New York, Giovedì.
«Helen! Ti prego ascoltami», mi affanno appena la vedo salire le scale del condominio, rincorrendola. Ella si ferma improvvisamente e quasi sbatto contro di lei, sospirandole sui capelli. Con un piede nell'abisso mi inginocchio, dispiaciuto, abbracciandole le gambe.
«Mi dispiace non volevo, io ti voglio bene Helen».
Rimane ferma, immobile, coi pugni serrati. La sento tremare stretta tra le mie braccia, posso vederla chiudere gli occhi lasciando cadere una piccola lacrima. Abbassa lentamente lo sguardo su di me, sospirando. Forse mi vuole, forse mi sta dicendo addio.
Sfiora i capelli e con sorpresa toglie le mie mani dal suo corpo, perché non avevo davvero intenzione di stringerla in una morsa.
«Lunedì parto per l'Inghilterra».
Spalanco la bocca sentendo il pianto correre affannato per straboccarmi dagli occhi, come una fanteria verso il burrone.
«P-per quanto tempo?», chiedo ingenuamente ascoltando la sua risposta, «Per sempre».
Sconfitto, indifeso come una rondine solitaria durante la bufera, la guardo salire le scale senza degnarmi di uno sguardo.
Rimango impietrito per terra, deluso e amareggiato.
Non...non so cosa scrivere, davvero.
Rimango seduto per ore, non lo so nemmeno io, finché sento l'ennesima strana rondine parlarmi. Questa volta è un uomo della mia età col volto scarno, il corpo tremante. Non è impaurito, sembra ansioso.
«Lasciami indovinare, sei Ansia? Mi riempirai di domande fino a farmi impazzire? Presentati pure, ormai sono abituato», mormoro cogliendolo alla sprovvista, ma per poco tempo. Stranamente non spiccica una singola parola, semplicemente si siede vicino a me con la sua presenza ingombrante e fastidiosa. Lo vedo tutto rannicchiato che trema, un'espressione intrinseca di dubbi e vuoti, e in un certo senso trasmette il suo stato d'animo anche a me.
Con le mani nei capelli continuo a pensare alle parole di Helen, al fatto che se si trasferisce io saprei già il giorno della mia morte.
«Non deve abbandonarmi me l'aveva promesso, da sempre cavolo! L-lei lo sa che appena parte io mi ammazzo, e se fosse il suo più grande desiderio?» mentre parlo guardo l'uomo che tiene lo sguardo basso, e più resta con me più i dubbi assillanti aumentano. Un po' mi fa pena devo ammetterlo, ma non amo nessuno. Solo Helen. E lei non deve permettersi di lasciarmi qua.
«Cosa dovrei fare?» posso sentire il suo profumo dal piano terra. Appena l'uomo mi sfiora la spalla con un velo di cattiveria sul volto, l'idea mi spedisce negli abissi. All'improvviso cado nel buio, nel panico e nell'ansia dei miei dubbi, l'euforia che non so controllare senza lei.
«Devo punirla per abbandonarmi, non merita di vivere», scuoto la testa al pensiero ma l'abisso mi tira con una corda stretta, e torno a pensarlo. Ucciderla per non farla partire, non la vedrei più in entrambi i casi no?
Come osa lasciarmi dopo tutto quello che mi ha promesso, dopo tutte le piccole gioie che le ho dato? Io l'ascoltavo sempre quando doveva parlare dei suoi problemi, ho rubato i suoi libri preferiti da un negozio solo per regalarglieli.
Alla fine l'ho spiata soltanto perché volevo proteggerla, lei non lo sa che ho picchiato quel brutto bastardo che una volta voleva stuprarla mentre tornava da scuola. Ho sempre agito nell'ombra per lei, e osa partire?!
Sussulto appena Ansia tocca la spalla, annuendo in silenzio. Tremo insieme a lui colpito e affondato da dubbi che si scompigliano sempre e solo sull'unica soluzione: ucciderla. Poi mi uccido da solo, o la polizia, che importa?
«È-è la s-scelta miglior-re», balbetta flebilmente questo incapace, e nei suoi dubbi mi convince della scelta.
Guardo le scale, perso in un abisso profondo, e raggiungo la sua porta senza nemmeno stancarmi.
La porta è aperta, sento i suoi genitori parlarle e in velocità entro nascondendomi dietro il muro della cucina.
«Finalmente ho trovato il portafoglio, ora andiamo a far la spesa, fai la brava!» lascio andare i suoi genitori, sentendo la mia Helen parlare da sola appena chiudono la porta. Ha questo brutto vizio che potrebbe tranquillamente colmare parlando con me, sono sempre disponibile. E lo sa.
A passi piccoli e lenti afferro un coltello, stringendolo con rabbia.
Cammino nell'abisso tenendo per mano l'euforia, avvicinandomi alla sua camera.
«Allora domani interroga su Freud...» parla ad alta voce ripetendo ciò che deve studiare, mentre col cuore in gola per l'ansia d'essere scoperto, mi avvicino. È di schiena, la testa china sul libro. È ora, devo farlo, se lo merita.
Forza Robert alza quel coltello e infilzala, falla sanguinare, forza!
Non deve abbandonarti non deve farlo!
Eppure adesso, che ho la lama puntata verso la sua schiena, tentenno. Ascolto la sua voce incantato, l'abisso non sembra poi così profondo e l'euforia si distacca dalla mia instabilità mentale. Alzo ancora la lama puntandola alla testa, posso vedere Ansia seduto in un angolino che trema riempiendo la stanza e il cielo di dubbi.
Il cielo. Oggi non l'ho nemmeno guardato, magari non vuole che uccida la mia rondine di questa eterna navigazione.
Perdendomi nel cielo non mi sono accorto che Helen, ora, è girata verso di me con gli occhi sulla lama.
Spaventato la lancio via indietreggiando, sbattendo contro al muro. Mi aspetto di vederla piangere, ma rimane ferma con un'espressione calma sul volto.
«Volevi uccidermi per...punirmi? Non vuoi essere abbandonato non è così?» parla con lentezza, avvicinandosi lentamente, senza più quel disgusto nel volto. Stringe i pugni sospirando, e vedo una Helen diversa.
«Tu fai parte della mia vita, nonostante ciò che...sei. Come potrei lasciarti andare così?» parla come se non avessi mai cercato di ucciderla, e mi abbraccia. Non lo so perché lo stia facendo, ma il mio cielo è in questa stanza, tra le sue braccia.
La stringo tra lacrime e dubbi, mentre Ansia scuote la testa deluso.
«Anche io ho bisogno di te, non sei solo. Non devi uccidermi, capito? Non ti serve farlo», mormora dondolandosi lentamente, sorridendo felice appena annusa i miei capelli e ci appoggia il viso come suo solito.
Nonostante tutto io e lei abbiamo ignorato l'Ansia, con questa sua presenza muta e quasi invisibile, ma sempre presente.
«Domani appena torno da scuola stiamo insieme tutto il tempo, okay?».
Okay Helen, qualsiasi cosa per te.Robert Morgan Herriot
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Portami il cielo in una stanza
General FictionUna settimana passa in fretta, inizia e poi va via. C'è una settimana speciale durante l'anno, a New York, e lo è per me: Robert Herriot. Conosco bene la vita, e riconosco di soffrire a causa del mio disturbo borderline di personalità. Io so ogni c...