Latte & Vino

83 6 16
                                    


Era giusto che ci fosse caldo, buio, e che ci fosse un angelo dentro la stanza. O l'angelo ero io? Comunque, sempre, chiudere la porta era allora l'unico modo di lasciare il mondo alle spalle e poter vivere il proprio essere fino alla confessione ultima, senza paure, senza limiti. Ciò significava anche chiudere la bocca, non riuscire più a parlare, né pensare, ma vivere, solamente vivere.  

Mi prendeva i polsi, mi trascinava verso sé: così cominciava l'adorazione, la passione, la vita. Eravamo come drogati: il tempo perdeva il suo peso mentre il rito si consumava fino alla sazietà prossima in un intreccio di corpi, anime e forze. Eravamo in mille, in mille vivevamo, in mille ci ascoltavamo, in mille ci amavamo. Fino all'estasi finale.

Le parole spezzate e attonite scivolavano dalle nostre labbra e, sbandando, sbattevano contro le pareti, contro il comò di bambù, spalleggiando con l'aria immobile per insinuarsi, infine, nei nostri cervelli a cercare un appiglio. E ci si zittiva con occhi taglienti e dita sottili.

Ancora costruivamo sogni e desideri perversi, esauditi fino all'ultimo nel dono della moltitudine di sé, nella disperata ricerca di un'apoteosi, di un limite, di una o più morti, tra urla soffocate e abbracci convulsi, dolorosi.

Mentre lui, vino rosso, tentava di plasmare il mio corpo, io, latte, cercavo di sciogliere e disperdere la sua mente all'interno delle mie ali. Nessuno dei due poteva dire basta a questa lotta che era una sfida, all'abbraccio caldo e forte di un rifugio, alla sensualità di una bambina e di un vecchio.

Continuammo ancora molto a giocare, a combattere, a recitare le nostre virtuali essenze, ad elevare ogni sfumatura alla luce della passione. Non finimmo mai: sempre danzai per lui, sempre mi feci schiava. Sempre il diavolo si prostrò e si piegò alla volontà dell'angelo. Sempre schiavi e padroni, bambini e vecchi, amori e amanti, amici e nemici.

Per mille secoli ancora gli occhi cambiarono colore nell'iride e i volti mutarono sembianze, in un gioco sfrenato e tenebroso, torbido e luminoso.

***

La città è caotica, le luci si schiantano contro le pareti del cervello e i corpi ghiacciati si sfiorano rigidi In una frenetica e costante corsa verso casa, la propria menzogna. 

 

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
Sotto le orticheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora