New York, Martedì.
Certe sere non riesco a stare solo, devo chiamare Helen e pregarla di salvarmi. Non mi ha mai abbandonato, ma ha tutte le ragioni del mondo per farlo. I suoi genitori non mi hanno mai visto, pensano sia una sua amichetta.
Ha paura di dire al mondo cosa sono, si vergogna di me forse, e la capisco.
Però non mi ha mai abbandonato.
Oggi è martedì, penso ancora a quel vecchietto bastardo e non ho intenzione di perdonarlo. Merita di rimanere ciò che è.
Helen tra poco deve andare a scuola, ma ha deciso di stare con me prima di andarci. Le accarezzo i capelli mentre è posata leggera sul mio petto, sussurrando tutto ciò che ha studiato per la lezione.
La ascolto maniacale, se si interrompe mi agito e lei trema leggermente, riprendendo a parlare. Ha tutte le ragioni del mondo per odiarmi, per allontanarmi gridandomi che sono matto da legare, eppure è ancora qua. Le persone che non sono buone come lei devono morire, una ad una. Solo Helen merita questo mondo e nessuno deve toccarla.
«È ora Robert, devo andare», mormora con molta calma, alzandosi soltanto quando mi alzo io.
Mi indica il barattolino delle pastiglie, guardandomi quasi con cipiglio severo, ed io annuisco. «Le prenderò te lo giuro, non ti deluderei mai!» quasi urlo disperato abbracciandole le gambe con le ginocchia nella polvere, sento l'abisso rantolare ed il bisogno d'essere il suo paziente perfetto opprimermi. Io voglio renderla felice, portarla ovunque voglia, strapparmi il cuore o strapparlo a qualcuno se me lo chiedesse.
«Lo sai Robert che mi fido di te, sono molto fiera okay?» alzo il volto guardandola dal basso mentre mi implora di lasciarla andare a scuola. Non voglio. «Fiera?» chiedo trattenendola mentre mi alzo, posso vederla iniziare a crepare quei due occhi luminosi e annegare nel terrore.
«Robert l-lasciami andare a scuola, per favore» la sua voce è pacata e lucida come una maschera teatrale. Non voglio.
«Hai soltanto un interrogazione oggi, poi hai due ore di assemblea e per il resto non devi fare niente» dico ricordando il suo orario scolastico, premendo le mani sulla schiena mentre mi guarda strabuzzando gli occhi, iniziando a dimenarsi come un pesce nella rete. «Che cosa? C-come...lasciami!» grida spaventata con gli occhi stracolmi di lacrime, ed in quel momento mi accorgo di averla terrorizzata. Lei, la mia musa, l'ho rovinata.
Appena allento la presa prende lo zaino e scappa più in fretta che può, mentre la rincorro giù in strada. «Helen ti prego torna qua! Non volevo!» sale sul bus prima che riesca ad afferrarle il braccio, le poche persone per strada sono diffidenti. Mentre guardo il mezzo allontanarsi un peso mi schiaccia il petto, non respiro, qualcuno mi aiuti.
«Tornerà», mi volto, scontrandomi con una ragazzina esile e cadaverica che mi fissa senza emozioni. Mi avvicino, la scruto, e vedo due occhi coperti da un velo biancastro che quasi fa impressione. Stranamente è familiare, non la vedo come un nemico.
«Sei addolorato, lo so, ma non durerà per sempre».
Guardo l'orologio e poi il cielo che è timidamente azzurrino, si nasconde, quindi è mattina. Questa ragazzina era presente tra l'ottetto di strane rondini ora che ci penso. Eppure non siamo al parco, il cielo non è arrabbiato.
«Perché ora?» ignoro le sue parole mentre boccheggio, mi sostengo al muro cercando di reprimere le lacrime contro un dolore lancinante che mi incatena l'anima. Nessuno mi aiuta.
Ella sfiora il mio volto, mi accarezza, ed io mi mordo la mano fino a farla sanguinare pur di trattenere l'urlo. Le sue mani sono come lava incandescente, milioni di pungiglioni col veleno più mortale del mondo addosso. La vedo che piange ridendo mentre mi uccide con il suo tocco, finché non le scosto la mano strisciando fino a terra distrutto.
Sfioro la parte che ha toccato e non trovo nessuna ferita. Ora il dolore è finito, ma diavolo se ha fatto male.
«Perché non ho limiti, nessuno può controllarmi, nemmeno le promesse. Ho vita breve però, sono senza cancelli eppure qualcuno entra ed esce».
Si china verso di me fino a sedersi, parlandomi come se fosse mia amica. Deglutisco e mi stringo verso il muro cercando di diventare un mattone. Fa paura, ho paura.
«Perché ti presenti? So già chi sei», puntualizzo, sobbalzando appena un altro dolore lancinante sfoca la mia vista. Chissà se adesso ho anch'io gli occhi bianchi come i suoi.
«No invece non lo sai affatto, e forse non mi conoscerai mai. Io sono tutto, in ogni sguardo, in ogni soffio di vento», mormora avvicinando quel viso cadaverico verso di me, e posso sentire l'odore dell'inferno appena respira.
«Sarò sempre con te, siamo migliori amici sai?» scuoto la testa vigorosamente incapace di distogliere lo sguardo, forse è davvero mia amica. Sorride inquietantemente, sapendo benissimo d'essere piccola e fragile ma invincibile.
Eppure dice che qualcuno esce da lei. Sicuramente non io.
«Nemmeno la felicità può proteggerti da me, giocheremo insieme per tutta la vita».
Deglutisco annuendo mesto, premendomi contro al muro che si ostina a lasciarmi nelle sue grinfie. Scoppio a piangere continuando ad annuire, stringendo i denti quando mi abbraccia. Scalcio urlando, le mamme prendono i loro figli e corrono via, qualcuno minaccia di chiamare la polizia, ma nessuno si avvicina.
«S-sì siamo migliori amici, staremo insieme per tutta la vita», ripeto a stento, cercando di apprezzare questo abbraccio senza riuscirci. Mi lascia andare e finalmente posso respirare, sento il corpo pulsare, fino a spegnere il dolore.
Perché dura così poco anche se è radicata in me?
Restiamo insieme per tutta la giornata, non dal pomeriggio alla sera, ma per un giorno intero.
Dice che ha vita breve, ma questo giorno è un inferno. Continua a toccarmi, a torturarmi con le sue parole cattive, però poi piange e chiede perdono. A mezzanotte sono riverso su una panchina, non riesco a capire nulla.
«Ci divertiremo tantissimo», provo a guardarla, ma non c'è più niente.
Soltanto un volo di rondine, riesco a guardare l'uccellino volare nel cielo notturno e sparire.
Helen salvami, che oggi ho conosciuto il Dolore.Robert Morgan Herriot
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Portami il cielo in una stanza
General FictionUna settimana passa in fretta, inizia e poi va via. C'è una settimana speciale durante l'anno, a New York, e lo è per me: Robert Herriot. Conosco bene la vita, e riconosco di soffrire a causa del mio disturbo borderline di personalità. Io so ogni c...