milione di euro, scoprendo solo dopo che siano in gettoni e che il fisco si tratterrà la metà in tasse.
Insomma, ero adolescente, ribelle, vestivo un mix bizzarro di abiti da maschiaccio e dark e non mi filava nessuno. Non che me ne importasse poi tanto; i ragazzi della mia età erano stupidi, bassi e brutti, per non parlare del fatto che passassero gran parte del proprio tempo a parlare di video porno, guardare video porno e scoprire il meraviglioso mondo dell’autoerotismo (anch’io lo scoprii a quell’età, senza però vantarmi della quantità e della durata delle mie azioni peccaminose).Non dimenticherò mai quella sera d’estate: ero in ritardissimo per l’uscita con le amiche e, per qualche arcano motivo, quella sera mi sentivo particolarmente carina. Così carina da volermi truccare, sebbene mi fosse proibito in ogni lingua conosciuta da mia madre. Per questo motivo, ero costretta a portare la mia attrezzatissima pochette con me e trovare un posticino appartato dove disobbedire coraggiosamente alla mia genitrice. Ero fortunata, poiché sulla via che mi avrebbe portato dalle mie ragazze, si ergeva un masso piuttosto comodo per le mie regali chiappe.
Mi ero appena seduta, ansante per la corsa e impaziente di combinare uno dei disastri che all’epoca mi facevano sentire come Britney Spears sulle migliori copertine di Cioè. A lavoro finito, mi ero alzata e con la coda dell’occhio ero resa conto di essere osservata da un losco individuo alla finestra. Col cuore in gola, ero riparita nella mia corsa contro il tempo, ma poco dopo, una voce alle mie spalle mi aveva costretta a fermarmi e voltarmi.Appoggiato allo stipite della porta, c’era un Dio greco a sorridermi.
– Per caso conosci Rita Dama? – mi chiese, sempre sorridente. Io restai imbambolata, completamente assorta da quell’Adone.
– No, cioè sì. Esco con la sorella. – farfugliai con tutta l’agitazione che sentivo addosso. Lui sorrise di nuovo, facendomi dimenticare come si respirasse e disse: – Pensa te, io andavo in classe con Rita. Ti lascio stare, ci vediamo in giro! E quando vedi Ramona dille che la saluta Francesco Apetti. –.
Panico. Per me era naturale provare ansia da sempre, ma quella sensazione andava oltre a ogni mia conoscenza in materia. Senza salutare o presentarmi, ripresi a correre con più vigore, ansiosa di raccontare alle mie amiche l’accaduto.Il mio cuore sembrava voler scoppiare, la mia mente viaggiava alla velocità della luce verso tutti i possibili scenari. Era lui, me lo sentivo. Sarebbe stato il papà dei miei bambini. La nostra storia sarebbe stata devastante e bellissima, mi avrebbe chiesto di sposarlo al tramonto durante una gita al mare. I miei lo avrebbero adorato. Mi ero innamorata solo guardandolo, ma non gli avrei reso le cose facili. Avevo visto fin troppi telefilm per mostrarmi facile da conquistare. Lo avrei fatto sudare e mai gli avrei fatto capire che in realtà mi avesse già conquistata con quel “Ciao!” alle mie spalle.
Lo avrei capito solo qualche tempo dopo che la mia immaginazione tendesse a enfatizzare troppo le mie emozioni, decretando la mia rovina.Passai tutta l’estate a mettermi in mostra - a modo mio, ostentando indifferenza - e lui a mettere in mostra se stesso, facendo il simpatico e il prepotente, fingendo che ci trovassimo per caso negli stessi posti allo stesso tempo e cercandomi ogni qualvolta non ci fosse nessuno intorno.
