Cap. 2- Il richiamo dell'Intercessore

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Lja

Sentii un urlo agghiacciante.
Aprii i miei sonnacchiosi occhi magenta e li rivolsi verso quelli di mio fratello, semicoperti dai capelli unti e spettinati, che presero a fissarmi inquietantemente mostrando un rosso più vivo del mio, simile a quello del sangue. Egli si contorceva come un serpente, gemendo.
Sudava freddo.
Ebbi un sussulto nel vederlo così, un brivido lungo la schiena.
Anche gli altri si svegliarono, mio padre gli venne subito vicino, lo scosse, tentò di calmarlo.

"Ma cos'ha? Mamma ho paura.." pronunciò Nagii con voce fioca per poi silenziarsi alla dolce stretta delle braccia di mia madre.

Lo sguardo di preoccupazione di mio padre si rivolse alla statua di Akhraz come se volesse implorarlo di risparmiare altri tormenti al figlio da lui prediletto.
L'Intercessore aveva ora le convulsioni e sbavava lungo la bocca. Le sue iridi, spente, salivano lungo l'orbita oculare sparendo a tratti dalla vista e mostrandone bianchi gli occhi. Uno spettacolo penoso.
Gli venni vicino, gli scoprii impulsivamente il chiaro petto, per poi strappargli l'amuleto di Akhraz di dosso.
Lui sembrò tornare in sé d'improvviso, mettendosi seduto e richiedendolo indietro.
Mi allontanai e strinsi con mani tremanti l'oggetto.

"Dimmi cosa ti è preso o lo tengo io" gli dissi.

"Mi ha parlato." Rispose.

"Akhraz... ti ha parlato?" Chiese nostro padre, mentre lo teneva dalle spalle, come per incoraggiarlo a raccontare cosa aveva udito.

"Si, lui ha detto di essere con noi, con me."

Vagheggiarono in tondo i suoi occhi, ancora spenti e persi, per poi piantarsi verso le mie mani, che serravano gelosamente l'amuleto.

"È con me... lì dentro." Continuò, senza smettere di guardarlo. "Lui può darci il potere di riprenderci ciò che è nostro, papà."

Il volto di quest'ultimo era incredulo e di chi aveva atteso a lungo parole simili a queste.

"Intendi forse che la nostra famiglia potrebbe tornare a governare Hadm?" Chiesi, piuttosto scettica.

"Potrebbe, dici? No, sorella, lo farà. Padre, devi chiamare a raccolta tutti i tendryan di Toqajv, noi abbiamo un dio dalla nostra, distruggeremo le armate degli Erixtov e torneremo al potere!"

Una luce folle brillò nei suoi occhi e la convinzione con la quale pronunciava quelle parole rapì completamente il nostro capofamiglia e annebbiò la sua mente. Così, preso da quella inverosimile notizia, ne gioì, ne rise e abbracciò la sua sposa.
Mia madre non proferì parola, era preoccupata e speranzosa allo stesso tempo, pianse in silenzio stringendo a sua volta tra le braccia il suo consorte.
Nagii non comprendeva le loro reazioni, convinta che fossero felici qui, come sempre dicevano.
La mia espressione, invece, era impassibile. Non credevo ad una parola di mio fratello, disgustata da questo suo profetizzare.
L'esercito degli Erixtov raggiungeva numeri immensi, pensare di affrontarli con un gruppo di contadini mal organizzati era la più grande pazzia che avessi mai sentito.
Mio padre lo sapeva meglio di chiunque altro, eppure non voleva vedere la verità.
Ma l'Intercessore aveva parlato, la mia opinione sarebbe contata meno di zero. Accettai passivamente la situazione e restituii l'amuleto di Akhraz al suo proprietario.

Il silenzio di quella notte fece eco al mio, fino al giorno seguente.

Mio padre diffuse la parola a chiunque poteva e la voce si spinse persino oltre i cinque regni di Toqajv.
Ben presto i nostri alleati passarono dalle decine alle centinaia.
In una settimana, diventammo più di mille: tutti avevano alzato le armi, al richiamo dell'Intercessore.
Sia coloro che un tempo avevano combattuto come assassini e guerrieri che i loro discendenti, i quali, pur avendo appreso secondo tradizione l'arte del combattimento, non avevano mai impregnato l'arma del sangue di un nemico, proprio come me e i miei due fratelli.
Mio padre illustrò loro il piano a gran voce, avremmo viaggiato fino alla capitale del mondo, Erixtvokmamamamalakath nel continente di Zibaw a estremo ovest.
In pratica intendeva raggiungere l'altro capo del mondo,
A piedi.

"E come attraverseremo il Mar Piccino e il vasto Mar Isoleo, padre? A nuoto?" Chiesi, spazientita.

"Akhraz ci donerà una nave!" Rispose mio fratello ad alta voce, alzando un pugnale al cielo, seguito a ruota dal migliaio di ciechi bifolchi che urlarono "Alla guerra!", riuniti dinnansi alla nostra caverna per lui.

Partimmo poco dopo, mia madre e mia sorella sarebbero rimaste a casa, il viaggio era troppo pericoloso per loro.
Sapevo che mi sarebbero mancate, quindi le salutai affettuosamente.
Nagii mi donò la sua bambolina di pezza preferita, non più grande della mia mano.

"Così guardandola ti ricorderai di me e ci sentirai vicine quando avrai paura" spiegò.

"Però dovrai riportarmela, mi raccomando!" Aggiunse dopo, agitando il ditino contro di me.
Risi.
Mia madre mi diede un bacio sulla guancia, mi prese le mani e mi disse di fare attenzione anche per mio fratello, che spesso agiva troppo d'impulso.
Annuii e strinsi le sue mani per poi abbandonarle e caricarmi in spalla la nera armatura leggera e la spada forgiatemi un tempo da mio padre.
Io avevo da sempre maggiore propensione per l'uso delle armi pesanti, mio fratello invece era abile nell'assassinio.

Sospirai pensando che non avremmo trovato accordi neppure in battaglia.

Le Cronache di Hadm -La dinastia dei Kohah (PARTE PRIMA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora