cavaliere inesistente

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Caro diario

17 Dicembre 2018

Ti starai sicuramente chiedendo il perché di questo nome, cavaliere inesistente.
Esso deriva dal libro "Il Cavaliere Inesistente" di Italo Calvino che rappresenta Agilulfo, il protagonista del romanzo, come l'anima di un cavaliere costretta a vivere all'interno di un'armatura vuota, spoglia di qualsiasi forma e fattezza umana; se Agilulfo si abbandonasse ad un qualunque sentimento, o si desse allo svago o anche soltanto al riposo, smetterebbe di esistere.
Il cavaliere sta a simboleggiare un uomo che si è chiuso nelle proprie corazze cercando riparo e sicurezza, ma che deve fronteggiare problemi di non scarsa rilevanza come quello dell'affermazione della propria identità.
E io mi sento un po' così: la mia corazza è il meccanismo di indifferenza totale verso ciò che mi provoca dolore e sè, questa corazza debba un giorno distruggersi, non mi sentirei più vivo e tornerebbe in me l'astrazione dall'io, dalle azioni, dai sentimenti e non saprei più, di nuovo, chi sono e a chi appartengo.
Non so se ho espresso bene il concetto ma spero che almeno tu possa capire cosa ciò comporta in me.
Ad esempio, sabato, la persona di cui pian piano mi sto invaghendo, Flavio, mi ha provocato dolore, anche se minimo; tutto il pomeriggio mi ha evitato e ha respinto ogni mia forma di approccio nei suoi confronti perché stava "male".
Mi ha continuato a trattare male la sera e il giorno dopo tramite i messaggi, facendomi capire che, lui, quando sta male si comporta in questo modo e per nulla al mondo possa cambiare perché LUI È COSÌ.
Io penso sia solo un meccanismo di auto-rassegnazione poiché una persona, indipendentemente da come si sente, può controllare le proprie azioni e, quindi, cambiarle.
In poche parole, mi ha trattato di "merda" e adesso in me si sta rinforzando questa corazza, che provoca in me indifferenza nei suoi confronti.
Per come sto adesso, lui potrebbe anche scomparire dalla faccia della terra e a me non importerebbe a causa di questo e mi dà così fastidio questa cosa perché so che in profonfità non è così ma il mio subconscio ormai è sempre pronto a scappare dai problemi e farli rimbalzare piuttosto che risolverli e vivere una vita sana.
Con Andrea p., il mio ex che i miei amici chiamano "storico" perché ci sono stato quasi un anno ed è l'unico che ho amato veramente, la situazione era diversa; ogni volta che mi faceva del male, io volevo farlo sentire il doppio peggio di come stavo io: era come una battaglia, una sfida a chi infliggeva più dolore e, ovviamente, vincevo sempre io perché sapevo dove colpirlo per ferirlo. Poi, però, sono ritornati in me, verso ottobre/novembre 2017, dei traumi infantili che credevo ormai di aver superato e di averli seppelliti per sempre nella memoria e aggiungendo il dolore che mi provocava l'amore, hanno fatto sì che il mio essere si estraesse da me e dal mondo che mi circondava come meccanismo di auto-difesa. Questo tipo di estranemanto è chiamato depersonalizzazione e ne ho subito gli effetti fino a settembre.
Da quel momento in poi, mi sentivo sempre più meno vivo, meno appartenete al mio corpo, alle persone che mi circondavano, al mondo in generale. Mi sentivo come se stessi continuamente sognando, come se i ricordi, gli attimi che vivevo, non fossero reali e non appartenessero davvero a me.
La prima volta che mi accorsi di questo mio problema fu durante capodanno, quando ad Andrea p. dissi "non mi sento di vivere, non te lo spiegare"; da lì inizio il tutto.
Le cicatrici di questo disturbo sono ancora visibili al livello psicologico e, purtroppo, credo ancora che dovrò conviverci ancora per molto. In eredità ho acquisito la corazza di cui parlavo inizialmente, una conseguenza imminente di cui non posso fare più a meno per paura di soffrire ancora.

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