Ricordo, con la nitidezza che solo i ricordi pregni di umiliazione posseggono, una subdola gita scolastica a teatro.
Adolescente timida e tendenzialmente riservata, illusa com'ero di essermi, se non del tutto, quanto meno integrata sommariamente in quello che era il gruppetto che frequentavo in classe.
Era una di quelle commedie che volevano rivelare una morale finale, un significato profondo che alla maggior parte dei ragazzi non sarebbe fregato.
Così come fregava poco a me, nonostante la mia eccessiva natura sensibile, ero più preoccupata di non risultare un patetico animaletto impaurito in mezzo a una bolgia di coetanei.
C'erano diverse classi di diverse scuole della città, la mia in particolare, costituita dal 98% da alunni di sesso maschile, era nella tipica botta ormonale che solo una classe - quasi - totalmente maschile sa rendere ancora più squallida di quanto non sia di base.
Per questo erano impegnati nel molestare simpaticamente le alunne di altre scuole, fare apprezzamenti su qualsiasi culo nel raggio di 5 metri.
Il tutto con il 2% femminile della loro classe accanto.
Avevo la netta impressione di essere una sorta di reietta, nonostante avessi tolto l'apparecchio fisso da neanche un anno e stirassi (orrore, oggi.) i capelli così come i dettami modaioli dei miei 14/15 anni.
Ricordo la sensazione di sentirmi una pattumiera, ma il bello doveva ancora arrivare.
Con il senno di poi mi sono resa facilmente conto che quel passaggio e quelle sensazioni erano più che normali ma soprattutto non tanto tragiche come le vedevo all'epoca.
Non era semplice essere una quattordicenne bruttina e molto acerba in una classe di soli maschi. Non seguivo la moda e mi vergognavo anche ad alzare la mano per chiedere di andare in bagno.
Il sesso era una "cosa" che leggevo solo nei pochi romanzi che trovavo in casa, o nei tanti che trafugavo dalle case delle zie.
Eppure in un certo senso mi sono sempre sentita -segretamente- superiore, almeno volevo pensarla così per sopperire al senso nauseabondo di inadeguatezza che provavo.
Ma quella mattina a teatro, sono stata colpita da un nuovo senso di inadeguatezza che ad oggi considero ugualmente grave, umiliante e decisamente da stronzi.
A commedia finita, gli attori decisero di fornirci carta e bigliettini, chi provava il desiderio poteva scrivere i propri pensieri riguardo la propria vita in forma anonima. Loro, passati di mano in mano questi bigliettini, ne avrebbero letti alcuni.
Non ero interessata, ero più che altro propensa a sopportare quel tempo morto forzato, pregno di disagio per non riuscire ad imbastire una conversazione con almeno un compagno di classe, che non durasse meno di due minuti.
Non parlavo molto, mi era difficile iniziare una conversazione e quasi nessuno voleva iniziarla con me.
Non ero considerata carina, spigliata o particolarmente divertente, perché nessuno mi conosceva oltre il guscio esterno.
Nessuno mi aveva vista inforcare penna e carta, proprio perché non lo avevo fatto.
Giunti al momento della lettura dei bigliettini, ne capitò uno molto toccante e che riconosco ancora adesso, come allora, che probabilmente avrei potuto scriverlo io.
La ragazza (non ricordo se fosse scritto effettivamente da una donna, ma forse il mio immedesimarsi ha alterato la percezione) descriveva brevemente il suo sentirsi esclusa ed emarginata dalla classe e più in generale dalle amicizie. Esigue, praticamente inesistenti.
Io, che credevo davvero di averla fatta a tutti quanti recitando la parte di quella integrata, fui presa di mira da quella stessa cerchia di "amici" che credevo solidali in classe.
"Ma lo hai scritto tu?"
Ecco cosa mi fu chiesto a più intervalli, con insistenza; poi la domanda fu sostituita da un'affermazione.
Capii, anzi ebbi solo la conferma, che per loro ero solo quella emarginata, senza veri amici, triste e infelice.
I miei tentativi di spiegare che no, non ero stata io, che non avevo neanche sfiorato una penna sono stati quasi vani.
Più che altro accolti con un velo di dubbio e incertezza, perché effettivamente ero sempre stata accanto a loro e avrebbero potuto vedermi scrivere le mie ipotetiche (ma vere più che mai) malinconie.
La cosa che mi fece più male fu che -con un barlume di lucidità pensai- nessuno mi avesse chiesto se davvero provassi tutte le cose descritte sul biglietto. Nessuno mi rassicurò che no, non mi consideravano in quel modo, che non mi stavano emarginando, che mi consideravano loro amica.
Nessuno si sforzò di assicurarmi la loro amicizia.Continuarono ad esaltare la bellezza delle ragazze delle altre scuole, sminuendo me e la mia compagna di classe, chiedendoci perché non fossimo come loro.
Agli occhi di chi ha vissuto un'adolescenza priva di bullismo subdolo, la mia confessione può risultare esagerata ed eccessivamente malinconica.
Dopo la lettura di quel biglietto mi è stato tolto qualcosa dai miei compagni di classe.
Ho odiato per qualche secondo la vera autrice di quella confessione. Perché in quel momento, inconsapevolmente, mi aveva fatto un danno.
Oggi spero che la sua vita sia migliorata e posso solo provare empatia.Nel corso degli anni scolastici delle superiori ho scoperto diverse cotte nei miei confronti, da parte di compagni di classe insospettabili.
Ma rivelare che ero io l'oggetto delle loro fantasie ormonali non era dignitoso.
Meglio una strafiga di un'altra classe, di un'altra scuola, magari alla moda e che sapeva già come si fanno i pompini.Perché avrei accettato di sentirmi una pattumiera in quella fase passeggera che è l'adolescenza, infatti sono sbocciata tardi, ma sentirmi esclusa, isolata, emarginata, considerata poco più di un arredo come il banco e la sedia... quello no, quella fu una delle tante esperienze umilianti della mia vita.
Immagine di Frederic Forest, woman sitting. Una delle mie pic preferite, la postura che adotto inconsapevolmente quasi ogni volta che mi siedo. Postura che rivela tanto, troppo su di me.
È proprio vero che certe volte basta osservare una persona per capirci qualcosa. Sottolineo "qualcosa", io non sono solo quel tipo di woman sitting.Ricordo di quasi 10 anni fa, che probabilmente cancellerò da questa opera, prima o poi.
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Qualsiasi colore ti piaccia
General Fiction*purché sia il nero. Raccolta di pensieri personali senza troppe pretese. Frugo tra i sentimenti e poi scappo, tentando di non girarmi indietro.