Delle volte lo odiavo: perché non voleva mostrare davanti ai suoi amici che gli piacessi? Io gli piacevo, ne ero certa, ma non faceva mai quel passo in più che avrebbe consacrato il nostro reciproco sentimento. La maggior parte delle volte, però, mi accontentavo di quelle poche attenzioni, convinta del fatto che fosse il suo modo di fare.Con l’arrivo dell’autunno, tra la scuola e il freddo, il mio sogno d’amore andò lentamente a morire. Avrei continuato a vederlo nel weekend, ma non mi sarebbe mai bastato. Vivevo delle mie fantasie e di ricordi estivi, cibando il mio cuoricino dolorante di quei momenti magici. Il mio diario di scuola era diventato il mausoleo sacro del suo nome, quello segreto era intasato di pagine intere in cui tutto il mio amore e la mia sofferenza si riversavano e mischiavano, rendendo il tutto melodrammatico e sfociando nel ridicolo.
Eppure resistevo, credevo ancora nel nostro futuro, in noi.Arrivarono le vacanze natalizie e finalmente lo avrei rivisto per un po’ più di dieci minuti al bar mentre guardava le partite. Sprizzavo gioia da tutti i miei pori occlusi.
Un pomeriggio, dovetti uscire per fare delle commissioni per mia madre che era a lavoro. Ci avrei messo meno di venti minuti, se non fosse stato che me lo ritrovai nuovamente appoggiato allo stipite della porta con quel suo sorriso incantevole. Iniziammo a parlare e ridere, lo trovavo così affascinante che avrebbe anche potuto dire che la terra fosse piatta e gli avrei dato pienamente ragione. Dopo un po’, mi disse di entrare in casa per non prendere freddo. Non so esprimere a parole le emozioni che provai in quell’istante, so solo che sentivo quello sarebbe stato il nostro momento. Mi avrebbe dichiarato il suo amore e mi avrebbe baciata, la mia vita sarebbe cambiata per sempre. E così è stato. La mia vita cambiò quel pomeriggio, ma non come avrei voluto o solo immaginato.Come confessato qualche riga sopra, ero una ragazzina precoce; il sesso mi incuriosiva e avevo scoperto, per caso tra l’altro, il potenziale del mio corpo. Non ero e non sono ninfomane, ma avevo iniziato a muovere i primissimi passi nella sessualità e mi piaceva. Tuttavia, nulla avrebbe mai spazzato via il mio sogno romantico della prima volta perfetta che, ovviamente, avrei consumato col mio Fra un giorno.
Entrai in casa sua e tolsi il giacchetto, rendendomi conto della mia impresentabilità solo in quel momento. A lui però non sembrò importare; mi fece accomodare sul divano e si sedette accanto a me, cingendomi le spalle. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio, il suo profumo era la cosa più buona che il mio naso avesse mai percepito. Fu in quel momento che, un po’ per appagare la mia vena romantica, un po’ per ingenuità, gli dissi che non ero mai stata baciata. Lui sorrise sghembo e disse una cosa che all’iniziò non capii: – Mica ci dobbiamo baciare. –. La confusione fu breve poiché le sue mani scesero quasi all’istante una sul mio seno e una sulla coscia.
Panico. Stavolta però non era bello, non mi fece vedere il nostro lungimirante futuro, ma sbriciolò i miei sogni e diede loro fuoco, riducendoli in cenere. Non successe nulla di così eclatante quel pomeriggio, mi rifiutai di perdere la verginità così, ma ebbi il mio primissimo approccio sessuale con un ragazzo, in quello che ricorderò sempre come il peggiore dei modi.Tornata a casa, scoppiai in lacrime di dolore, di rabbia, di autocommiserazione. Mi ero sempre reputata una ragazza intelligente, come avevo potuto non capire, essere così stupida da pensare che quell’essere viscido volesse da me quello che io volevo da lui? Mi promisi di non cadere mai più nella trappola, di cancellarlo dalla mia vita e dalla testa, ma non fu così semplice.
Caddi nella sua trappola svariate volte, persi la stima delle mie amiche e, infine, anche la verginità. Ma fu quello a farmi dire basta, a farmi capire che mi fossi spinta oltre, troppo oltre.
L’odio si fece strada tra quello che pensavo fosse il sentiero dell’amore e mi servì da lezione. Decisi di lasciar perdere i “maschi”, convinsi me stessa che fossero tutti uguali e che facessero schifo allo stesso modo e per un tempo nemmeno troppo lungo, vissi felice con me stessa.
Delle volte però l’universo ci rema contro e le cose belle accadono proprio quando si smette di cercarle.